Territori e gestione del servizio idrico
Con l’esame in IV commissione regionale del d.d.l n.19 “Incentivi per l’aggregazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani” giunge a compimento un lungo percorso di spoliazione dei territori della gestione della loro importante risorsa acqua: dopo quella inviata nelle turbine lasciando i corsi d’acqua in secca per produrre kw finiti altrove e profitti nelle tasche dei concessionari idroelettrici foresti ora tocca all’acqua del rubinetto di casa nostra finire quotata in borsa attraverso il costituendo gestore unico.
Territori regionali sui quali la variegata presenza dell’acqua rappresenta un particolare pregio ambientale e culturale tanto da poter figurare in “Io sono Friuli Venezia Giulia”. Infatti la conformazione orografica e geologica del territorio del Friuli comporta presenze molto diversificate dell’acqua: nella zona montana scorre limpida, fresca, vivace in superfice grazie alla pendenza ed al terreno per lo più roccioso, quindi scorre in falda nel Medio Friuli caratterizzato da terreni permeabili per poi riaffiorare con pressione in superficie nella zona delle risorgive del Basso Friuli alimentando fiumi che scorrono lenti verso la laguna.
Condurre ad unità di governo e di gestione tali diversità è una forzatura. La buona legislazione parte dalla specificità del territorio, ciò che non fa il d.d.l.19, in particolare privando i comuni montani della gestione dei propri acquedotti.
Tale diversificata presenza dell’acqua in Friuli comporta modi diversi di fornitura dell’acqua potabile. Nel Basso Friuli essa avviene mediante le “fontane” costituite da un tubo calato sino a pescare dalla falda da cui l’acqua sgorga spontaneamente in superficie: questo è un sistema che non richiede la rete acquedottistica.
Nel Medio Friuli la fornitura dell’acqua potabile avviene necessariamente in forma consortile attraverso l’estesa rete del Consorzio Acquedotto Friuli Centrale (CAFC), costituito dai Comuni, che attinge principalmente dalla falda a Molin del Bosso presso Artegna, da una captazione sui Monti Musi e da alcuni pozzi dislocati sul territorio. Causa la mancanza di pendenza e la notevole estensione del territorio servito, il flusso dell’acqua nelle condutture è garantito da sistemi di pompaggio.
Nella zona montana del Friuli la fornitura dell’acqua potabile si presenta con caratteri dovuti principalmente alla presenza di numerose sorgenti a mezza quota e a dislivelli che permettono di disporre dell’acqua “a caduta”. Questi fattori hanno reso possibile l’insediamento di diffusi abitati, anche piccoli, ognuno con il proprio acquedotto. Significativo è il caso di Ovaro dove su 14 paesi si contano ben 13 acquedotti, la cui gestione, per semplice buon senso, può essere solo locale, comunale e non già affidata ad una società esterna.
I nostri antenati montanari nell’individuare il luogo migliore per l’insediamento di un abitato, verificavano innanzitutto la presenza di una sorgente di portata adeguata e costante a quota superiore e sufficientemente vicina dalla quale con le proprie braccia, pala e piccone, posavano la condotta sino alla fontana con il coinvolgimento di tutta la comunità locale anche per la successiva manutenzione e gestione stabilendo un forte legame tra la comunità e la “sua acqua”.
Testimonianza di tale carattere comunitario erano le fontane che, collocate nella piazza dell’abitato, avevano una funzione identitaria del paese e anche di socializzazione, come la chiesa e la latteria. Un esempio è la targa apposta sulla fontana del borgo di Monteprato nel Friuli Orientale in occasione dell’inaugurazione dell’acquedotto: “Acquedotto Sociale. L’unione fa la forza. L’unità con giustizia fa di noi una frazione prospera e felice degna di rispetto e di stima. F: 12.9 1946”.
