Altro che terzo mandato. “Uccidere il Re e instaurare la Repubblica”. Piccolo suggerimento per ricostruire un percorso di autonomia democratica

 

Il ruolo dell’autonomia speciale del Friuli-Venezia Giulia si è andato esaurendo negli anni quasi ci sia la percezione di una epoca non più riproponibile e la decadenza dei due obiettivi forti perseguiti nel tempo: dapprima la ricerca di una dimensione economica e sociale quantitativamente adeguata, fabbriche e case nel mirino, poi la ricostruzione del dopo terremoto che, agli stessi obiettivi precedenti aggiungeva la modernizzazione delle infrastrutture e un governo di riequilibrio del territorio. Tema questo ultimo sempre in agenda ma ormai cronicizzato e condizionato da altri poteri.
Oggi la Regione F-VG non è più realmente speciale e vive della medesima crisi delle altre regioni da cui la distingue unicamente una disponibilità di risorse che impiega come una pioggia benefica di premio alle fedeltà politiche. Per di più nelle due materie di reale impegno quali la sanità e l’organizzazione degli Enti Locali non riesce a fare meglio rispetto all’insieme delle situazioni nello stato italiano. Il costante riferimento alla presenza di diversità linguistiche, quali quelle friulana, slovena e tedesca, non è poi diventato elemento portante di una qualche progettualità ma sembra quasi essere il simbolo di una nobiltà comunque decaduta.
Le partecipazioni elettorali si desertificano sempre più, chi vi partecipa lo fa per portare qualcosa a casa, spesso non solo metaforicamente, e chi se ne disinteressa è unicamente disposto ad occuparsi di “cosa pubblica” solo quando direttamente colpito da azioni che considera inaccettabili.
Il dibattito sulla autonomia differenziata ha fatto emergere ulteriormente la fragilità e la debolezza culturale di un sistema politico non in grado di interpretare il significato della stessa specialità attraverso la individuazione di una progettualità forte che la interpreti.
C’è allora da porsi la domanda se sia possibile agire politicamente per ricostruire percorsi democratici che permettano spazi di libertà di conoscenza e di espressione in un variegato territorio storico geografico quale è il Friuli-Venezia Giulia..
Di fronte all’emergere della logica del “fà e disfà” che emerge dalla proposta di ricostituzione delle “vecchie province” quale orizzonte del tutto inutile a cui ci stanno portando le modifiche costituzionali all’esame del Parlamento, ci si deve rendere conto che “non è la Regione F-VG ad avere un problema da affrontare nei diversi territori (e nel rapporto democratico con i cittadini)” ma “è proprio la Regione stessa il problema”.
Il potere monocratico del Presidente della Regione, impropriamente chiamato spesso governatore, nella sua pervasività non è equilibrato né dalla attività legislativa del Consiglio Regionale, né da soggetti di rappresentanza quali il CAL (Consiglio delle autonomie locali) o, ancora meno, dalle Assemblee delle Comunità linguistiche, e si rapporta direttamente attraverso un controllo spietato, giocato dalle attività giuntali, alle forme di rappresentanza di interessi che la stessa società regionale esprime. In sostanza siamo di fronte ad un modello corporativo rispetto a cui la politica, come momento di confronto e di elaborazione, è totalmente estranea.
Da questo ne deriva la convinzione che oggi la azione principale che ogni forza politica interessata alla democrazia deve fare è quella di rompere il percorso che costruisce l’alienazione della società regionale rispetto al sistema istituzionale. Su questa strada va prospettato il rifiuto della elezione diretta del Presidente della Regione e la reintroduzione della sovranità su questo tema da parte del Consiglio Regionale.
E’ evidente che un tale cambiamento deve rivedere l’insieme dei pesi che si determinano in un modello istituzionale riorganizzato anche nelle sue prerogative politiche, a partire dalla legge elettorale e dagli spazi di libertà che da esso ne derivano, così come deve avviarsi una lettura diversa e da protagonismo per il sistema degli enti locali regionali. Ma il punto di partenza necessario è “l’uccisione del re” e il passaggio alla “repubblica”.
Tutto questo si può fare senza alcuna modifica costituzionale dello statuto, che lo prevede all’art.12, normalmente con maggioranze consiliari qualificate, e, qualora la politica organizzata sia totalmente sorda, attraverso processi diretti di partecipazione popolare.
La sbornia della “governabilità” è diventata di fatto una patologia psichica che forse può essere curata prima di fare ulteriori danni nello sfaldamento della democrazia: l’inizio della terapia è a disposizione.

Giorgio Cavallo