6 maggio 1976 trema la terra, maggio 2021 tremano i polsi per i rischi di una pandemia ben lungi dall’essere esaurita
In cinquantanove secondi quasi tutto venne giù, era il 6 maggio del 1976, poi le repliche a settembre che oltre alle pietre e al cemento fecero vacillare la fiducia di chi si era rimboccato le maniche. Eppure da quella tragedia che costò la vita a quasi 1000 persone, non solo il Friuli si risollevò nella ricostruzione ma beneficiò di uno sviluppo impensabile di cui trasse beneficio l’intera regione. Di quella storia, che oggi, nei tempi di pandemia con quasi quattro volte i morti e una devastazione che non è infrastrutturale ma rischia di essere per quello più difficile da sanare, anche la commemorazione degli eventi dovrebbe assumere un significato diverso. Niente più stucchevoli medaglie e autocelebrazioni di quanto siamo stati bravi a ricostruire e a non rubare, cosa come sappiamo per nulla scontata nel nostro paese quando sono in gioco grandi lavori ma che dovrebbe essere normale non merito speciale. L’idea di un modello Friuli 76, certamente virtuoso grazie anche all’abnegazione di sindaci, funzionari locali e regionali e perfino di una politica che seppe unirsi pur mantenendo le proprie prerogative ideologiche che allora contavano, è stata un fattore qualificante, ma ha esaurito da tempo la sua spinta propulsiva. Resta forse solo la memoria della tenacia della gente comune, di quella che aveva perso tutto o quasi, ma che seppe sfruttare la solidarietà nazionale. Solidarietà nazionale il cui ricordo si è però spesso sbiadito nelle pieghe di una narrazione unicamente autoreferenziale. Poi nei decenni un classe dirigente che con quella dell’epoca del sisma nulla aveva a che fare, ha cercato di vivere di rendita inciampando maldestramente sulle proprie inutilità e costruendo un modello di territorio appiattito su modelli di business e di sfruttamento delle risorse irrispettoso di un territorio di rara bellezza e integrità. Potremmo parlare dello sfruttamento delle acque, della corsa alla cementificazione e al consumo di suolo, alle strade inutili, alle mancate attenzioni per l’ambiente inteso come aria, acqua e terra e soprattutto alla brutalità della sostituzione di valori con quello unico del conto in banca. Aggiungiamo lo smantellamento della sanità territoriale pubblica e ci accorgiamo come oggi, in pochi mesi, tutto è cambiato. Ma con il cambiamento arrivano anche le potenzialità, magari di uno sviluppo che corregga le storture del passato anche se la mancanza di una classe dirigente politica all’altezza potrebbe rendere tutto vano. Per non contare che anche se l’Orcolat non ha più le sembianze del mostro che scuote la terra, ma di un minuscolo essere che invade e uccide, il concetto di solidarietà resta l’unica soluzione al problema. Un cambio di passo che può vedere protagoniste le nuove generazioni a patto però che si vada oltre i ristretti confini territoriali, oltre perfino quelli nazionali, perchè il vero problema è che questa pandemia rischia di non potersi superare facendo come gli struzzi, mettendo la testa nella sabbia e guardando solo ai propri piccoli interessi di bottega. La visione dovrà per un volta essere mondiale e per davvero e non solo nella logica di globalizzazione delle merci ma dei diritti. Infatti anche se dovessimo raggiungere, grazie ad una campagna vaccinale, che fra l’altro continua ad andare a rilento, una indennità di gregge regionale, nazionale o perfino europea, questo non metterebbe al sicuro nessuno. Il Covid non è come l’Orcolat, non basta il cemento armato per mettersi ragionevolmente al sicuro, è molto più infido perchè muta continuamente e solo se si deciderà di garantire in maniera universale, con buona pace dei profitti ipermiliardari di qualcuno, cure e vaccini per ogni essere umano sulla terra, il rischio di un ritorno di dolore e morte resterà alto, anzi certezza… non semplice possibilità. Se poi aggiungiamo l’ipotesi, ormai quasi realtà, che le spinte centrifughe al liberi tutti dovessero prevalere su buon senso e precauzione sanitaria, non servirà neppure il ritorno del virus mutato, basteranno quelli nostrani che riprenderanno vigore fra un aperitivo e una cena, fra un assembramento e l’altro. Ed allora i 3.723 decessi accertati ad oggi in Fvg lieviteranno ancora assieme agli oltre 120.000 morti nazionali. Buon 6 maggio….