Braccianti stranieri ridotti in schiavitù nei vigneti di Friuli e Isontino. Arrestati i caporali. Le aziende “schermate” da società di intermediazione di manodopera?
Certe cose da noi non succedono. Era questa la convinzione comune quando si parlava del fenomeno del caporalato in agricoltura. Ed invece ecco l’ennesimo amaro risveglio rispetto ad un Friuli che non c’è più, sempre che vi sia stato. Anche nel profondo nordest in realtà lo sfruttamento dei lavoratori è da sempre presente, anche se in forme meno eclatanti. Quello che è cambiato quindi non è lo sfruttamento che esiste da sempre e che grazie ad alcune norme è perfino legalizzato, ma alla spregiudicatezza con la quale certi fenomeni siano stati accolti e digeriti da parte di una imprenditoria che non fa domande e punta al massimo profitto ad ogni costo. Così non meraviglia che ella bassa friulana e nell’isontino trenta braccianti fossero trattati come schiavi, privati di fatto della libertà, rinchiusi in magazzini dormitorio di notte e impiegati per almeno 10 ore come manodopera in affitto, utilizzati da aziende agricole locali. A scoprire l’orribile vicenda la Guardia di Finanza di Gorizia che oltre che liberare i malcapitati lavoratori, hanno arrestato quattro persone. Tre di queste sono di nazionalità rumena e una di nazionalità moldava. Tutti sono accusati del reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera, con le aggravanti della minaccia, del numero e della minore età di alcuni dei lavoratori( uno di età inferiore ai 16 anni). I lavoratori venivano alloggiati in tre dormitori con precarie condizioni igienico-sanitarie, stipati in spazi stretti e pagati una miseria. I militari delle Fiamme gialle hanno scoperto questa situazione di estremo sfruttamento a seguito di una una segnalazione da parte di un cittadino rumeno che aveva informazioni da un proprio connazionale scappato da quella situazione di sfruttamento e che, evidentemente, per paura non si sentiva di denunciare i fatti direttamente. L’uomo ha raccontato che il suo conoscente gli aveva raccontato che lavorava come bracciante agricolo per un gruppo di presunti “caporali”, anch’essi rumeni e che erano tante le persone che subivano questo trattamento di semi-schiavitù. La fonte anonima, inoltre, aveva anche fornito il nome di uno dei responsabili e una sua foto. Sulla base di questi elementi e dei primi riscontri, gli investigatori delle Fiamme gialle hanno avviato le indagini identificando più persone coinvolte. Sono scattati sopralluoghi e sono state verificate le circostanze segnalate. A quel punto sono stati monitorati telefoni e social network, così i militari hanno scoperto che esisteva un vero e proprio sistema pianificato di sfruttamento gestito da alcune persone a Romans d’Isonzo. Queste persone impiegavano manodopera agricola mandandola a lavorare alla potatura delle vigne in diverse aziende agricole della zona dell’Alto Isontino e della Bassa Friulana. Successivamente la Guardia di finanza è riuscita sia a mettere sotto controllo i telefoni dei presunti “caporali” sia a installare rilevatori GPS su alcuni dei pulmini utilizzati per il trasporto dei lavoratori, ricostruendo il modus operandi del sistema di sfruttamento e mappando per settimane le azioni della banda criminale. Il sodalizio, come già accennato in apertura, era composto da tre persone di nazionalità rumena e una di nazionalità moldava, riconducibili a due società di intermediazione di manodopera, una con sede in provincia di Gorizia e una di diritto rumeno. Tali società avevano a disposizione alcune decine di lavoratori stranieri prevalentemente di nazionalità più rumena, impiegati in assenza di contratto e in spregio ad ogni regola. Ricostruita la filiera ed il modus operandi: i braccianti venivano prelevati all’alba dai dormitori dove erano stati sistemati dai caporali e portati in pulmino nei luoghi di lavoro dove prestavano la loro opera in turni di almeno dieci ore. La sera riportati nei dormitori fatiscenti, privi delle più elementari condizioni igienico sanitarie. Rinchiusi a chiave di notte per evitare fughe in attesa di andare al lavoro il giorno dopo. Unico giorno di riposo, ma non sempre, la domenica. Nessun contratto, nessuna sicurezza sul lavoro e pochi soldi. I lavoratori hanno raccontato di aver subito ricatti e minacce ogni giorno e che erano stati sottratti loro i documenti che sarebbero stati restituiti solo al termine della stagione lavorativa. La maggior parte di queste persone era stata reclutata nel distretto di Arad, area fra le più povere della Romania, con la promessa di poter mandare alle proprie famiglie rimaste in patria la paga tramite money transfer. I braccianti hanno testimoniato confermando completamente l’impianto investigativo sottolineando anche che, dal salario irrisorio che percepivano, venivano arbitrariamente decurtate le spese per vitto, trasporto e alloggio. Il sodalizio criminali come già detto, era composto da tre persone di nazionalità rumena e una di nazionalità moldava, riconducibili a due società: una con sede in provincia di Gorizia e una di diritto rumeno, entrambe operanti nella fornitura di manodopera. Tali società avevano a disposizione alcune decine di lavoratori di nazionalità per lo più rumena, impiegati in assenza di contratto o, comunque, in maniera irregolare. Nulla al momento si conosce relativamente alle responsabilità di chi utilizzava quei lavoratori, quelle aziende che evidentemente non fanno domande se non quelle relative al costo del “servizio” che più basso è meglio è. In passato soprattutto nel centro sud d’Italia, dove il sistema è nato, i cosiddetti caporali, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali, fungevano da intermediari diretti con i datori di lavoro, arruolando la mano d’opera e trattenendo per sé una parte del compenso. Oggi il sistema si è evoluto con il filtro ulteriore di una agenzia interinale che dovrebbe “proteggere” e schermare le aziende proprietarie delle terre e nel nostro caso dei vigneti. Ma è facile sospettare che queste aziende non potevano non sapere chi fossero e come lavorassero quei disperati nelle proprie terre e vigne.