Superbonus 110%. Attenti a non segare il ramo su cui siamo seduti

Infuria l’invettiva contro il superbonus del 110% per interventi vari sul patrimonio edilizio, di miglioramento delle prestazioni energetiche e di quelle anti sismiche principalmente. Meloni e Giorgetti accusano una spesa fuori controllo, 40 miliardi di euro già pagati ed altri 20 impegnati. Non ce lo possiamo permettere, dicono. L’alternativa sarebbe un raffreddamento delle percentuali del credito fiscale e una riorganizzazione della platea di beneficiari. Di fatto i costruttori edilizi temono un vero e proprio stop che si aggiunge alle attuali mille difficoltà procedurali. Non sono un economista ma il tutto mi sa un po’ troppo di ideologia e di “battage” di propaganda, un po’ come quanto riguarda il reddito di cittadinanza. Mi domando cioè quali effetti abbia questa misura sui bilanci pubblici e sulle questioni energetiche e ambientali. Si tratta di una misura classica Keynesiana finanziata con debito pubblico da attivare nei 4 anni in cui si creano le condizioni per il credito di imposta del 110% in relazione alla fatture pagate da cittadini e imprese. Nel frattempo queste spese incrementano il PIL e determinano un ritorno fiscale superiore al 40% del loro ammontare. In cifre i 60 miliardi di euro di cui stiamo parlando fanno crescere il PIL del 3,33% (praticamente in 3 anni ma concentrati soprattutto nel 2022) e producono un incasso di entrate dello Stato di 24 miliardi di euro.
Ho l’impressione che gran parte della ripresa finanziaria relativa al PIL italiano del 2021-2022 sia dovuta proprio a questa misura. La cosa vale anche per le entrate aggiuntive della Regione F-VG legate all’IRPEF e all’IVA (etc.) che in prima approssimazione possono essere calcolate nel 50% di un cinquantesimo del malloppo di 24 miliardi. Quindi 240 milioni di euro, praticamente quelli di cui si vanta l’assessore Zilli.
Certo, il debito c’è, ma è minore di quanto si dichiara e comunque nel frattempo non siamo andati in recessione. Cosa che matematicamente avverrà se ci troveremo davanti un blocco della misura degli ecobonus come nella pratica sembra prospettarsi. Al governo probabilmente sperano nei circuiti virtuosi delle spese grazie al PNRR, ma la cosa dal punto di vista finanziario è tutta da verificare, sia per la capacità di spendere sia per il rispetto dei tempi, nonché in relazione alla pazienza dell’UE. E non è detto che i moltiplicatori di spesa dei beneficiari del PNRR, enti pubblici, imprese di stato e grandi gruppi privati, funzionino meglio dei cittadini che modernizzano la propria casa.
Fossi in Giorgia Meloni starei ben attenta a tagliare con l’accetta e con cavilli burocratici quanto finora fatto con il superbonus.
Da qui la mia convinzione che sia necessario fissare un trend costante di investimenti pubblici nel settore dei patrimoni edilizi. Anche perché abbiamo poco più di 20 anni davanti a noi per raggiungere gli obiettivi energetici che ci siamo fissati relativi all’abbandono delle fonti fossili. Finora gli interventi del 110% hanno riguardato circa un milione di unità abitative su un totale di 57 milioni di unità immobiliari complessive, di cui circa 20 milioni di abitazioni principali. E appare evidente che alle varie COP continuiamo a raccontare favole.
Ma quali risultati abbiamo ottenuto con questi tre anni di finanziamento di interventi con il 110%?
Dai dati mensili forniti dall’ex Ministero della Transizione Ecologica tramite l’ENEA si desume il quadro generale ma poiché le tipologie degli interventi ammessi è piuttosto varia non si è in grado di fare valutazioni puntuali. Personalmente sono appassionato di approssimazioni su grandi numeri e ritenendo che tutto il milione di interventi effettuati (in relazione a singole unità abitative) abbia comunque riguardato il contenimento della dispersione energetica del calore attraverso le superfici esterne, posso valutare un risparmio complessivo di circa 500 milioni di SmC (standard metri cubi) di gas metano (o equivalente) per anno di funzionamento dell’impianto di riscaldamento.
Questo mi serve soprattutto per far notare che servirebbero solo ulteriori tre fasi analoghe di interventi sul patrimonio edilizio per ottenere un risparmio di consumo di gas equivalente a quanto il governo si propone con il rilancio dell’estrazione di gas metano dal mare Adriatico con le famigerate trivelle, cioè 2 miliardi di SmC all’anno.
La spesa dei 60 miliardi di euro non ha riguardato solo l’isolamento termico degli edifici e sarebbe interessante sapere dall’ENEA in quanti anni (in media) il costo dell’intervento per questa fattispecie verrebbe ammortizzato dal risparmio economico del proprietario. I miei calcoli, sempre approssimati, parlano di circa 20 anni ai prezzi del gas di due anni fa e a meno di 10 per quelli attuali. Detto che la misura del credito fiscale del 110% può essere considerata un momento di partenza irripetibile, la stabilizzazione delle forme di sostegno ad un intervento non più rinviabile deve basarsi su conti e convenienze ben calibrate.
La “svolta” energetica non può essere un tira e molla tra maggioranze politiche che si susseguono al governo, ma un obbligo di civiltà a cui ottemperare. Se poi, come sembra, anche i conti possono tornare, beata l’ora.

Giorgio Cavallo