Nei paesi dell’Alta Val Tagliamento, le fontane sono monumentali. Anche in epoca successiva, quando l’acqua potabile è stata fornita sino alle singole abitazioni, l’acqua dell’acquedotto ha svolto e svolge un ruolo di forte collante della locale comunità.
La politica centralizzatrice del servizio idrico di questi ultimi anni, che ha privato i Comuni montani della gestione di tale servizio, oltre a portare al fallimento di Carniacque, alla gestione del Cafc, al notevole aumento delle bollette, ai disagi per l’accesso ai distanti uffici del Cafc siti nella zona industriale sud di Tolmezzo, ha indebolito il senso di comunità nei paesi montani. L’acqua del rubinetto di casa non è più sentita come “la nostra acqua”, ma come “l’acqua del Cafc”.
È inutile versare lacrime di coccodrillo sulla continua perdita di residenti in montagna, sul venir meno del senso di comunità, sulle difficoltà dei piccoli comuni di montagna causate proprio dalla politica della Regione che li vuole completamente dipendenti da sé e dai sui maggiorenti regionali locali: altro che autonomia comunale! Se si vuole che la gente resti a vivere nelle terre alte occorre creare le condizioni complessive attraverso una legge organica nazionale e regionale sulla montagna che permetta di viverci degnamente. Il servizio idrico è un aspetto di tali condizioni.
Il servizio idrico nel territorio montano va considerato come un aspetto della montanità e del governo della stessa, che richiede non modelli urbani e accentratori (il fallimento di Carniacque insegni!) ma il decentramento del governo e della gestione in loco ai Comuni singoli o associati per vallata. Non è ammissibile che si continui a negare tale possibilità ai Comuni montani – come nel caso di Cercivento i cui abitanti hanno dimostrato grande compattezza nella difesa del proprio acquedotto – tanto più che in altre parti d’Italia si prende semplicemente atto della volontà dei comuni montani di gestire in proprio il servizio idrico.
Se da un lato il “bene comune acqua” è un catalizzatore per il recupero ed il rafforzamento della coscienza di essere “comunità” in ogni paese della montagna, dall’altro lato tale coscienza è la solida base per la buona gestione autonoma del “bene acqua”, sentito come “la nostra acqua” per la quale l’utente paga volentieri il servizio, poiché le somme restano a disposizione del Comune quale espressione istituzionale della comunità, al quale può direttamente rivolgersi ricevendo adeguate risposte e rapidi interventi. E ciò vale non solo per il servizio idrico.
Utopia, penserà qualcuno, poiché il servizio idrico comprende la depurazione, spina nel fianco dei sindaci per i rischi giudiziari connessi, che richiede specifiche competenze non presenti nei singoli comuni montani. Preoccupazione legittima che si supera imparando dal Trentino-Alto Adige, dove i Comuni provvedono all’intera rete idrica, alla rete fognaria interna agli abitati e alla fissazione della tariffa, mentre alla rete fognaria esterna ed al depuratore provvede la Provincia attraverso il “Servizio integrato di fognatura e depurazione”. Tale servizio è organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati dalla Giunta Provinciale tenuto conto dell’omogeneità idrogeografica (Legge Provincia Bolzano 18.6.2002. n.8).
A conferma della legittimità di tale autonoma organizzazione e gestione del servizio idrico in Trentino Alto Adige sono intervenute diverse sentenze della Corte Costituzionale in cause promosse dal governo. Un esempio da seguire per la nostra Regione se vuole essere veramente a Statuto di Autonomia Speciale.
Per rimediare alla decadenza della nostra montagna non bastano un adeguato quadro legislativo e le disponibilità finanziarie, ma è fondamentale la ricostruzione di un forte sentimento di appartenenza alla comunità del proprio paese. Come è stato nella ricostruzione post sismica in Friuli.
Franceschino Barazzutti, già sindaco di Cavazzo Carnico.
Presidente del Comitato Tutela delle Acque del Bacino Montano del Tagliamento