Udine perduta. Capitale non riconosciuta di una regione mai nata

M. Pertoldi e P. Medeossi sul MV hanno rilanciato alla grande il dibattito sulla “necrosi” della nostra città, rinnovando le briciole di polemica su cui nei giorni scorsi avevano becchettato A. Valcic e M. Franz: Anche Fontanini e altri politici sono intervenuti ma non mi pare abbiano fornito elementi utili.
Di cosa si parla: mancanza di iniziative significative, nessuna visione e prospettiva per il futuro, classi politiche e leader delle categorie economiche inadeguati. Aggiungiamoci pure un po’ di malaffare in settori per noi strategici, vino, alimenti e anziani, e una demografia impietosa.
Cosa ci rimane: la cultura, l’università e l’informazione. Qui sprazzi non mancano, in particolare se guardiamo un po’ oltre la città e se non ci soffermiamo unicamente alla imitazione dei talk show dei media italiani e cerchiamo appunto di scoprire quanto di buono il territorio (e le sue specificità anche linguistiche) propone alla città. L’università peraltro potrebbe dare di più e forse basta pungolarla.
Quanto all’informazione, pur in un quadro dove molte iniziative precarie riescono a far vivere un po’ di pluralismo, c’è da segnalare non solo alcune “illeciti” monopoli del settore (RAI e Gruppo Espresso) ma anche una loro precarietà di punti di vista. Da un lato il dominio incontrastato della cronaca triestina anche spicciola, e dall’altro la incomparabile migliore qualità del Piccolo rispetto al MV, quasi che quest’ultimo debba vendere un prodotto per una comunità di “diversamente abili”, che si parli sia di Udine che di Pordenone. Al “contadino” non far sapere cosa c’è di utile e buono al di là dei confini.
L’assenza della politica e di una amministrazione lungimirante sembrano essere il buco nero. E ad ascoltare le cause del contendere che ispirano il dibattito locale non ci si tira su. Le stucchevoli diatribe su Mercatovecchio e sul porta a porta fanno respirare un’aria da paesotto, tanto per trovare qualcosa da litigare.
In realtà alcuni guai e limiti vengono da lontano. Più che capitale del Friuli Udine è stata una capitale del mattone e della rendita immobiliare. Espulsa dalla città l’industria, i giochi si sono fatti su case e supermercati, con valori crescenti di rendita e conseguente investimento.
La commissione edilizia del Comune di Udine ancora nei primi anni 2000 esaminava circa 2500 pratiche all’anno e la fame di terreni commerciali sia in città che nei comuni vicini era proverbiale. Attualmente i numeri, pur in presenza di un ottimo piano e di utili norme regolamentari approvati da circa 7-10 anni grazie a Santoro e Malisani, sono impietosi.
Di fatto la città non solo non ospita manifattura ma non è stata in grado di fornire i servizi necessari alle imprese del territorio. La speculazione immobiliare non è più di moda, anche se molti continuano a sperarne nel rilancio, ma alla fine si è capito che le case sono troppe e che gli abitanti non crescono. Per la verità l’ultima fase felice di quel mercato si basava sulle separazioni familiari e sugli immigrati, ma anche queste nicchie non sono più di moda.
Che fare? Senza basi materiali private non resterebbe che la clientela regionale o statale. Può darsi, ma un minimo di idee si possono mettere assieme, sapendo che Udine non potrà mai avere una specializzazione sovrastante le altre, ma dovrà mettere assieme più capacità di protagonismo.
Provo ad elencarle come suggerimento e senza nessuna pretesa di chi crede di saperla lunga. Mi pare pratico partire da una accurata analisi di quanto il territorio di riferimento può dare. Innanzitutto Udine è al centro della dorsale regionale di un mondo produttivo manifatturiero e logistico che va da Osoppo all’Aussa Corno: non è roba da poco su cui mettere il cappello. E’ poi necessario guardare alle trasformazioni agricole in atto, dopo le ubriacature di mais e soia, con emergenze di qualità non solo effimere. C’è poi un turismo ormai sempre più attento alle ricchezze storiche ed a quelle naturali, che predilige sistemi di mobilità sostenibili e che deve trovare nella città un suo momento propulsore. Si smetta di dare bada alle manipolazioni mentali di commercianti incapaci di guardare ai propri limiti e semmai si trovi il modo di non farli annegare nel mare della rendita immobiliare.
Ma c’è anche un tema di fondo della cui portata siamo ben poco consapevoli, anche nelle sue potenzialità strutturali: non c’è futuro per Udine se non riuscirà a portare a compimento la sua trasformazione in città friulana del XXI secolo. Una città dove la pluralità linguistica è una matrice di riconoscimento ed un codice di accesso ad una capacità di leggere le relazioni territoriali in misura più ampia di quelle definite dai confini di stato. C’è un mondo ampio nel quale riconoscersi e con cui costruire relazioni economiche, culturali e sociali in grado di innescare con continuità scintille di innovazione.
Forse Ein Prosit non era il massimo ma, occhio e croce, sempre meglio di Goldin.

Giorgio Cavallo