Buon compleanno
Un anno, un lungo anno per chi si è trovato in mezzo a quell’enorme devastazione cominciata, anche se non è proprio così, il 7 ottobre di un anno fa. Da quella data, la vita di milioni di persone che già vivevano in situazioni precarie, si è trasformata in incubo. Le notizie che arrivavano sin dalle prime ore di quel giorno avevano dell’incredibile; le milizie di Hamas ma anche della Jihad Islami e altri gruppi minori erano entrate in territorio israeliano ammazzando 1200 persone Altre 250 erano state prese, sequestrate e portate a Gaza.
Un trauma per Israele certamente non pronto a ricevere una notizia del genere. Il sistema di sicurezza considerato praticamente inviolabile, perlomeno in grado di impedire atti organizzati come l’attacco di quel giorno, era stato spazzato via in un baleno praticamente senza opporre resistenza. Il kibbutz di NIr Oz al confine tra Israele e Gaza era stato assaltato e molti dei suoi abitanti uccisi senza tanti complimenti. I miliziani si erano poi trovati di fronte ad un gruppo di giovani che avevano organizzato un rave party e ne hanno spazzati via qualche centinaio. Si parla di barbarie atroci, di bambini sgozzati e decapitati, di violenze sessuali nei confronti delle donne, di orribili amputazioni, di corpi bruciati vivi. Rimangono da stabilire quanti siano quelli uccisi invece dal cosiddetto fuoco amico. Un altro documento realizzato dalla stessa emittente qatariota pone molti dubbi sulla versione ufficiale rilasciata da Tel Aviv.
Fin qui le notizie ufficiali. Da qui in avanti la macchina dell’informazione “controllata” comincia a macinare il suo lavoro e tutto ciò che viene pubblicato passa attraverso uno stretto controllo. Almeno presso i media “mainstream”, mentre ci sono ancora mezzi di informazione che riescono a dare notizie di prima mano senza passare attraverso la gogna del controllo ufficiale. L’occidente inorridisce, risponde con sdegno, non accetta e accusa gli autori dell’operazione di comportamenti disumani. Dimenticando più di 70 anni di soprusi, di violenze, di occupazione abusive (circa 700.000 coloni) della Cisgiordania e di isolamento di Gaza, di apartheid ai danni dei palestinesi cittadini di Israele. Tutto ciò dovrebbe far capire che prima o poi certe situazioni non possono che sfociare in reazioni da parte di chi queste vessazioni continua a subirle.
Vogliamo definire Hamas e Hezbollah come terroristi? Dall’alto di quale pulpito? E lo Stato di Israele come dovremmo dunque definirlo? Ribellarsi a tutte le violenze subite non è solo legittimo, ma è inevitabile. Mi chiedo come reagiremmo noi; anzi mi pare che una risposta esista già nella nostra storia, quando i nostri padri presero le armi e combatterono contro gli invasori. È dunque diverso? Probabilmente sì, perché la storia mai si ripete uguale, diverso è il contesto, ma uguale rimane il diritto di prendere a schioppettate chi vuole e senza diritto alcuno farci sottostare al suo giogo.
Si può anche ragionare sul fatto che né Hamas, né Hezbollah siano organismi democratici, che l’Islam che predicano e applicano è radicale e che mirino più ad una teocrazia che ad una vera democrazia. Ma quale alternativa rimane ai palestinesi? L’ANP rappresentata da Abu Mazen, dal suo corrotto entourage o dalla sua polizia che collabora attivamente con Israele?. C’era un tempo un’entità politica palestinese emancipata e con radici nella tradizione della sinistra, ma è stata spazzata via da Israele e dai Paesi arabi che si supporrebbero amici dei palestinesi, ma che vedevano nelle idee democratiche dell’OLP (ma anche in alcuni tentativi di “vie al socialismo” in Iraq e in Siria, poi finiti come si sa) un pericolo per le loro dittature.
Ecco, dunque cosa rimane a questo popolo senza Stato, senza finanze che può gestire per conto proprio, con un territorio sempre più limitato dall’intollerabile presenza e violenta espansione illegale dei coloni e con le speranze sempre più flebili di rivendicare i propri diritti? Siamo davvero sicuri che si possano definire terroristi?
Normalmente siamo portati a pensare che le radici di Hamas e quella di Hezbollah siano molto diverse, ma non è così; il Libano è un Paese che ha accolto buona parte dei palestinesi che nel 1948 sono stati cacciati dalle loro case dai nuovi abitanti di quell’area e dai loro protettori. Hezbollah, come Hamas, si fa carico di dare assistenza alla parte della popolazione più povera del Libano e spesso queste persone sono figli e nipoti di coloro che hanno subito la Nakba, “la catastrofe” subita dai palestinesi, appunto, ne 1948. Gente che da quell’epoca vive in maggioranza nei cosiddetti campi profughi che nei decenni si sono trasformati in interi quartieri sovraffollati in cui i suoi abitanti non godono degli stessi diritti dei Libanesi. Buona parte di queste persone non hanno una propria nazionalità, sono ancora apolidi e i loro documenti sono quelli rilasciati dalle Nazioni Unite. Davvero pensiamo che solo i palestinesi di Gaza e Cisgiorndania (dove peraltro non è Hamas a governare) vivano il dramma dell’isolamento e dei soprusi? Ci ricordiamo cosa successe a Sabra e Chatila nel 1982 e in tutte le altre occasioni in cui Israele ha invaso il Paese dei cedri?
