Cartelli e striscioni in piazza Libertà ad Udine. Siamo al ritorno dei “dazibao” per rompere lo strisciante monopolio mediatico

Difficile valutare se l’apparizione di cartelli più o meno ironici siano valutati in maniera negativa dagli udinesi. Di certo alcuni particolarmente perbenisti sono scandalizzati, preferendo che questa forma di comunicazione demodé, non inquini il tranquillo tran tran soporifero cittadino e quello della sua informazione prevalentemente disattenta alle criticità vere. Eppure i cartelli informativi hanno una storia “nobile”, senza scomodare lapidi marmoree di epoca romana e restando nella portata della memoria di molti di noi, c’è una tradizione amanuense precisa in quei cartelli. Parliamo ovviamente dei dazibao (foneticamente tazebao) frutto della “rivoluzione culturale maoista nella Repubblica Popolare di Cina (1965-69) ed approdata nell’Europa della contestazione sessantottina per poi rimanere politicamente in vita almeno fino agli inizi degli anni 80.
I dazibao cinesi altro non erano che manifesti murali, scritti a mano e talora illustrato da disegni. Succedanei dei giornali saldamente in mano al potere. E’ quindi evidente che sia gli striscioni anti Casa Pound nella notte che precedeva l’inaugurazione della sede in via Superiore del movimento neofascista e ora i nuovi cartelli, in piazza Libertà, hanno una matrice culturale e oseremmo dire anche anagrafica specifica. Lo diciamo come suggerimento agli investigatori che fra l’altro sono stati oggetti di bonario dileggio assieme alla stampa locale per gli annunci, in verità più giornalistici che polizieschi, dell’avvio di serrate indagini allo scopo di individuare esecutori e mandanti dei novelli “dazibao”. Del resto in una città che si vuole tenere assopita mediaticamente con qualcosa bisogna pur riempire le pagine ed esaurite le notizie di nera spicciola e non potendo più di tanto riesumare periodicamente cold case, non rimane che amplificare il nulla o quasi. Legittime scelte editoriali, intendiamoci, come legittimo e sparare in “prima” asini gatti e tutto lo zoo.  Così il ritrovamento di una scatola di cartone dimenticata in via Roma nel corso della “Festa della mamma” con conseguente dovuto mini controllo delle forze dell’ordine, diventa caso del giorno e ci si spertica nel cercare responsabilità che non esistono. Quindi i cartelli rispettosamente appoggiati (neppure affissi con colla o altro) in piazza Libertà rischiano di diventare mediaticamente un caso di gravissima diffamazione, se non attentato alla quiete pubblica. Per questo non possiamo credere che Questura e Digos che hanno di certo ben altro di cui occuparsi, aprano davvero serrate indagini per risalire agli autori dei nuovi cartelli anche se, i novelli dazebao prendono bonariamente in giro proprio le forze dell’ordine – descritte come impacciati personaggi dei cartoon.
Potremmo capire un accanimento investigativo se il cartello riguardasse, come in altre parti d’Italia, il ministro degli interni, in questo caso fermenti investigativi avrebbero, non giustificazione, ma almeno la comprensione dovuta alle necessità per qualcuno di non sentirsi “cazziare” pubblicamente dall’uomo forte nelle logiche che Goldoni, nelle sue commedie, descrive con i personaggi del servo e del padrone.
Ma quello che invece dovrebbe far prestare attenzione è il fatto che parte dei friulani, minoranza o meno, sentano il bisogno di comunicare i loro pensieri con mezzi ormai arcaici non trovando evidentemente spazi che li mettano in contatto direttamente con le persone senza le mediazioni pilotate da algoritmi o controllo politico di gestori di social e reti. Un discorso serissimo che riguarda temi come pluralismo e democrazia che per essere salvaguardati a questo punto, possono anche concedere “strappi” come il ritorno dei “dazibao” che sono anch’essi una manifestazione democratica, nei limiti di un linguaggio non offensivo intendiamoci. Del resto anche nel terzo millennio il ritorno di megafoni, volantini e dazibao possono essere una soluzione comunicativa popolare per uscire dalla sudditanza di un web certamente controllato, di televisioni e giornali portatori di interessi o semplicemente distratti dall’essere monopolisti e per questo convinti sostenitori dello status quo, di chiunque sia in quel momento al potere.
