Arrestato a Capodistria il terrorista nero Fabrizio Dante. L’uomo latitante è condannato in via definitiva all’ergastolo

Sono passati 37 anni da quando, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 1985, un agente della polizia stradale rimase ucciso – e un collega ferito – per mano dei terroristi neri dei Nar. E’ terminata oggi a Capodistria, a pochi km dal confine con l’Italia, la latitanza di Fabrizio Dante, 59 anni, terrorista condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’agente di polizia Giovanni Di Leonardo, avvenuto lungo l’autostrada Roma-L’Aquila.

La vittima l’agente della polstrada Giovanni Di Leonardo,

Dante si era reso irreperibile da circa una settimana, dopo che la condanna all’ergastolo era stata confermata in Cassazione. Sulle sue tracce c’erano i funzionari e gli agenti della direzione centrale di polizia criminale e della polizia di prevenzione e il servizio di cooperazione internazionale che hanno allertato i colleghi sloveni che hanno provveduto all’arresto. Ora si attende l’esito della procedura di estradizione. Le circostanze dell’arresto non sono state ancora rese note ma secondo un quotidiano sloveno la polizia avrebbe arrestato il soggetto mercoledì sera scorso, mentre si trovava in una trattoria nella frazione di Olmo. L’agguato del 1985 fu firmato dai Nar, l’organizzazione responsabile di una lunga stagione di sangue del terrorismo di estrema destra. I malviventi fermarono la pattuglia della polstrada fingendo un’avaria all’automobile. I due agenti furono aggrediti, Di Leonardo colpito da un proiettile al torace; il suo collega fu immobilizzato. Il caso fu risolto quasi 30 anni dopo partendo da una foto e grazie a un’impronta rilevata sull’auto della polizia, che ha trovato riscontro con la banca dati delle forze dell’ordine; gli altri componenti del commando omicida non sono mai stati identificati. Dante fu condannato all’ergastolo in primo grado e in appello dalla prima Corte d’assise di Roma che chiuse questa terribile pagina italiana condannando al massimo della pena, l’ergastolo, Fabrizio Dante. Secondo i giudici Dante è un componente del commando che quella notte uccise l’agente della polizia stradale. La Corte ha riconosciuto la finalità di terrorismo dietro un omicidio volontario che all’epoca ebbe grande eco nell’opinione pubblica. Un agguato rimasto al buio per tanti anni; fino a quando è arrivata in soccorso la tecnologia investigativa più moderna rispetto a quella del 1985. I fatti apparvero chiari agli investigatori fin da subito. Quella notte, sull’autostrada Roma-L’Aquila, a poca distanza dallo svincolo di Castel Madama, l’attenzione di una pattuglia della Polizia Stradale fu catturata da due persone che fecero loro segno di fermarsi. L’autovettura si trovava in sosta sulla corsia d’emergenza accanto a una seconda macchina con il cofano aperto e i fari accesi. Una volta avvicinatisi, da una siepe sbucarono alcuni uomini armi in pugno. L’agente Di Leonardo, che era rimasto a bordo della pattuglia, secondo quando ricostruito, cercò di reagire impugnando la pistola, ma fu raggiunto da un colpo al torace; anche il collega Turrigiani fu ferito. I due agenti furono immobilizzati con le loro stesse manette e gettati in un canale di scolo; gli assalitori fuggirono, facendo perdere le loro tracce. Fu necessario qualche minuto perché uno dei due poliziotti riuscisse a risalire in strada, fermare un’automobilista in transito e chiamare i soccorsi. L’agente Di Leonardo morì dopo poco in ospedale mentre il suo collega Turrigiani nonostante ferito scampo alla morte. Secondo la ricostruzione accusatoria, l’agguato – che fu rivendicato dai Nar – sarebbe nato dalla volontà di impossessarsi delle armi degli agenti. L’agguato, però, sul tema della responsabilità rimase all’oscuro per tanti anni. Poi, la nuova tecnologia ha consentito di comparare due impronte, una ritrovata sull’auto della polizia stradale quel giorno e una seconda risalente al 1989, prelevata in occasione di un arresto. Di lì si è arrivati alla chiusura del cerchio. Ergastolo per Fabrizio Dante, ritenendo provata, anche sotto il profilo scientifico, la responsabilità dell’uomo nell’agguato e anche i considerazione del fatto che l’uomo ha mantenuto il silenzio sull’identità dei complici.