«Autonomia differenziata: a rischio welfare, scuola e politiche industriali»

Un percorso di attuazione dell’autonomia differenziata come quello delineato dal disegno di legge Calderoli, varato nel marzo scorso, rafforza il rischio di un nuovo regionalismo su misura delle regioni ricche, con minori garanzie sulla solidarietà tra le diverse aree del Paese e il rischio di un allargamento insostenibile degli attuali divari, non solo territoriali ma anche sociali ed economici. È quanto ha dichiarato il segretario regionale della Cgil Villiam Pezzetta, aprendo il seminario sull’autonomia differenziata tenutosi oggi nella sede della Camera del lavoro di Udine. «Siamo di fronte – ha aggiunto Pezzetta – a una visione delle autonomie regionali dove non sono i diritti ad essere assicurati, ma sono le funzioni ad essere traferite. È in questa ottica che si rende palese il rischio di un’attuazione dell’autonomia differenziata in violazione dei principi supremi della nostra Costituzione».

Dito puntato, in particolare, contro il rischio di frantumazione delle politiche unitarie sulla scuola, il mancato legame tra i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e i Lea sociosanitari, la possibilità che finiscano in mano alle regioni competenze fondamentali per le strategie di politica economica nel Paese. In questo senso l’allarme lanciato da Christian Ferrari, della segreteria nazionale Cgil, nel suo intervento conclusivo. «La Cgil intende riaffermare un’idea di Paese dove i diritti sociali e civili siano garantiti a prescindere dalla famiglia e il luogo dove nasci o risiedi, mentre questo disegno di legge mette in discussione l’unitarietà delle politiche pubbliche e il sistema universale di welfare. Ma il ddl Calderoli permette di devolvere alle Regioni anche temi di valenza strategica come le politiche dell’energia, degli investimenti infrastrutturali, la gestione di porti e aeroporti, che nel momento in cui fossero davvero devoluti alle Regioni, farebbero venir meno la possibilità di un governo nazionale unitario delle politiche economiche e industriali». Dietro al ddl, per Ferrari, anche «un’idea neocentralista nazionale che marginalizza la vera dimensione di prossimità amministrativa, che è quella dei Comuni e delle autonomie locali».

In discussione non è il principio dell’autonomia differenziata, introdotto nella Costituzione nel 2001 con la riforma del titolo V, ma la filosofia e i contenuti del disegno di legge varato dal Governo. «Il ddl – ha spiegato Marco Cucchini, politologo e costituzionalista dell’Università di Udine – è un passaggio necessario per dare attuazione all’articolo 116. Quello che non convince è che praticamente in ogni passaggio sembra che si voglia ridurre la discussione sull’autonomia a un rapporto a due tra il Governo e il presidente di ogni singola regione, escludendo di fatto il Parlamento, il Presidente della Repubblica e i corpi di intermediazione sociale. Una logica verticistica, quasi di patto tra soggetti monocratici, che ha poco a che fare con la lettura virtuosa del federalismo».