Urla del silenzio
Questo è un pensiero che nasce dalle piccole osservazioni quotidiane, necessarie per cercare di capire almeno un po’ quello che succede attorno a noi e che poi si riflette in altre situazioni, altri contesti, ma egualmente segnati dallo stesso denominatore: il dolore.
Strada principale di Bangui, Repubblica Centro Africana (RCA), traffico fitto e principalmente oberato dalla miriade di motociclette che trasportano di tutto; dai passeggeri ai materiali più diversi agli animali. Il rumore dei motori è squarciato da urla atroci che non si capisce bene da dove arrivino. Poi una delle tante Haojue 125 o 150, moto di fabbricazione cinese che qui ha praticamente l’esclusiva, mi sfreccia davanti e svela l’arcano. Le urla disperate giungono da una capra che, legata alla bene meglio sul portapacchi della motocicletta, penzola dallo stesso sfiorando l’asfalto e probabilmente lo tocca. Finalmente il guidatore si ferma accorgendosi della situazione e del dolore della povera capra le cui grida stavano diventando insopportabili.
Che una capra possa soffrire e il suo strazio possa provocare tutt’al più preoccupazione per il suo valore economico piuttosto che pietà per il povero animale, mi ha rimandato immediatamente ad altre situazioni. Cosciente dell’azzardo del parallelo mi sono soffermato un attimo a pensare e ad immaginare il disinteresse, il distacco che spesso, troppo spesso, proviamo nei confronti di tragedie umane dalle dimensioni davvero enormemente maggiori.
Di disgrazie in giro per il pianeta ce ne sono un’infinità, dalle guerre alle calamità dagli effetti terribili del cambiamento climatico, la scelta è veramente difficile. Ce n’è una di tragedia che colpisce, almeno me, in modo più diretto rispetto ad altre; la guerra, definizione che non descrive bene quella realtà perché in questo caso si tratta di massacro a senso unico, in Palestina. Sarà che è un conflitto che ormai dura da troppo tempo, sarà perché è appena fuori casa, sarà perché in Medio Oriente ci ho passato qualche anno, ma ho come l’impressione che quell’immane tragedia passi quasi inosservata, non abbia la necessaria attenzione di chi dovrebbe raccontarcela nella sua reale portata.
Stiamo parlando di più di 40.000 morti, secondo i dati non solo delle autorità palestinesi, ma anche delle varie agenzie dell’ONU; i morti sarebbero molti di più, se solo si calcolasse anche approssimativamente il numero di coloro che non sono stati estratti dalle macerie, circa 10.000. 50.000 morti su una popolazione di poco più di 2.000.000 di persone, una percentuale spaventosa. Se poi volessimo applicare le teorie basate su fatti e precedenti storici, il numero delle morti proiettate in un prossimo futuro e a causa delle conseguenze sia delle ferite che delle malattie e dalla denutrizione che la guerra provoca, si arriverebbe a cifre spaventose. Volessimo poi aggiungere l’enorme cifra di feriti mutilati, di orfani che non si sa quale futuro possano avere, bene, l’ecatombe raggiunge dimensioni da incubo.
Sono poche le immagini che i media nostrani ci mostrano, le notizie di maggiore risalto sono tutt’al più quelle che ci raccontano di qualche razzo che Hamas riesce ancora a sparare su Israele creando panico tra gli abitanti locali. Basterebbe allargare un po’ lo sguardo e sentire le voci dei giornalisti che ancora riescono a lavorare in Palestina e a raccontare dei massacri quotidiani che l’intera popolazione di Gaza subisce. Sono più di 160 i giornalisti uccisi, la maggior parte deliberatamente dalle forze di occupazione israeliane, e nonostante tutto nonostante il rischio enorme a cui si sottopongono, molti di loro continuano, si ostinano a farci vedere e sentire ciò che non vorremmo, ma che è necessario per capire cosa sta avvenendo in quella minuscola striscia di Palestina.
Ci sono alcuni giornalisti che in un anno sembrano invecchiati di dieci; ce ne sono altri che non invecchieranno più perché già sotto terra. Ci sono voci disperate di gente che non sa più dove andare, cosa mangiare, come curarsi le cui grida dovrebbero dilaniare i nostri timpani, ma rimango inascoltate, mute davanti alla nostra sordità.
Per questo anche lo strazio di una povera bestia destinata comunque al macello deve farci pensare. Pensare che quelle grida di aiuto sono solo quelle dei capri espiatori, che dovranno servire ad espiare colpe che non si sa bene in cosa consistano, mentre qualcuno continua a lavarsi le mani, e a sentenziare la propria presunta innocenza.
Docbrino