Demodeismo: una battaglia contro la reificazione del pensiero critico

Il movimento demodeista, fondato dal poeta Mathias PdS, nasce come risposta al difficile momento storico, fatto di monadi soltanto all’apparenza “connesse” attraverso l’uso costante di social e di device che consentono il contatto verbale o visivo dietro uno schermo, ma mai profondo ed empatico.
In generale, il poeta è un uomo come tutti gli altri (“Il poeta ha le sue giornate contate” cit. U. Saba) eppure, proprio per questo suo essere qui e ora, ha il compito oneroso di entrare nella realtà, frammentarla e restituirla agli occhi del fruitore tramite valori simbolici.
Ed è per questo che la poesia dovrebbe essere elemento complesso, con la duplice funzione di assorbimento e innesco di pensiero critico, nel tentativo di “fare anima” attraverso un movimento immaginale, ossia che nutre un’immagine con un’altra immagine.
Nella nostra era solipsistica il poeta rischia di divenire autoreferenziale, un osservatore complice e connivente di un vivere stanco, alienante e robotizzato, ove l’intelligenza artificiale e la “realtà aumentata” rendono tutto più immediato, godibile sì, ma in modo rapido e estemporaneo, come un bit, appunto.
Il demodeista non disdegna i testi di poeti antichi e dimenticati fondendoli con l’attuale, in una mistura a tratti dolorosamente contraddittoria, atta a rivalutare il senso di sperdimento della vera poesia.
Una battaglia contro la reificazione, attraverso testi con anacoluti, frasi sospese, ritmi sincopati frammisti a slang, elegia, numeri, formule, esclamazioni, messaggi pubblicitari, denunce sociali, risultanti in un multiversum privo di costrutti artificiosi, in un effetto visivo preciso ricco di azione e energia.
Una sfida insomma, per dimostrare che il poeta, in linea con l’etimologia della parola (poiéō ‘faccio, produco’) è ancora capace di creare.

Laura Altamura

Foto di Andrea Salone

 

 

La morte dell’ultimo Poeta 2.0
Progresso o fine della poesia?

Lo vedete quel
Versatore
col relè di comando
e bobine di versi,
cariche
di pulsioni ed energia,
che avanza
nell’ elemento circuitale
controllando flussi di pensiero critico
in corrente continua?
( ___
_ _ _)
Con reattanze dialogiche e
trasformatori di intuizioni
in Ampere poetici
(A= intensità di scrittura creativa)
le folle inneggiano a device dai giga rabbiosi:
sono i robot della poesia facile.
Uccidono
il circuito elettrico delle emozioni
dozzinalizzano pietas e elegia,
ibernano il pathos.
Vedete come le cariche morenti
della poesia
soccombono
tra risate e ghigni metallici?
Chi sono?
AI e i suoi accoliti, i fabbrica parole.
SnapGPT
addita i pensatori critici
come menestrelli.
Vedete che Algoritmo colpisce
il senso,
distruggendone
gli ingranaggi?
Cavi sfilacciati
incapaci di afferire impulsi
ai rami dorsali della corteccia cerebrale.
Black out.
È questa, forse, la poesia
del futuro?

 

Laura Altamura