Sul conflitto israelo-palestinese la confusione regna sovrana. In atto una pericolosa e insensata polarizzazione che non lavora per la pace
Sarà banale dirlo, ma in tempi di guerra l’unica verità assoluta è quella che già dai tempi antichi affermava il tragediografo greco Eschilo: “In guerra la prima vittima è la verità”. Così anche oggi sulla tragedia di Gaza ci tocca registrare l’ennesimo stillicidio di informazioni fra le parti in conflitto. Parliamo delle bombe israeliane cadute su Khan Yunis che secondo fonti di Hamas avrebbero provocato la morte di 40 persone ed il ferimento di 60. Poi però, dopo il classico braccio di ferro mediatico, Hamas ha rivisto il bilancio riducendo a 19 vittime. Di certo il raid è avvenuto nella notte tra lunedì e martedì ed è stato confermato dall’esercito israeliano che, come riporta Times Of Israel, sostiene di aver colpito con l’aviazione “un centro di comando e controllo di Hamas che operava clandestinamente all’interno di una zona umanitaria”. Secondo i militari israeliani, il covo a Khan Younis serviva agli islamisti per “ordire complotti terroristici contro le truppe dell’Idf e i civili israeliani”. Insomma le morti civili, poche o tante che fossero, sono giustificate dal fatto che l’obiettivo era “prevalentemente” militare. Insomma bombe, missili e cannonate, nonostante le tante suggestioni pacifiste continuano a farla da padrone.
Cerchiamo di essere chiari, perchè le vicende non possono essere prese a pezzi, soprattutto in politica estera e nel caso di conflitti il “menù” non può essere a la carte. Vale per la vicenda Ucraina dove sono chiare le responsabilità preminenti, anche se non esclusive della Russia di Putin, vale ancora di più per la complicatissima vicenda mediorientale, dove gli attori sono molteplici e certamente non tutti locali. Il rischio di polarizzarsi ideologicamente a favore o contro una parte è altissimo, ed è fondamentale riuscire ad essere il più possibile equilibrati e sopra le parti, pur nella consapevolezza che quando si arriva alla violenza, alla guerra, la valutazione su chi è più carogna lasciano il tempo che trovano. Ma comunque alcuni distinguo vanno fatti in funzione soprattutto del futuro di una possibilità di pace, forse parola grossa, perchè al momento basterebbe un cessate il fuoco. Ed allora mettendo un punto temporale fermo di partenza della vicenda dell’ultimo anno, va subito detto che è Hamas ad aver acceso le polveri il 7 ottobre scorso con un attacco terroristico a sorpresa che per virulenza e modalità, non può trovare giustificazioni, neppure nella pur evidente soffocante e deprecabile politica colonizzatrice israeliana. Di certo c’è che l’azione di Hamas ha ucciso 1.139 israeliani e ne ha feriti altri 3.400. Mentre circa 250 soldati e civili sono stati presi in ostaggio andando incontro ad una sorte, in molti casi, peggiore di una rapida morte. A queste vittime in campo israeliano si devono sommare gli oltre 40000 morti provocati dalla reazione di Israele che da 11 mesi ha lanciato l’operazione di annientamento di Hamas che si è tradotto in una quantità enorme di vittime molte delle quali innocenti come sono le migliaia di bambini. Del resto come la storia ormai ci insegna, non esistono bombe e proiettili intelligenti, quando si spara in zone densamente abitate, quelli che militare cinismo definiscono “spiacevoli effetti collaterali” si traducono in massacri certi. La differenza sostanziale che non si può ignorare fra le parti in causa, tralasciando le implicazioni date dalla presenza che aleggia sul conflitto di potenze straniere, è data dal tipo di regime: A Gaza il potere è in mano ai tagliagole di Hamas, giunti al potere con metodi violenti che hanno visto l’eliminazione fisica di ogni opposizione, difficile è quindi valutare quanta “volontà popolare” ci sia nelle azioni da parte palestinese anche se l’arretratezza culturale, unita ad un arcaica arretratezza para-religiosa ci fanno sospettare che il collante della vendetta contro Israele sia ormai un filo che lega e prevale in ogni palestinese. Del resto il pugno di ferro con il quale l’esercito di Tel Aviv è intervenuto ha amplificato l’odio. Va però detto che c’è una differenza fra le due realtà, Israele, anche se al momento è certamente ostaggio di un governo e di un premier malefico, resta una democrazia dove l’opposizione non viene passata per le armi o lanciata dalle finestre come avvenuto invece a Gaza. Non è un particolare di poco conto e spiace dover constatare che questo elemento non sia tenuto in debito conto da chi, legittimamente è contro lo sterminio di persone innocenti, ma che in una sorta di polarizzazione “contro” non riesce a trovare quell’equilibrio necessario per non schierarsi in maniera netta e drammaticamente acritica. Ad esempio non cogliere che le manifestazioni di massa e lo sciopero generale in Israele convocati contro le decisioni sciagurate del governo Netanyahu potrebbero essere una svolta importante, agitando invece la bandiera palestinese come una clava, non serve ad un processo di pace. Bisognerebbe sostenere con forza queste proteste che hanno l’obiettivo di fermare il massacro sia dei civili palestinesi che degli ostaggi israeliani auspicando che anche a Gaza, pur capendo che un opposizione ad Hamas non potrà che essere clandestina, cresca una opposizione al governo dei tagliagole. Per ora ci si dovrà accontentare delle manifestazioni in Israele che da un lato confermano che il governo Netanyahu ha impedito in ogni modo le trattative per salvare gli ostaggi e arrivare a un cessate il fuoco e che in realtà non vuole vere trattative di pace e men che meno la prospettiva dei due popoli, due Stati. Le responsabilità del terrorismo di Hamas non assolvono quelle del governo Netanyhau e neppure in generale la politica parlamentare israeliana dato che le decisioni della Knesset sugli insediamenti dei coloni, gli attacchi indiscriminati di coloni ed esercito ai palestinesi in Cisgiordania per cacciarli dalle loro case e terre conferma, che l’obiettivo è acquisire i territori che le decisioni dell’Onu e precedenti trattati hanno assegnato ai palestinesi e al loro futuro Stato. Le pressioni internazionali, anche in Italia, dovrebbero focalizzarsi non al sostegno general generico ai palestinesi ma contro il governo di Netanyahu chiedendo che se ne vada e se ne insedi uno disponibile anzitutto a una trattativa per il cessate il fuoco, per la liberazione immediata di tutti gli ostaggi israeliani, per soccorrere ed assistere la popolazione palestinese. Ovviamente è tutto più facile a dirsi che a farsi ma l’unica strada praticabile dovrebbe passare attraverso pressioni europee e Usa respingendo il ricatto di Netanyahu, che chiede solo più armi e propone solo guerra, scelte che hanno portato Israele in una trappola mortale per il suo stesso futuro dato fra l’altro che ha consentito al sempre latente antisemitismo di rialzare la testa mascherato, in taluni casi, da campagna pro-palestina. Certo Hamas ha compiuto atti orrendi che hanno scatenato una reazione senza limiti, ma questa spirale va interrotta prima che sia troppo tardi.