Andare avanti nella lotta alle mafie

Non ci sono parole per descrivere i meriti di LIBERA e di quel gigante di Don Ciotti che ne è l’anima pulsante. Dopo la tre giorni di Trieste le sue parole hanno frantumato ogni dubbio sulla necessità di andare avanti nella lotta alle mafie.
Nella conferenza plenaria di domenica al Teatro Miela si sono tratte le conclusioni maturate dagli otto gruppi di lavoro raccolti in quattro distinte aree tematiche. Un lavoro intenso, frutto di specifiche analisi affidate ad una settantina di relatori che nella giornata di sabato si erano confrontati davanti a centinaia di spettatori. Ancora più stimolanti si sono al fine rivelati
gli interventi conclusivi affidati al generale Giuseppe Governale, quale direttore della DIA, del Procurate Generale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho e, per l’appunto, a don Luigi Ciotti.
Non vi dico l’emozione del miscredente quale sono, nel vedermi abbracciato al suo arrivo in sala, quasi gli fossi fratello a don Luigi. E che dire delle tante persone per bene accorse per l’occasione, non ultimo di quel gigante buono di don Vatta che stringi al petto e che, vigoroso servo degli ultimi,  d’immediato si sottrae ad ogni personale visibilità. O ancora quel Nicola
Morra dei Cinque Stelle che, per essere il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, è rimasto inchiodato alla manifestazione per tre giorni di seguito senza perdersi una sola battuta. E che dire degli uomini delle scorte che hanno affollato il proscenio e che, richiamandoti alla mente il sacrificio di Walter Cosina e dei troppi agenti uccisi, ti inducono a riflettere sul fallimento di uno Stato che ha ancora bisogno delle scorte armate. Che dire infine di quella parlamentare giunta per farsi notare, o di una Regione, la nostra, che non si è curata di inviare uno straccio di rappresentante?
Un incontro memorabile quello di domenica, incontro che avrebbe dovuto essere diffuso in tutte le scuole dell’obbligo e che invece è stato divulgato con disarmante superficialità, nonostante la vulnerabilità della nostra Regione manifestata dal procuratore Carlo Mastelloni e nonostante le preoccupazioni di cui il giudice Borsellino si era già fatto carico sin dal gennaio del 1989. Nel suo intervento don Ciotti è stato categorico nel ricordare che la strada da compiere è ancora lunga e che per liberarci dalle mafie non resta che percorrerla insieme, “con il coraggio della verità”: “il
coraggio di guardare le cose in faccia, di raccogliere insieme i segni di speranza evitando pericolose illusioni.” Con il piglio del montanaro cadorino egli ha dunque imboccato la strada della verità ad ogni costo, il dovere “a riconoscere il positivo senza dimenticare il negativo”, raccogliendo insieme ogni segno di speranza. Si è quindi speso sul dovere di formare le coscienze e sulle insidie di una informazione spesso artefatta che non è conoscenza e che non può essere considerata alla stregua del carrello di un supermercato che passa in mezzo agli scaffali, raccogliendo frettolosamente tutto ciò che attrae maggiormente, a prescindere dalla qualità e utilità. Non ha nemmeno rinunciato ad esprimere qualche autocritica e la sua preoccupazione per talune devianze all’interno della stessa organizzazione di Libera. Senza reticenze di sorta ha avuto il coraggio di dire che “c’è anche una antimafia malata, gravemente malata, antimafia conformista, che parla, parla.. e scrive, scrive…”. Interrotto dagli applausi non ha mancato di richiamare il dovere di realizzare i dettami della Costituzione, tenendo presente “che solo una società giusta è una società libera; che non basta reclamare i diritti, ma che bisogna anche chiederci cosa abbiamo fatto per difenderli…”
La tre giorni di studio e confronto, “Contromafiecorruzione Nord est”, in programma a Trieste, è stata il degno preludio della XXIV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie, che sarà celebrata il 21 marzo con una grande manifestazione nella città di Padova.
Noi, che non le mandiamo a dire, anche a costo di irritare i padroni del vapore e i loro servi, ebbene noi non ci siamo sentiti completamente appagati: abbiamo voluto dire la nostra e oggi non ci tratteniamo dal  ribadirla, proprio in nome di quella ricerca della verità invocata da Ciotti.
Privi del dono della ubiquità che ci avrebbe permesso di presenziare ad ognuno degli otto i gruppi di lavoro, abbiamo dunque optato per quello dedicato alle agromafie e al caporalato del Nordest. Volevamo infatti vedere se Gian Carlo Caselli, che lo guidava, avesse recepito alcune rivelazioni circa la penetrazione delle mafie nel nostro territorio e si fosse ravveduto sul potenziale criminogeno dei lavori della TAV. Sin dalla mattinata avevamo prenotato un intervento, convinti della utilità di dare un contributo alla conoscenza mettendo a confronto le dinamiche della mafie
del Basso Lazio con quelle manifestate dalle parti nostre e di cui avevamo già dato, ma inutilmente, notizia a Caselli.