Certo potrà essere strano che un giornale web come FriuliSera, proiettato quindi al digitale, si faccia portatore dell’idea di resuscitare “arnesi” del passato, questo tuttavia diventa necessità quando l’informazione indipendente e chi la fa è circondata e ha la sensazione di essere come Don Chisciotte (almeno nell’interpretazione comune che viene data in Italia del personaggio uscito dalla penna di Cervantes). Quando inchieste e notizie clamorose che in altre parti del paese diventano efficaci anche dal punto di vista giudiziario, in questa regione vengono silenziate, ignorate anche da chi per suo ufficio non dovrebbe farlo, è ovvio pensare di combattere contro i mulini a vento e magari scoraggiarsi. Così spesso ci sentiamo, ma non per questo molleremo la sfida, perchè anche solo l’idea che una persona lotti contro il potere, contro il “muro di gomma”,  nel tempo possa fare prendere coscienza a gruppi di persone sempre più numerose, è per noi  motore d’impegno formidabile. Ed anche se, come succede al Don Chisciotte dell’immaginario collettivo, si viene tacciati di essere bizzarri perchè come cavalieri scalcinati ma animati dall’idea di combattere per una giusta causa si continua a punzecchiare il potere, la necessità che un minimo di pluralismo informativo resti presente, diventa essenziale per difendere la nostra democrazia così pesantemente attaccata con le armi della violenza legislativa aberrante, ma soprattutto con quelle dell’indottrinamento e dell’indifferenza. Così per noi scrivere contro il potere e i privilegi, che spesso sono sordi e ben ovattati, imperscrutabili, resta una missione che perseguiremo finchè avremo forze e sostegno. La speranza di questo nasce anche proprio dai dazibao, perchè in passato fu anche grazie all’opera di “controinformazione” di cui erano portatori che una generazione si riconobbe come tale e oggi partendo magari dai temi ambientali dei movimenti come il Friday for future, potranno essere ancora quei mezzi arcaici, fatti di carta, immagini e parole ad influire sullo status quo. Del resto anche nel 68 gran parte della “comunicazione”  era compatta nel difendere la realtà politica del tempo contro il vento del cambiamento. Anche allora come oggi alcuni temi erano off limits, si silenziavano o si targettizzavano come violente,  le ragioni delle proteste a favore dei diritti civili, contro il consumismo, la disuguaglianza, l’autoritarismo. Per non parlare dei temi internazionali che oggi si chiamano Africa, migranti, Siria, Iran e ancora medio oriente ed in passato erano Vietnam, Cile e guerriglia latinoamericana di Castro e Guevara. E se ogni stagione storica ha i suoi mantra, alcune analogie soprattutto nel controllo dell’informazione, sono una costante. E se nel 68 e per almeno il decennio successivo quelle generazioni furono le prime a vivere, attraverso il flusso di immagini e suoni, la presenza fisica e quotidiana della totalità del mondo, oggi paradossalmente contro quel valore di globalizzazione dell’informazione sono stati messi in campo dei formidabili meccanismi di controllo, appena scalfiti, ma comunque pesantemente repressi, come prova il caso wikileaks e la miriade di assassini di giornalisti d’inchiesta in mezzo mondo. Ed allora ben vengano i cartelli e soprattutto il contatto umano fra le persone, aiutati magari dagli “arcaici” mezzi di divulgazione, quelli che trovavano nel “ciclostile” e nei suoi rumorosi rulli ed ingranaggi a manovella la loro apoteosi e che oggi potrebbero facilmente essere sostituiti dalle più efficienti e silenziose, ma certamente meno affascinati, stampanti digitali e laser.

Fabio Folisi