Accoglienze in Italia, impossibile se non nasci dalla parte giusta, parola dell’Ufficio immigrazione
Ottenere un visto. Trasferirsi. Per motivi di turismo, per visite a parenti od amici, per un lavoro interessante o più sicuro. Sono esperienze comuni, rientrano in un quadro di aspettative, possibilità che – ci sembra – tutti condividiamo. Se escludiamo le limitazioni dovute alla pandemia, nessuno – europeo o statunitense – che io conosca personalmente si è mai visto rifiutare i documenti necessari per recarsi al di fuori dei confini del proprio Stato. Ma non è così per tantissimi altri. Contro barriere invisibili, insormontabili come i muri che ancora in tanti paesi vengono tristemente eretti, si infrangono i sogni, si sgretolano i progetti.
Mi sono spesso chiesta perché persone che non siano costrette ad abbandonare il proprio paese per sfuggire alle persecuzioni o alla guerra affrontino marce massacranti, sofferenze indicibili, siano disposte a rischiare la loro vita in mare o a subire umiliazioni e torture. Ho cominciato ad avere alcune risposte e a condividere percorsi di vita per me inimmaginabili, fino a quel momento, due anni fa, quando ho assunto un lavoratore straniero divenuto irregolare dopo che era stata respinta la sua domanda di asilo. La sanatoria del 2020 aveva appunto l’obiettivo di far emergere il lavoro nero, di consentire la regolarizzazione di lavoratori presenti in Italia privi di permesso di soggiorno. Pochi, però, avevano potuto approfittare di questa opportunità, per limiti e vincoli insiti nella sanatoria stessa: erano stati ammessi alla sanatoria i lavoratori agricoli e quelli impegnati nell’assistenza alla persona e nel lavoro domestico, erano state escluse, invece, categorie in cui il lavoro nero è fortemente presente, come l’edilizia, la ristorazione e la logistica; costi, lentezze burocratiche, disinteresse da parte di molti datori di lavoro avevano contribuito a quello che molti hanno definito un “fallimento”. Si tratta, in ogni caso, di “sanatorie”, di provvedimenti legati all’emergenza, non di percorsi istituiti per consentire un accesso regolamentato e sicuro a quanti aspirino a compiere una formazione o a trovare occupazione in un paese diverso dal proprio. Tra questi, un fratello del lavoratore straniero che ho assunto due anni fa. Il “decreto flussi” 2021/2022 è stato presentato con entusiasmo alla fine di dicembre: finalmente uno strumento che consentirà di accogliere un numero di lavoratori stranieri molto superiore a quello degli anni passati! I settori interessati sono quelli dell’edilizia, dell’agricoltura (lavoro stagionale), dell’agriturismo e degli autotrasportatori. Il “click day”, il giorno a partire dal quale si potranno inoltrare le domande, è il 27 gennaio. Ma non è stata ancora pubblicata la circolare applicativa e non si sa perciò quante siano le quote previste per il Friuli Venezia Giulia e in quali settori. Gli uffici ai quali ci si rivolge per una consulenza danno pareri disparati: – Non ci sono quote per la nostra Regione! – Ci sono, ma poche… – Non si sa nulla, ma è prudente presentare comunque la domanda, non si sa mai…. Conosciamo un datore di lavoro disponibile ad assumere un lavoratore straniero nella sua impresa edile e presentiamo perciò domanda per l’edilizia. Si scopre che un’azienda che si occupa di manutenzione e cura di giardini pubblici e privati, potature, impianti di irrigazione, ecc…sta cercando un lavoratore straniero per un lavoro stagionale, da aprile a settembre. Sembra un sogno: si incrociano felicemente la domanda e l’offerta. Presentiamo la richiesta anche nel settore dell’agricoltura. Ancora non è stata pubblicata la circolare applicativa e si continua a procedere “al buio”. Intanto si diffondono voci: ci sarebbero 600 quote disponibili per lavoro stagionale agricolo nel Friuli Venezia Giulia. Solo dopo alcuni giorni la circolare finalmente arriva: non ci sono quote per l’edilizia; ci sono quote per il lavoro agricolo stagionale: 5 per domande presentate in modo autonomo; 50 per domande presentate tramite le Associazioni di categoria. Alcuni giorni di sconforto, prima di realizzare che è difficile che una regione come il Friuli Venezia Giulia, in cui le Aziende agricole mediamente sono di piccole dimensioni, abbia richiesto 50 lavoratori stranieri stagionali. Si richiede conferma all’Ufficio immigrazione. al quale le domande sono pervenute, e si ottiene una risposta confortante: effettivamente ci sono “posti liberi”, le domande sono in numero inferiore alle quote. Si ripresenta domanda (con la stessa Azienda e per lo stesso lavoratore) tramite Associazione di categoria. Corsa frenetica per contattare l’Associazione, ottenere la disponibilità a inoltrare la domanda, c’è di mezzo anche la Festa del Santo Patrono, che toglie un giorno ai pochissimi disponibili prima della scadenza definitiva. Ce la facciamo. Il giorno dopo arriva il “preavviso di rigetto”: mancano alcuni documenti, manca soprattutto una relazione dalla quale emerga con assoluta chiarezza che il lavoro per il quale si vorrebbe assumere questo lavoratore straniero è davvero stagionale. Si inviano i documenti e la relazione. Ma non basta: la relazione non è esauriente, bisogna impegnarsi un po’ di più, aggiungere informazioni… L’Ufficio, contattato telefonicamente, rassicura: si troverà una soluzione, bisogna sviluppare un ragionamento insieme, sarebbe bene che un avvocato contattasse il responsabile dell’ufficio, si deve inviare un documento dal quale risulti che questo lavoratore viene assunto per un periodo limitato… Si fa, tutto quello che chiedono…il documento viene trovato. E’ il “capitolato tecnico”, nel quale è scritto in modo esplicito che il lavoro si svolgerà “dal primo di aprile al 30 di settembre”. Ci sentiamo lievemente sollevati. Ma dall’Ufficio immigrazione non arriva risposta. Passano i giorni… Passa il primo di aprile. Comincia a disperarsi il datore di lavoro che si troverà costretto a rispondere penalmente se il lavoro non verrà svolto secondo le modalità previste dal contratto. Telefona l’avvocato, che ha seguito le ultime fasi di questa vicenda. Il responsabile dell’ufficio dichiara che non hanno deciso ancora nulla, ma questa ditta non è compresa tra quelle che possono offrire lavoro stagionale. Esiste una tabella (cui peraltro non faceva esplicitamente riferimento il decreto flussi), che divide le aziende agricole e florovivaistiche in ditte che possono e ditte che non possono offrire lavoro stagionale. Passano altri giorni. Il datore di lavoro si reca personalmente all’Ufficio per ottenere una risposta e gli viene detto che il lavoro è stagionale, è vero, ma alla sua ditta manca il “codice” della stagionalità; che la domanda non doveva proprio essere presentata; che sarebbe stato meglio cercare, per questo lavoratore, un datore di lavoro nel settore dell’agriturismo, o in qualche grande Hotel, o, meglio ancora, in qualche altra regione. Come dice sempre una mia allieva/amica americana tutto dipende dal fatto che “si nasca dalla parte giusta”. Questi lavoratori che desiderano costruirsi un futuro in Italia non nascono dalla parte giusta, come ci ha fatto capire alla fine l’Ufficio immigrazione. Cinzia Bonato