Ci eravamo in particolare ripromessi di ascoltare l’intervento della dottoressa Viviana Del Tedesco della Procura di Udine, certi che avrebbe rivelato le ragioni della scarsa attenzione che quella Procura dedica alle nostre denunce in materia ambientale e non solo. Eravamo convinti che avrebbe finito per raccontare le ragioni per le quali aveva inteso archiviare tutte le denunce pervenute in Procura a carico della società Terna impegnata nella realizzazione del tanto deprecato mega elettrodotto aereo che sovrasta il Friuli. Ci eravamo anche illusi di conoscere i motivi dell’accanimento giudiziario nei confronti della Sopraintendente Picchione, che pure si era distinta nella difesa dei beni paesaggistici e monumentali aggrediti da ben noti potentati della nostra Regione. Ci sarebbe anche piaciuto conoscere le ragioni per le quali si è dovuta attendere l’iniziativa della Procura di Gorizia per sanzionare l’operato delle imprese operanti in Friuli e un andazzo che quel Procuratore Capo ha definito una vera “metastasi”. Per tutta risposta Caselli si è concentrato sul caporalato e sulla raccolta dei pomodori nel Salento. Da parte sua la Del Tedesco ha invece
dimostrando di aver sbagliato convegno, dedicando tutto il suo intervento ad una dotta dissertazione sulla moria delle api… non senza manifestare una certa soddisfazione per le pene inflitte agli agricoltori che si sarebbero resi colpevoli della loro morte con l’uso di trattamenti del mais rivelatisi letali. E allora come non pretendere di dire la nostra; tanto più a fronte al solito
malvezzo di Caselli di comprimere il dibattito. Dopo tutto ci era stata promessa la parola e, ob torto collo, ce la siamo presa per spiegare come si fa presto a criminalizzare gli agricoltori quando non sono altro che l’anello debole di una catena in cui prevalgono le logiche e gli interessi del mercato dei veleni, dei vari Assessorati, dei mezzani addetti ai contributi comunitari, dei Consorzi, delle Associazioni di categoria, dei Consorzi di bonifica, dei terzisti, degli organi di controllo che non controllano affatto. Senza contare la monocoltura del mais che per essere ben poco redditizia assorbe risorse idriche smisurate e quantità di pesticidi sempre più ingenti e tanto pericolosi da compromettere le acque di falda in un crescendo fuori da ogni effettivo controllo. Abbiamo anche tratteggiato il grave stato del nostro corpo idrico, quale è stato finalmente confermato dall’ISPRA sulla base dei medesimi rilevamenti di una ARPA regionale, che per essere spesso reticente o “distratta”, viene pur sempre incaricata dalla Procura di esperire le Perizie di Ufficio. Con un apparato regionale elefantiaco, per non dire clientelare e poco motivato, davanti agli atteggiamenti inquisitori squilibrati e il servile agire delle testate giornalistiche, sempre pronte a stare dalla parte del più forte, come si fa a pretendere che il mondo rurale mantenga il suo antico rigore, la religiosità che lo legava alla patria terra, l’antica fiducia nelle istituzioni? Come poter chiedere all’agricoltore di moderare l’uso dei pesticidi quando il maggior uso dei vicini aumenta la vulnerabilità del suo podere? O chiedergli di non fare il furbo quando è circondato da un mondo di furbi che esercitano impunemente l’abuso di posizione dominante, fanno sparire le denunce a loro carico dal tavolo della Procura Generale di Roma e si avvalgono dei migliori avvocati per addormentare le cause sino alla prescrizione dei reati?
Inutile tirare in ballo le statistiche nazionali quando la nostra pianura è preda di una cementificazione senza eguali e quando nessuno presta ascolto alle istanze della gente? E allora come non avvertire la presenza di una cupola che tramite una Regione imbelle affonda i suoi artigli nei beni comuni e sotto gli occhi della magistratura e delle forze dell’ordine sottrae al popolo maranese che ne è proprietario, l’intera laguna? E allora di fronte a tanto disordine e alle chimere del guadagno facile, come si fa a non avvalersi di qualche caporale che va a prendersi le donne in Ucraina o in
Romania per destinarle ad ogni uso agricolo, e non solo? Come non tuffarsi nell’affare del Prosecco anche a costo di andare a comperare le quote di vigneti inesistenti, proprio dalla mafia siciliana, o dalla ndrangheta calabrese o dalla camorra del Vesuviano? Dopotutto la sfiducia nelle istituzioni fa sempre rima con la complicità e se in Meridione le mafie hanno
bisogno di esibire i muscoli, da noi si muovono nel burro.
Le critiche di Ciotti nei confronti di quelli che nell’antimafia chiacchierano, chiacchierano ci fa drizzare le orecchie e ci fa chiedere se basta partecipare alla stesura di un libro sulla mafia del Nordest per guidare l’Osservatorio Regionale Antimafia. Chi si fa carico di mentire e favorire gli interessi dei padroni dell’energia e poi si rifiuta di emettere una rettifica, è forse degno
di una simile carica? Può egli tacere le porcherie di questa Regione e assumere le difese di una impresa non appena viene inquisita dalla Procura di Gorizia che indaga sul verminaio degli appalti e sulla metastasi regionale?
Tibaldi Aldevis

Comitato per la Vita del Friuli Rurale