Ma al di là di quanto detto sin qui, ci sono in ogni caso altre considerazioni che vano fatte, anche a costo di ripetersi; quanto compiuto da Hamas il 7 ottobre, la violenza indiscriminata nei confronti di civili, molti dei quali peraltro oppositori al governo di Netanyahu, di giovani che si erano trovati da quelle parti per divertirsi con un rave, a mio avviso non può essere accettabile. Pur essendo conseguenza diretta dell’insostenibile realtà vissuta e subita dai palestinesi.
Quello che poi non torna nella descrizione e nell’analisi di quei fatti, è che Israele capace, come ha recentemente dimostrato attraverso gli omicidi “mirati” in Libano, di una struttura di intelligence in grado di inserirsi nei meandri delle organizzazioni “nemiche”, non sia stato in grado di prevedere e prevenire un attacco così in larga scala come quello dello scorso anno e di non avere preso adeguate misure. Un intervento di quella portata non può essere organizzato in poco tempo, ci vogliono probabilmente anni e sembra impossibile che la rete di infiltrati e la capacità tecnologica di Tel Aviv che dell’industria della sicurezza fa il suo vanto, non sia stata in grado di reagire in forze che solo dopo quasi otto ore dall’inizio dell’operazione di Hamas.
Lo scenario che da quel maledetto giorno in poi i è passato e sta passando sotto gli occhi di chi vuole vedere, è da incubo; la striscia di Gaza ridotta in macerie; città, luoghi in cui abitavano 2 milioni e mezzo di persone rasi al suolo. Ogni volta che vedo le immagini che, nonostante i 176 giornalisti od operatori dell’informazione assassinati da Israele, alcuni canali internazionali (Al Jazeera in particolare) ci sbattono sotto il naso, mi ritornano in mente le scene della prima volta che immediatamente dopo la liberazione di quella città, mi avevano scioccato a Raqqa, l’ex capitale del sedicente califfato dell’Isis. Il livello di distruzione di quel posto era incredibile, la stima fatta dall’ONU all’epoca, era che circa l’85% delle abitazioni erano state distrutte oppure avevano bisogno di interventi di riparazione radicali. Non c’erano strade in quanto le rovine delle costruzioni invadevano tutti gli spazi disponibili. Non avevo mai visto una distruzione così sistematica; ora purtroppo anche se indirettamente, ho avuto l’occasione di ritrovarmele davanti con un livello di distruzione probabilmente ancora maggiore.
Cosa succederà da qui in avanti non ci è dato sapere; ad occhio e croce, niente di buono. IDF (Israeli Defence Forces) sta cominciando in Libano lo stesso lavoro fatto a Gaza. Ovviamente bisognerà capire come gli attacchi vanno avanti, ma le già 2.000 e passa persone uccise dai bombardamenti fanno presagire che la guerra contro Hezbollah sia appena cominciata e che Israele non ha intenzione di fermarsi lì. Hezbollah è “il figlio prediletto” dell’Iran, il suo alleato più armato e organizzato, ma presente oltre che in Libano, sia in Siria che, attraverso la collaborazione diretta con le milizie del PMU (Popular Mobilitation Units), in Iraq.
In parole povere, si ha l’impressione che l’attuale governo israeliano voglia riprendere in mano il vecchio progetto del PNAC (Project for the New American Century) tanto caro alla cricca di Bush e dei suoi accoliti, finito però miseramente con i fallimentari tentativi di cambiamento di governo in Siria e di rivoluzione in Iraq. L’Iran all’interno di tale progetto occupa un posto di primaria importanza e nonostante gli USA per ora si oppongano ad una guerra diretta tra Israele e Teheran causa imminenti elezioni e la possibile chiusura dell’ stretto di Hormuz che sconvolgerebbe il traffico di petrolio, non è detto che da qui a qualche mese non possa invece vedere di buon occhio la fine del potere degli ayatollah tanto voluto da Israele. Di spazio per nuove atrocità e distruzioni ce n’è a sufficienza e se veramente si arrivasse a uno scontro aperto tra i due maggiori contendenti, saremo spettatori, e forse non solo, di una carneficina che nemmeno ci immaginiamo. Buon compleanno dunque, ma soprattutto, buona fortuna.
Docbrino