Sventola l’alabarda sulla valle del fiume idrogeno
Alla presenza dei ministri Gelmini e Patuanelli si è finalmente svelato il futuro del F-VG. Fedriga lo ha chiarito: “porto e idrogeno i progetti bandiera del territorio” titola il Piccolo in relazione al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che il governo ha illustrato ufficialmente nei giorni scorsi nell’appuntamento regionale di “Italia Domani”. Accanto al radioso futuro logistico di una Regione aggrappata al destino del porto di Trieste c’è quindi la “Hydrogen Valley” unitaria con Croazia e Slovenia che ci porta direttamente in un futuro energetico sostenibile e decarbonizzato. Se i contributi del PNRR al porto raggiungono circa mezzo miliardo di euro non è chiaro quanto e cosa sia in ballo per la Valley, a parte una “factory” da collocare in un attuale impianto industriale dismesso e immensi spazi finanziari per innovazioni e ricerca. L’esperienza mi dice che in questi casi in genere ci sono già i nomi e cognomi dei beneficiari e che la trattativa con il governo per il riconoscimento del progetto è ben definita. L’internazionalità permetterà di sopravanzare le Valli dell’idrogeno che altre regioni hanno messo in cantiere. Non ho nulla in contrario né verso la logistica né verso il futuro possibile dell’idrogeno: e la trans statualità del progetto mi pare un valore da perseguire ed allargare. Mi preoccupa lo stacco gerarchico con il resto degli interventi possibili del PNRR che di fatto diventano un coacervo di opere pubbliche su cui punta il sistema regionale degli enti pubblici e locali con le logiche e le aspettative più diverse. E mi preoccupa una superficialità di lettura degli stessi importanti spazi della logistica e della transizione energetica (verso l’idrogeno) nell’affidarsi ad essi quale base del futuro. Sulle richieste di Comuni, Consorzi ed altro non occorre soffermarsi. Ogni giorno i quotidiani sono pieni di quanto ci si propone dai miliardi di euro del PNRR che vengono distribuiti attraverso una raffica di bandi governativi. Chi vivrà vedrà: anche per gli stessi tempi di esecuzione di quello che si richiede e che si ottiene. L’importanza dei porti e dell’insieme di infrastrutture che possono supportare una futura dimensione della logistica ben più ampia di quella attuale dipende dall’evoluzione della economia degli scambi e dalla sostenibilità della stessa. Forse il futuro non ci riserva una crescita infinita e la materia che viaggia può cambiare. Ad esempio, il terminal SIOT lavora 40 milioni di tonnellate di petrolio all’anno, e le 4 centrali di fluidificazione in fase di autorizzazione servono ad aumentare la portata dell’oleodotto, ma cosa succederà con l’obbligo di decarbonizzare entro il 2050? Gli scambi nel mondo non cesseranno sicuramente ma forse l’esperienza delle crisi vissute nell’ultimo ventennio e i venti attuali delle relazioni internazionali qualche cautela la inducono. Per quanto riguarda l’idrogeno non vorrei che fosse in realtà un sottoprodotto dello stesso ragionamento. Cioè una pura espansione della stessa visione talassocratica. I trasporti a distanza e soprattutto quelli via mare sembrano i primi destinatari di una transizione verso l’idrogeno. Nulla in contrario, ma per fare dell’idrogeno il cuore dello stoccaggio di energia bisogna prima produrla in abbondanza attraverso fonti rinnovabili. Ed è qui che mi pare caschi l’asino. Per farlo bisogna organizzare il territorio. O sfruttandolo, nel nostro caso “coltivando” spazi agricoli e marittimi in maniera massiccia, o accordandosi con le comunità territoriali verso economie “green” di produzione e risparmio energetico, in un quadro di protagonismo e di capacità di soddisfare proprie esigenze fondamentali di vita nell’alimentarsi e nell’abitare. Credo che senza un adeguato percorso di “rigenerazione urbana e territoriale” avente come centralità la ricostituzione di comunità residenti diffuse (e resilienti) in qualche modo “sovrane” nel gestire equilibri nelle risorse territoriali, anche energetiche (a partire dall’acqua e dal sole), non vi sia un reale futuro neanche per idee valide come quella della “valle dell’idrogeno”. Mi pare che le giornate triestine del PNRR abbiano completamente trascurato il territorio e non è un caso che ne abbia parlato principalmente il Piccolo. Le idee forti stanno lì: al contado bastano i “de minimis” delle clientele. Un suggerimento. C’è uno strumento che la stessa legislazione italiana ha già individuato anche se forse per ora indirizzato prevalentemente allo spazio rurale. Quello delle “green communities” che trovano troppo poco credito nello stesso PNRR. Costruirle è un lavoro duro e non facile: bisogna perderci tempo, competenze e risorse. La Regione ci pensi e si dia da fare, anche appropriandosene. Senza questo cammino, sia un equilibrio logistico sia l’utilizzo reale di una valle dell’idrogeno rischiano di rimanere puri slogan per i proclami propagandistici delle “autorità triestine”. Giorgio Cavallo