Analisi dei flussi elettorali e crisi pentastellata, tutto in attesa delle primarie del PD che comunque vada saranno una svolta
Se volessimo quantificare i fiumi di parole, scritte e dette, utilizzate per commentare la situazione politica del post elezioni sarde non basterebbe la portata del fiume Po in un mese piovoso. In realtà le elucubrazioni, comprensibili per carità per alimentare il circo mediatico, si possono facilmente sintetizzare perchè alla fine, l’analisi dei flussi elettorali è semplice, come semplice era un anno fa, quando a finire nel tritacarne del fallimento elettorale fu il centrosinistra renziano. Il PD si autoaffondò per le sue politiche neoliberiste, per il fatto di aver dimenticato nell’azione di governo, mantenendone solo una memoria esteriore, la propria natura socialdemocratica rinnegando nei fatti le radici comuniste e socialiste italiane. L’attenzione a finanza, finanzieri, banche e banchieri e non alle classi popolari e medie era drammaticamente chiara, dando non solo la percezione di seguire interessi “altri” da quelli del proprio elettorato di riferimento, ma diventò palpabile con l’abolizione dell’art.18e la precarizzazione del lavoro. Fatti questi ancora negati da gran parte della dirigenza “Democratica” oggi alle prese con le primarie. Un negazionismo che se mantenuto resterà un freno a qualsiasi possibile ripresa di un centrosinistra ancora il crisi, anche se un sentiero in direzione di ripresa si può intravvedere proprio dalle elezioni amministrative recenti che hanno vista una certa marginalizzazione della struttura del Pd in favore di associazioni e movimenti. Tornando al M5stelle questo ha pagato lo storico non radicamento sul territorio, ma soprattutto l’appiattimento rispetto alla Lega di Matteo Salvini e non solo sul tema migranti. Ci sono poi gli errori clamorosi del trio Di Maio, Di Battista, Toninelli che olttre ad una palese inconcludenza su molti temi stanno snaturando alcuni principi base del Movimento che li ha portati ai vertici del Paese. Passare dal 42% al 9,8% non può essere spiegato e archiviato solo con il fatto che le elezioni regionali non sono assimilabili alle nazionali. E’ un trucchetto da vecchia politica come vecchissimo è vedere il bicchiere mezzo pieno sbandierando come vittoria il fatto che il M5S entra per la prima volta in Consiglio regionale della Sardegna. Più chiaro il senso della sconfitta cocente lo si ha se si guardano i voti assoluti, in Sardegna il M5S ha perso 300.000 voti su circa 400000. in sostanza solo un sardo su 4 ha rivotato per i grillini. Sul piano della analisi a pochi giorni dal lento e faticoso sfoglio, gli analisti dei flussi elettorali hanno espresso le loro deduzioni: il voto per le Regionali in Sardegna, al netto della perdita della Regione, conferma una lieve ripresa del Centro Sinistra rispetto alle Politiche di un anno fa. Secondo l’istituto Demopolis, su 100 elettori che domenica hanno votato Massimo Zedda, 51 avevano scelto il Pd nel 2018, quasi uno su cinque aveva optato per altre liste di sinistra o di centro sinistra. Ma hanno scelto Zedda anche 18 elettori su 100 che avevano votato per il M5S e 12 che alle Politiche avevano preferito l’astensione o altre liste. È un dato che trova conferma anche nel trend nazionale sul peso del Pd. Sostiene Demopolis che se si votasse oggi, il Partito Democratico otterrebbe il 18%, un punto e mezzo in più rispetto a dicembre. Demopolis ha chiesto cosa servirebbe per un vero rilancio del Pd. Per 4 italiani su 10 si tratta di ritrovare una sintonia con le attese dei cittadini; il 31% vorrebbe un radicale rinnovamento della classe dirigente. Per il 25% nel Pd dovrebbero smetterla di litigare. Del resto la lunghissima usurante, quanto poco produttiva sul fronte delle idee, campagna congressuale dei democratici ha provocato uno scarso interesse per le primarie di domenica prossima: gli appassionati sono il 10%, gli informati il 27%. Gli altri non seguono. L’Istituto diretto da Pietro Vento ha sondato le preferenze di chi ha votato Pd alle ultime politiche: Zingaretti è in testa con un dato tra il 48 ed il 60%. Martina è distaccato di una ventina di punti, Giachetti oscilla tra l’8 e il 18. Ma ovviamente il dato potrebbe cambiare in relazione alla quantità e alla qualità dell’affluenza e alla possibilità che possano arrivare, magari dall’esterno, sostegni a qualche candidato dato che il voto è open, aperto ai passanti, ed è dunque manipolabile.
Tra gli elettori del Pd il 13% è determinato a votare per il nuovo segretario: si tratta di circa 800 mila cittadini. L’11%, un segmento di altri 700 mila elettori, deve ancora decidere se recarsi o meno ai gazebo domenica prossima. Tre elettori su 4 del Pd sembrano invece orientati a non votare. Dalla prima volta con Prodi, il numero dei votanti alle primarie del Pd è andato sempre diminuendo, una tendenza che difficilmente si invertirà domenica. Un milione di elettori, come auspicato da Martina, contro il milione e 800 mila del 2017 – sarebbe sicuramente un successo, ma ancora di più lo sarebbe se dal voto uscisse quella auspicata discntinuità nelle politiche del PD che ne hanno snaturato la collocazione politica.