A proposito di Friuli tra identità e geopolitica

La prossima legislatura regionale del F-VG ci farà entrare nella parte centrale del XXI secolo e ci accorgeremo che saranno trascorsi 80 anni dalla fine della II guerra mondiale. Da lì nasceva un nuovo spazio istituzionale e territoriale, il Friuli-Venezia Giulia, che man mano, anche per quanto la politica riusciva a guidare, si trasformava in relazioni mutevoli e spesso contese tra i territori che la componevano. Maledetta e benedetta Regione. Con il tempo però gran parte degli strumenti interpretativi domestici usati in questo angolo d’Italia possono essere considerati al livello di un vecchio album di fotografie da conservare in qualche cassetto. Tutto aiuta a leggere la storia ma il punto di vista si sposta nel tempo e la prospettiva che inquadra le contese si deforma. Il Friuli, la Venezia Giulia, Trieste assumono contorni identitari piuttosto sfumati, le presenze linguistiche ormai plurime si intersecano con la geografia e interessi vari si confondono.
L’Italia, Trieste, il Friuli. Marchi di fabbrica si susseguono nel tempo: a partire dagli anziani “Trento e Trieste” e “Piccola Patria”. Per passare a cose più recenti tipo “made in Friuli”, “Ospiti di gente unica”, “io sono FVG”. Pur non di emanazione pubblica, si è affermata una definizione esoterica quale “Confindustria Alto Adriatico”.
I friulani doc, quelli della ex provincia di Udine, finalmente vedono la loro lingua riconosciuta anche dall’arma dei Carabinieri, ma si sono accorti di non contare più nulla negli equilibri di potere politico e che la loro capitale è ormai malvista da tutti. E quel che è peggio non c’è più una “elite” politica che si ritrova al Lepre di via Poscolle per decidere cosa fare tra Roma e Trieste. La DC e il PSI “desaparecidos”. Dobbiamo accontentarci del trio di guastatori “fa e disfà” Agrusti, Malattia, Saro.
Fortunatamente i “friulani” non leggono il Piccolo altrimenti qualcuno si sarebbe accorto anche delle recenti dichiarazioni dell’assessore Callari che a proposito delle compravendite di immobili regionali coinvolti nell’operazione da 150 milioni di euro per le nuovi sedi in Porto Vecchio recitava “ Nella mia visione che è anche quella del presidente Fedriga, Trieste nel prossimo futuro avrà uno sviluppo vertiginoso, tale da avere una crescita esponenziale del bisogno di appartamenti”. Proletari in arrivo o immobiliaristi in caccia?
Dove andrà il Friuli dopo le prossime elezioni regionali e di cosa ha bisogno di discutere? A partire da uno stimolo perverso di due docenti dell’Università (Zannini-Ermano) si è aperta sul MV una diatriba sull’utilità del radicamento identitario per ricostruire un futuro dignitoso per il Friuli stesso. Sono proprio piste false il richiamo all’identità friulana (linguistica “i suppose”), al passato “modello Friuli” del dopo 76, alla ormai decaduta specialità regionale, per dare uno scossone al deserto demografico, alla fuga dei giovani (braccia e cervelli), alla crisi ambientale? Andrea Valcic, Walter Tomada, Vincenzo Martines e William Cisilino hanno avuto qualcosa da ridire e tentato di rendere ancora attuale il “furlan pride”. Del prof. Sandro Fabbro, pur territorialista moderato, nulla dico poiché spesso coincidiamo nelle analisi. Così come del buon senso sociale di Mattioni-Muradore nella loro speranza che si ridia uno spazio operativo adeguato al bene prezioso dei Comuni.. Modernità e passato vanno ben separati secondo il direttore del MV Paolo Mosanghini che di fronte al quadrivio di “trois” invita a “muoversi verso un futuro dinamico e di sfide anche rischiose preservando le nostre prerogative e difendendo il passato consapevoli che è una pagina di storia di questa terra e non un agenda per il domani”. E per carità lasciamo perdere il “fasin di bessôi”. Cosa dire di utile? A parte che talvolta guardare al passato serve, magari la malta che usavano i romani era meglio della nostra, o che le vacche di “bruna alpina” era opportuno non farle scomparire, e che una buona percentuale di “fasin di besôi” può essere vitale nell’età della resilienza, mi pare che nel dibattito manchi quel nesso reale che oggi c’è tra Friuli e Regione Friuli-Venezia Giulia. Trieste compresa. Parlano un po’ troppo le delusioni udinesi mentre in giro ci si appresta soprattutto a ricostruire la rete di sottogoverno che per i prossimi 5 anni tenterà di dividersi il malloppo della cassa regionale. Prevarranno i Fratelli o la chioccia Fedriga salverà i padani? E il mistero del III polo verso dove naviga?
Forse è il momento di aprire bene gli occhi, in tutte le direzioni, per scoprire non solo la trasformazione del soggetto Friuli ma l’intero quadro delle relazioni che lo possono proiettare nel futuro. E ci si accorgerà che la romana Aquileia non c’è più ma che il porto di Trieste-Capodistria con le sue strade “consolari” ne svolge la stessa funzione e che il “sacro romano impero della manifattura tedesca” non può fare a meno del Friuli, della Carniola e dell’Istria nella sua dominazione tecnologica e collaborativa con l’Impero celeste (passando per quello ottomano), sperando di non ritrovarsi tra i piedi una nuova stagione militare. Spetta ai futuri Patriarchi del F-VG far capire che, passata la sbornia neo statalista italica, questa è una terra dai destini incerti e mobili che ha imparato dalla storia a collaborare con le diversità, possibilmente senza dilaniarsi tra contigui.
Le sfide globali della post modernità vanno affrontate congiuntamente da chi vive in queste terre tra Alpi e Adriatico e nell’ambito di ogni attività amministrativa è fondamentale costruire risposte comuni agli eventi complessi che continuamente ci coinvolgono, clima, ambiente, economie, migrazioni, pandemie. Forse la casuale ventura di Gorica-Gorizia 2025 quale capitale europea della cultura può essere la stella cometa che ci può guidare ben oltre i suoi limiti locali.

Giorgio Cavallo