Con draghi forse esploderà il sistema politico ma non ritorneranno “i gloriosi 30”

Non solo pandemia, NeztGeneration, burocrazia. Un compito fondamentale affidato a Draghi non viene dichiarato ma appare di forte evidenza: creare le condizioni per la ristrutturazione del sistema politico italiano. La grande comunicazione ci crede e vagheggia un ordine ripristinato dove una destra ed una sinistra moderate si alternano al governo, in genere contendendosi pro tempore un centro rappresentante di una classe media benpensante.
Il governo Draghi non ha nel suo target una nuova legge elettorale, anche perché per tale progetto basta e avanza quella esistente: tolto di mezzo il M5S non c’è più alcun motivo perché non funzioni.
Un venticello sussurra: “dopo il Covid e dopo Draghi nulla sarà più come prima. I rapporti economici e geopolitici a livello globale impongono di mettere una pietra tombale sulla devastazione politica italiana. O si coglie l’occasione per cambiare o per la decadenza dell’Europa e dell’Italia si aprono scenari irrecuperabili.”

Ritornare al passato?
E’ vero, si deve cambiare, ma In quale direzione? Accompagnata spesso dalla necessità di mettere in riga le “petulanti” Regioni, mi paiono di un certo interesse le opinioni, espresse in quotidiani locali, da leader regionali del mondo economico quali l’onnipresente Agrusti e l’assessore regionale Bini fresco di unanimità di consensi alla sua legge “Sviluppo Impresa”. Non si tratta di T. Piketty e M. Friedman ma è quel che passa il convento.
Agrusti prefigura una ristrutturazione del sistema politico dove, nello spazio di una condivisa idea di sviluppo e crescita, due forze, una liberal popolare conservatrice ed una liberal socialdemocratica possano confrontarsi
in un quadro di riconquistata sovranità europea, in grado di dialogare da pari a pari con gli altri imperi del mondo. A parte l’incognita del ruolo degli States è il modello che ha funzionato egregiamente per gli stati dell’Europa Occidentale nei “gloriosi 30 (1945-1975)” e che è considerato quanto di più socialmente avanzato abbia prodotto la democrazia nel corso della storia recente. Ho qualche difficoltà a inquadrare oggi in questo schema Fratelli d’Italia con il suo potenziale 20% di voti così come quanto resterà del M5S, mentre da tempo sono convinto che questa è la strada “popolare” della Lega sempre che riesca a liberarsi di Salvini.
L’assessore Bini non propone un nuovo modello di sistema politico ma si limita a sposare la centralità della libera impresa nel nostro futuro e quindi di uno stato che ne incrementi la produttività con le infrastrutture, una Pubblica Amministrazione amica ed una formazione dei giovani pronto fabbrica. I 200 miliardi del Recovery a questo devono servire. Per carità, nulla di criminale, ma ho l’impressione che, oltre al termine “sostenibilità”, di “green new deal” il nostro amministratore non ne macini molto.
Alla proposta di Agrusti va la mia personale simpatia, anche perché ai gloriosi 30 è corrisposta la mia giovinezza, ma ricordo che stiamo avvicinandosi alla metà del secolo XXI. Quel mondo ideale era già finito negli anni 70 del secolo scorso e la brutalità del neo liberismo era stata ritardata in Italia dallo stillicidio clientelare dei partiti della I Repubblica che hanno disastrato le casse dello stato ma almeno hanno difeso le condizioni di vita e di welfare dei cittadini. Il libero mercato di espansione infinita ha dominato negli ultimi 30 anni ed oggi ne stiamo raccogliendo i cocci pandemici. I temi del confronto politico
Quando si parla di ricostruire un confronto politico pubblico in Italia, cosa diversa dall’auspicare un governo qualsivoglia, bisogna domandarsi quali sono le centralità del confronto e quale lo spazio di articolazione. Un neo Presidente del Consiglio deve giurare la fedeltà alla Costituzione e di “operare nell’interesse esclusivo della nazione”. Formula di rito o c’è qualche significato? Vuol dire che devo procurare i vaccini agli italiani prima degli altri o che devo fare in modo che tutto il mondo abbia a disposizione i vaccini visto che da quest’ultima condizione dipende la circolazione del virus? E, per limitare il cambiamento climatico, dobbiamo fare solo la nostra parte pensando che le tecnologie del “green deal” ci aiuteranno a mettere a posto il PIL, oppure serve una politica che sia contemporaneamente globale e locale che riduca le disuguaglianze, i consumi inutili e dannosi, mettendo al centro del nostro interesse la salute della Terra entrata nell’era chiamata antropocene?
Oggi ormai abbiamo coscienza del peso della presenza e delle scelte umane sulla stessa dinamica di evoluzione del pianeta in cui viviamo e, a meno di non essere ciechi, del fallimento delle “scienze” economiche, sociali e politiche che ci hanno permesso di vivere sia il passato socialdemocratico del secondo dopoguerra sia lo sfracello di 30 anni di neoliberismo rampante. Riproporre queste soluzioni appartiene ad un pensiero retrotopico al pari dei neo sovranismi e delle traduzioni politiche di storia religiosa.
La politica di domani, sia essa un derivato dell’economia o viceversa, non potrà svilupparsi su linee razionali e deterministiche nate nel quadro del liberalismo e della evoluzione degli stati nazionali, ma vedrà una lotta disperata per il controllo delle risorse e delle tecnologie disponibili tra forme anche nuove di riorganizzazione istituzionale simil imperiale, e all’interno di queste tra aggregazioni sociali e identitarie alla ricerca di pura sopravvivenza di vita. Non c’è nulla di semplice nel futuro della politica e dei modelli istituzionali che potranno ad essa fare riferimento.
A partire dal rapporto dell’uomo con la Terra diventa centrale la dialettica tra chi ritiene che la soluzione possa essere data dal paradigma tecnologico e dalla capacità camaleontica del capitalismo di rimpadronirsi della scena, oppure da un ripensamento totale del rapporto dell’uomo con il terrestre secondo nuovi modelli di vita e di sobrietà.
Il principale tema politico dell’oggi non è la ricerca della pietra filosofale del governo perfetto, ma una ricostruzione di percorsi democratici in grado di confrontarsi con i temi della neo contemporaneità che non hanno più riferimento nel sistema degli stati nazione e che rischiano di finire nel macello della geo politica. Viviamo in un “tempo asincrono” (m. Ceruti 2020) in cui percepiamo quello che non siamo più ma non abbiamo ancora capito quello che saremo. Dobbiamo guardare oltre l’orizzonte che ci circonda ma dobbiamo agire con autodeterminazione nel concreto dei luoghi dove viviamo, consapevolmente, costruendo gli spazi per una democrazia di prossimità.
Una visione ecologica va costruita luogo per luogo, istante per istante, conoscenza dopo conoscenza. E’ roba seria, non per furbi maneggioni. L’Unione Europea sta aprendo una opportunità che l’attuale sistema politico italiano non sembra in grado di cogliere appena si va più in là della pura lotta per la distribuzione delle risorse.
Mario Draghi mi risulta membro dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali e probabilmente ha ben presente questa contraddizione, così come molte delle prospettive sociali ed umanitarie che ne derivano. Non so quanto Draghi sia in grado effettivamente di costruire qualche mattone per il futuro. Ma spero che lo shock politico determinato dalla sua presenza ci aiuti ad entrare in una prospettiva di confronto politico più adatta alla nostra epoca.

Giorgio Cavallo