Capolarato nel Sanvitese: per Libera solo punta iceberg
Il Presidio “Ilaria Alpi – Miran Hrovatin” di Libera – Associazioni, nomi, numeri contro le mafie assieme alla cooperativa sociale Il Piccolo Principe di Casarsa della Delizia con soddisfazione rileva che l’attività investigativa della Guardia di Finanza di Pordenone in riferimento alla Legge 199/16 che contrasta lo sfruttamento lavorativo ha acceso i fari su pratiche di caporalato e lavoro irregolare nel territorio. Così in una nota stampa: “Abbiamo deciso di occuparci di questo tema perché spesso accade che dietro al fenomeno del caporalato – hanno spiegato Luigino Cesarin presidente cooperativa Piccolo Principe, Mariagrazia Susanna referente Presidio di Libera e Giuliana Colussi vice portavoce nazionale Forum Agricoltura Sociale – ci siano interessi nei quali le mafie trovano terreno fertile, come già rilevato dal magistrato Giancarlo Caselli a Contromafie a Trieste nell’anno 2019. La notizia delle indagini che hanno rilevato 23 lavoratori in nero e irregolari in aziende di Casarsa e altri comuni del sanvitese portano finalmente all’evidenza della cronaca quanto da tempo ci impegniamo a sottolineare anche attraverso molte iniziative pubbliche sul tema del caporalato e lavoro in agricoltura. Siamo ancora dell’opinione – hanno proseguito – che quanto emerso sia solo la punta di un iceberg nel lavoro agricolo anche nei territori del Nord est. Anzi, crediamo che spesso la forte connotazione negativa data al fenomeno dell’immigrazione sia una semplice copertura per un mondo che vuole avere a disposizione lavoratori facilmente ricattabili e soprattutto mal pagati. Dall’altra parte molte buone pratiche nelle aziende agricole del nostro territorio esistono e sono state rese pubbliche e valorizzate in diverse occasioni anche da parte nostra. Queste buone pratiche devono essere assunte dal sistema imprenditoriale e promosse anche pubblicamente al fine di contrastare quella errata idea che in agricoltura non siano praticabili.” La cooperativa sociale Il Piccolo Principe è partner del progetto FAMI (Fondo Asilo Migrazione Integrazione) “Rural Social ACT” e all’interno della propria rete ha rilevato che ci sono elementi strutturali che favoriscono il fenomeno del caporalato e del lavoro irregolare che vanno presi in considerazione se veramente si vuole affrontare il problema. Le politiche migratorie non sempre favoriscono l’integrazione e i percorsi lavorativi e di inclusione sociale. “Citando i casi più estremi le persone che sono considerate “clandestine” – hanno riferito – percorrono migliaia di chilometri nella speranza di un futuro migliore nel sogno di poter garantire alle famiglie che rimangono nel Paese di provenienza un tenore di vita migliore e affinchè questo sogno si possa realizzare si accontentano di qualunque occupazione che consenta loro di avere un minimo di compenso. Infatti spesso accade che per non tradire questo desiderio e questo impegno con le famiglie li porta ad accettare spesso condizioni di vita e di lavoro inaccettabili.” “Con il progetto Rural Social ACT stiamo lavorando su tre livelli – fanno sapere da Il Piccolo Principe -: la prima parte del progetto si concentra sulla percezione del fenomeno che appartiene anche alle nostre comunità, come i risultati delle indagini confermano. In secondo luogo, il nostro lavoro si focalizza sul fondamentale sostegno alle vittime o potenziali vittime. Ma la cosa più importante, e rappresenta lo stadio conclusivo, è dimostrare che lavorare in modo diverso è possibile, è sostenibile e fa bene a tutti. Abbiamo un progetto con le aziende agricole locali, avviato grazie in particolare alla R.A.S.A. – Rete Agricoltori Solidali Attivi e alla Cantina La Delizia di Casarsa diventato una buona prassi di riferimento nazionale perché è un progetto dove vincono tutti, il cosiddetto “win-to-win”. Per le persone inserite è un percorso molto importante: si sentono seguite, hanno un punto di riferimento chiaro, superano la paura di essere nuovamente imbrogliate. Anche per le aziende agricole è vantaggioso: anche se nel mercato potrebbero acquistare gli stessi servizi a costi inferiori, hanno la garanzia da un lato di lavorare nella regolarità contrattuale e nel rispetto delle norme sulla sicurezza, dall’altro di poter contare sulla continuità lavorativa”. 50 sono le aziende partner del progetto tra le province di Pordenone, Udine e Venezia: sono un modello concreto che dimostra che lavorare bene, in modo corretto e onesto è possibile e meritano tutto il nostro sostegno. Il Forum Regionale dell’Agricoltura Sociale ricorda come l’agricoltura sociale sia nata dal sogno di un mondo migliore, dal bisogno di giustizia, dalla ricerca dell’uguaglianza, dalla necessità quasi fisica di restituire i diritti di cittadinanza alle persone più fragili e rappresenta un incredibile terreno di sperimentazione di esperienze di sviluppo sostenibile, di innovazione sociale, di rigenerazione comunitaria. “Oggi è la comunità che deve ritrovarsi e fare proprio questo problema per individuarne le ragioni profonde e condividere quali strategie e risorse è possibile e urgente mettere in campo per prevenire lo sfruttamento lavorativo, a partire dal riconsiderare le relazioni in un approccio agro-ecologico sostenibile e inclusivo. Un’assunzione di responsabilità comunitaria che deve coinvolgere le aziende, i sindacati, i cittadini-consumatori, le pubbliche amministrazioni.”