Tempi nuovi

“Responsabilità, seria riflessione, secondo partito in Italia, preoccupazione per l’astensione, ha vinto la destra”, a scorrere bene le dichiarazioni di queste ore dalla parti del Partito democratico queste sono alcune parole e frasi più ricorrenti, pronunciate e scritte. Bene, si parte da qui e non è certamente poco, ma, forse, il tema più pregnante resta cos’è e per chi è il Partito democratico. In sintesi estrema: quale identità, chi vuole rappresentare e quale idea per il futuro dell’Italia. Fare, insomma, ciò che la sinistra è sempre stata: la forza del cambiamento, anche radicale, di chi non accetta l’ingiustizia sociale, di chi vuole più libertà e più eguaglianza. Bisogna essere consapevoli del fatto che negli ultimi dieci anni il Pd ha rappresentato il baricentro del sistema, si è fatto schiacciare da quella “responsabilità per il “Paese” che lo ha portato al governo sempre, anche quando perdeva le elezioni. Troppo governo gli ha fatto perdere l’anima. Non puoi stare con la destra, con i tecnici, con ogni soluzione, senza mai esserne il protagonista, e poi proporti come forza che vuole trasformare le cose. Bastava sentire le voci della campagna elettorale, delle persone che avrebbero dovuto trovare in quel partito un riferimento, un aiuto, che ti dicevano: “perché non avete già fatto quelle cose? Siete al governo da dieci anni?” Stare all’opposizione può fare bene ma è molto faticoso. Vuole dire ascoltare, sentirsele dire, fare tanta strada, consumare scarpe senza la grisaglia ministeriale. Ma se fatta bene, l’opposizione può farti ritrovare un popolo. Si tratterebbe, in fondo, di fare ciò che da sempre la sinistra è stata, ma che oggi è difficile da declinare dentro il conflitto sociale moderno. E diciamo conflitto, perché la politica è scegliere da che parte stare, quali soggetti difendere, quali avversari avere. Per troppo tempo abbiamo pensato di potere accontentare tutti, non accontentando nessuno. In fondo in fondo, il nodo vero sta tutto lì e non solo in Italia. Come rappresentare e fare valere i bisogni e le aspettative dei cittadini, a partire da quelle dei più deboli, dentro una società profondamente mutata nei suoi assetti produttivi e sociali? Come rimettere al centro le persone, i loro bisogni, la dignità del lavoro, avendo una società frammentata, dove condizioni, salari, sicurezza, sono tutte in discussione con le nuove di modalità di organizzazione del lavoro e spesso, condite dalla retorica della flessibilità e delle opportunità, nascondono diverse forme di sfruttamento? Come riaffermare un quadro internazionale di pace e cooperazione dentro i nuovi scenari geopolitici dettati dalla globalizzazione, dal confronto Usa-Cina e dalla guerra in Europa? Come dare concretamente risposta alla necessità di cambiare lo stato di cose esistenti a partire dalla questione ambientale e del futuro delle nuove generazioni? Come sul piano politico e culturale interpretare in forme nuove la domanda di partecipazione e di controllo del potere politico? E, ancora, come fare valere la frontiera dei diritti e il riconoscimento vero della diversità di genere nella vita sociale, nella produzione, nella quotidianità in tutti i suoi aspetti? A questo, e altro, certamente, dovrebbe servire il prossimo congresso, non solo a certificare le simpatie per questa/o candidata/o alla segreteria nazionale: meteore spesso, che, anche qui da noi, abbiamo visto troppe volte in questi anni. Ripartire dalla società e non soltanto comunicando, ma prima di tutto studiando in profondità quanto sta accadendo.
Ci vorrà del tempo, probabilmente, e il prossimo congresso potrà servire, sapendo che ristrutturare la casa non basta e meglio sarebbe ricostruirla dalle fondamenta. Resta il nodo di chi si vuole essere e chi si intende rappresentare, sempre e comunque, a sinistra. Ricordandosi, infine, che la sinistra non può essere la curatrice di un mondo gestito da altri, non può fare la parte di chi riordina, aggiusta, si accontenta della piccola manutenzione. Abbiamo davanti sfide tremende, ci vuole il coraggio di proporre cambiamenti radicali, di non accontentarsi, di pensare un presente e un futuro radicalmente diversi. La sinistra o è cambiamento o semplicemente non è. Carlo Pegorer e Stefano Pizzin