Bizantinismi ed arabeschi

Pare che per ogni guerra che si sia scatenata negli ultimi anni, la Turchia abbia acquisito maggiore peso internazionale. Sarà forse per questo che, come ordinato dal suo capo supremo Erdogan, ultimamente ha deciso che non si dirà più Turkey ma Turkiye, un’ulteriore aggiunta di sano nazionalismo non potrà certo far male. Ma al di là di queste quisquiglie, più la sua influenza si espande, più si sente in diritto di minacciare a destra e manca e più determinati equilibri si giocheranno al suo tavolo. Mi pare doveroso a questo punto stilare una breve lista degli scenari in cui la presenza di Ankara risulta determinante.
La guerra in Ucraina è probabilmente quella che fa apparire più chiaramente il peso della Turchia (pardon, Turkiye) sui quadranti internazionali. Perlomeno è quello il palcoscenico più gettonato e dunque maggiormente visibile. Il protagonismo di Erdogan che si spaccia per interlocutore sia per garantire le forniture di grano al resto del mondo che per un eventuale percorso alla ricerca di un’intesa tra Russia ed Ucraina, lo rende un attore indispensabile per gli equilibri attuali e futuri di quella crisi.
Un altro, non meno importante, è quello libico dove la Turchia di fatto guida e amministra il governo di Tripoli (altro che l’Italia…); sì, perchè quello non è l’unico governo di quel Paese in cui a Bengasi il generale Haftar, sostenuto da Mosca, ha un apparato del tutto indipendente da Tripoli. Lasciando ovviamente perdere il Fezzan (mica bruscolini..) che a sua volta si fa gli affari propri. Sta di fatto che buona parte delle potenziali (nel senso che non vengono ancora sfruttate a dovere) risorse energetiche del Paese Mediterraneo sono controllate da Ankara. Alla faccia del nostro Bel Paese.
Preoccupanti venti di guerra soffiano anche sul Mediterraneo orientale dove a causa degli interessi di sfruttamento dei giacimenti di gas sottomarini, i turchi recriminano nei confronti dei greci. Per ora ci si limita alla voce grossa e alle minacce, ma chissà.. le elezioni in “Turkiye” sono ormai prossime ed Erdogan prova a limitare i danni provocati da un’inflazione galoppante e da una svalutazione della lira turca che mette a dura prova la vita dei suoi connazionali. Ci vuole certo qualcosa che risollevi il loro morale e il nazionalismo fa sempre breccia.
Non andrebbe dimenticato lo scenario Caucasico, la guerra sotterranea (ma non solo) tra Armenia e Azerbaijan in cui il ruolo della Turchia è palese. Non altrettanto le sue intenzioni rispetto a quello scenario in cui i suoi interessi si scontrano evidentemente con quelli russi. Certo è che più sono i fronti in cui Mosca si trova invischiata, più la sua presenza si indebolisce favorendo, per l’appunto, il ruolo di Ankara. Bella gatta da pelare anche questa per Putin & C. che rischiano di perdere la loro influenza, fino ad oggi indiscussa, su Yerevan nonché sui traffici di gas e petrolio che li vedono sempre più tagliati fuori dalle stanze dei bottoni.
Meglio anche tenere in mente che, oltre all’Azerbaijan, Ankara mantiene importanti legami con tutti i Paesi turcofoni come il Turkmenistan, nonché con la regione cinese dello Xingjiang, i cui abitanti sono prevalentemente musulmani.
C’è poi l’annosa questione siriana; sono passati quasi 12 anni dall’inizio del conflitto e la situazione permane intricata come un cespuglio di rovi. Anche qui russi e turchi s trovano su due posizioni opposte e gli interessi degli uni cozzano contro quelli dell’altro. Mosca ha nel governo siriano un alleato di acciaio, la Turchia al contrario un fiero nemico, ovviamente tali rapporti si basano su interessi e su mire contrapposti. Ankara ha più volte invaso i territori al confine e anche se le sue truppe difficilmente sono coinvolte nei combattimenti, i miliziani dell’Esercito Libero Siriano (FSA) a nord e gli ex Al Qaeda (HTS) ad ovest, garantiscono il controllo degli interessi turchi nell’area.
Ciò che viene direttamente garantito dall’esercito turco, più che altro dall’aviazione in realtà, sono gli attacchi con droni che eliminano miratamente i quadri dell’amministrazione (AANES) del NES (North East Syria) e del suo esercito (SDF); in parole povere i kurdi di ciò che rimane del Rojava. Le scaramucce che fino ad oggi caratterizzavano gli scontri tra le forze armate di Damasco e i gruppi dei “ribelli” appoggiati dai turchi di cui sopra, si sono recentemente intensificati ed attacchi e contrattacchi si susseguono in modo più deciso. FSA e HTS pare non gradiscano eccessivamente il recente riavvicinamento, voluto fortemente dalla Russia, tra Erdogan e Assad che se andasse a buon fine (cosa del tutto teorica al momento anche perché i reciproci scambi di artiglieria sono piuttosto frequenti), metterebbe in discussione il ruolo delle due fazioni che ora controllano i territori che dovrebbero in qualche modo, ancora non è chiaro come, rientrare sotto il controllo di Damasco.
Questo perlomeno è l’obiettivo che Mosca cerca di realizzare e che nel caso rappresenterebbe un ulteriore smacco agli USA e alla NATO, rafforzando il ruolo della Russia nell’area e nel Mediterraneo. Non si capisce bene per ora attraverso quali criteri le zone di Afrin, di Al Bab, di Jarabulus ad ovest dell’Eufrate e l’area che va da Tel Abyad a Ras el Ain (in NES) gestite da SNA (Syrian National Army in cui sono confluiti il FSA e molti altri gruppuscoli di oppositori di Assad) e della sacca di Idlib in cui governa HTS, dovrebbero essere governate e da chi essere gestite.
Fatto sta che tra una minaccia di ulteriore invasione da parte della Turchia ed un incontro tra le diplomazie siriane e turche, la temperatura nelle zone sopra descritte sale e gli scontri si fanno più frequenti. Allo stesso tempo anche l’Isis intensifica gli attacchi alle truppe di Damasco e alle milizie filo iraniane presenti in forza soprattutto nelle regioni desertiche di Homs e a ridosso dell’Eufrate nell’area di Deir ez Zor. Certo è che se un accordo dovesse andare in porto, rimane poco chiaro come potrebbe realmente reggere, che fine dovrebbero fare le milizie filo turche che occupano buona parte del Kurdistan, chi ripopolerebbe quelle aree e che fine farebbero i kurdi che governano quel poco che è rimasto del Rojava, ma che in qualche modo mantengono in piedi un autogoverno che gestisce anche buona parte del NES a maggioranza araba.
Insomma, la Turchia sarà anche in una situazione economica disastrosa, Erdogan rischia di perdere le prossime elezioni, ma chi le vincerà non potrà cambiare le cose con un semplice colpo di spugna, soprattutto se si considera che il governo attuale, favorito dall’esistente contesto geopolitico, ha rafforzato enormemente la posizione internazionale di Ankara ed ha posto le basi per fare della Turchia un interlocutore indispensabile se si vorrà cominciare a risolvere almeno qualcuna delle spinose questioni che fanno dell’area che va dal Nord Africa al Madio Oriente ed oltre, un enorme territorio dall’alto contenuto esplosivo. Game is not over.

Docbrino