Catalogna, Kurdistan, Alto Adige, Venezia Giulia prima o poi tutti i nodi vengono al pettine

In questi giorni assistiamo in tutta Italia ad un forte sentimento di solidarietà verso il “popolo curdo siriano” attaccato militarmente dalla Turchia in nome di un dichiarato interesse nazionale che non può permettersi la crescita di una entità istituzionale curda ai suoi confini. E’ questa per Erdogan un pericolo mortale per il proprio stato poiché potrebbe contagiare i 10 milioni di cittadini della Turchia appartenenti alla minoranza curda spingendoli a riconoscersi nella proposta politica del PKK. Sostanzialmente tutta la società turca condivide questa posizione del Presidente ed approva l’invasione in corso.
Sempre in questi giorni il Consiglio provinciale di Bolzano ha inventato un piccolo trucco per cercare di far scomparire dalla denominazione ufficiale il termine “Alto Adige” sostituendolo con quella di Sudtirolo. Anche in Italia come in Turchia la pubblica opinione è insorta come un sol uomo accusando di anti italianità i sud tirolesi di lingua tedesca, maggioranza della popolazione di quel territorio, e chiedendo che il governo annulli la legge approvata dal Consiglio provinciale di Bolzano. Quasi nessuno si accorge che, pur nella differenza abissale tra le due situazioni, il pensare comune degli italiani è perfettamente analogo a quello dei turchi.
“Abbiamo il diritto di difendere la nostra patria e dotarci di confini sicuri” è lo stesso messaggio che sta dietro i due atteggiamenti, e chi magari turco o italiano non è deve adeguarsi. In ambedue i casi le cose risalgono a 100 anni fa come conseguenza della I guerra mondiale. Nel primo si tratta del rinnovamento in Turchia moderna dopo il dissolvimento dell’impero ottomano e incapacità delle potenze vincitrici di risolvere la questione curda. Nel secondo si annettono territori abitati prevalentemente da non italiani, Bolzano (oltre che Trento) e la cosiddetta Venezia Giulia, considerati fondamentali per le politiche militari di potenza che l’Italia uscita dal Risorgimento intendeva sviluppare.
Graziadio Isaia Ascoli ha inventato nel 1863 le nuove denominazioni politico geografiche di Venezia Giulia e Venezia Tridentina. Quest’ultima sostituisce una definizione storico geografica di Tirolo Cisalpino comprendente sia i territori di Trento che di Bolzano. Alla fine della II guerra mondiale con la Costituzione repubblicana l’area diventa Regione Trentino-Alto Adige per essere ridefinita, dopo il “terrorismo” e l’accordo tra Italia e Austria degli anni 70, come Trentino-Alto Adige/Südtirol (composta dalle due province autonome di Trento e Bolzano). E’ curioso rilevare che la Costituzione italiana attualmente in vigore riporta all’art.116 la dizione Trentino-Alto Adige/Südtirol, mentre all’art. 131 si scrive Trentino-Alto Adige. Un po’ come quanto è successo alla nostra regione che attualmente è Friuli Venezia Giulia senza trattino all’art. 116, che invece compare all’art. 131 come Friuli-Venezia Giulia.
E’ quello che succede quando si cerca di asservire la geografia (e le lingue) alla progettualità politica ed al nazionalismo, trasformando la funzione dello stato nell’idolo dello stato nazione. Nella storia i territori di Trento e Bolzano hanno sempre fatto parte dell’area geografica del Tirolo, mentre tutte le altre definizioni appartengono alla geopolitica. Qualcosa di analogo è capitato al Friuli nella sua diversificazione di appartenenza politico istituzionale.

Un po’ di storia banale del Friuli
Nei secoli passati il Friuli era una area geografica piuttosto vaga che ad occidente era delimitata dal Sacilese e dal Portogruarese e ad oriente sfumava nel goriziano e nel Territorio di Monfalcone, comprendendo al suo interno popolazioni parlanti lingue diverse oltre naturalmente al friulano. La cesura principale avviene a partire dal 1420 con la divisione istituzionale tra dominio di Terra veneto e contea di Gorizia, che dal 1500 diviene parte integrante delle proprietà della casa d’Asburgo. Tuttavia l’identità geografica del goriziano permane fino praticamente ai giorni nostri anche con la definizione popolare di Friuli austriaco. La conquista italiana dopo la I guerra mondiale inserisce Gorizia, a partire dal 1927, in una Regione “statistica” Venezia Giulia sulla base della “idea” di G. I. Ascoli, comprendente i territori conquistati e “redenti”.
Diversamente dalla ”Venezia tridentina”, dopo la II guerra mondiale gran parte della Venezia Giulia viene ceduta alla Jugoslavia ed all’Italia rimangono una piccola parte della ex provincia di Gorizia e (dopo il 1954) la città di Trieste.
La costituzione istituisce la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con quindi una denominazione che è un pasticcio ormai quasi irrisolvibile, mettendo assieme una dizione prettamente geografica (Friuli) con una prettamente geopolitica, dal sapore vagamente revanscista. Infatti una analisi seria non può non definire l’attuale ex provincia di Gorizia come Friuli, ma contemporaneamente questa è, oltre a Trieste, anche l’ultimo lembo della Venezia Giulia conquistata con le armi. La cosa si complica ancora più con, all’inizio del millennio, la parziale eliminazione del trattino all’articolo 116 della Costituzione.
Tutto questo, peraltro come la diatriba sulla denominazione Alto Adige e Sudtirolo, non nasce a causa di filologi giocattoloni ma in risposta a conflitti di governo territoriale. Gran parte del Friuli non ha mai ben digerito l’aggregazione con Trieste e l’attribuzione a questa realtà esterna del ruolo di capoluogo e di sede della gran parte della macchina amministrativa. Inoltre il risveglio, a partire dagli anni 60-70, di un percorso identitario friulano centrato sull’obiettivo del riconoscimento come minoranza linguistica ha acuito il conflitto determinando peraltro forme di rifiuto in parte dello stesso Friuli; favorendo peraltro diversificazioni territoriali utilizzate dalle stesse classi politiche dirigenti. Nascono così usi plurimi di definizioni come pordenonese ed isontino, utili a rafforzare coesioni locali ma sostanzialmente tesi a limitare la questione friulana (linguistica e culturale) alla ex Provincia di Udine.
L’incapacità-impossibilità della Regione di condurre a sintesi le divaricazioni che nel tempo si amplificano, sia per deficienza politica sia perché di fatto nel frattempo l’autonomia e le risorse disponibili vengono ad essere limitate, ha creato oggi una situazione fuori controllo.

Il confronto e la collaborazione come unica base per la risoluzione dei conflitti
In Sudtirolo le cose sono andate diversamente e la forza della Vokspartei ha permesso di gestire le opportunità che lo stato italiano metteva a disposizione. Tuttavia gli anni hanno eroso la dimensione della stessa Volksparei definendo un elettorato tedesco che oggi trova rappresentanza anche nell’ambientalismo e in forze di destra nazionalista. Un po’ come Erdogan anche Kompascher ha bisogno di rinvigorire il proprio consenso e in questo, battaglie come quella della denominazione del territorio ma anche il ripristino in esclusiva dei toponimi originali tedeschi, sono occasioni da sfruttare. Ma qui finisce l’analogia, perché, se il primo non teme di condurre azioni criminosi, il secondo non fa che tentare di attuare un banale diritto che solo un distorto nazionalismo italiano può mettere in discussione.
Che cosa unisce situazioni profondamente diverse come quella della Turchia-Rojava, della Spagna-Catalogna e del Friuli e Sudtirolo con l’Italia? L’evidente crisi degli stati nazione di fronte ad un mondo attuale che mette continuamente in discussione le sovranità residue. Le risposte, a seconda delle realtà, vanno dalla post democrazia all’autoritarismo, secondo formule che, spesso nella cornice di conservazione di strumenti costituzionali democratici, in pratica palesano la impossibilità di affrontare le questioni decisive o inducono a forzature dannose in nome di un neo sovranismo di facciata.
La situazione venutasi a creare nel rapporto tra lo Stato spagnolo e la Catalogna appare allucinante poiché ha determinato e sancito attraverso norme di diritto costituzionale la criminalizzazione di una pacifica azione politica che, sulla base di principi universalmente riconosciuti, avrebbero dovuto essere garantita. Anche qui con il consenso di una pubblica opinione orientata ad una idolatria dello stato nazione.
I tre casi sono gradazioni plurime di conflitti che sarebbero facilmente risolvibili in progetti di condivisione e comprensione delle cause che li hanno generati e dove situazioni, pur sempre democratiche ma rivolte soprattutto alla conquista rapida del consenso elettorale, non aiutano, anzi ne aggravano la dimensione e gli esiti.
Qualche studioso, nel prendere atto dei limiti dei percorsi democratici affermatisi in passato, siano essi di tipo liberale, deliberativo, partecipativo o diretto, ritiene che oggi c’è la necessità di “democratizzare la democrazia” per rispondere alle convulse domande che la post modernità ci pone, operando sia ai livelli sovra statali sia negli spazi di prossimità. Bisognerà fare in fretta prima che i danni siano irreparabili.
Fortunatamente non credo che l’Italia nell’immediato tenterà di riprendersi l’Istria e la Dalmazia, come magari qualche esponente politico sottintende con le sue dichiarazioni, né che dovrà difendersi per l’invasione del Sudtirolo da parte dell’Austria, così come difficilmente si avvererà la instaurazione di una Furland. Riuscire a portare questi temi nell’ambito di una ragionevolezza e di una comprensione fattiva è l’unica strada per evitare, prima o poi, soluzioni “ottomane” come per il Rojava e Kurdistan turco o follie spagnole come quelle che hanno colpito gli indipendentisti catalani.
Giorgio Cavallo