Cose arabe, o forse turche….
Visto che in genere si tende a dimenticarsi di cio’ che ci succede attorno, meglio e’ che di tanto in tanto ci si torni sopra. Ad onor del vero, spesso non solo ci si dimentica, ma in realta’ semplicemente non si vuol guardare. Pare che dopo un po’ di meritata attenzione, certi scenari comincino a risultare obsoleti e non si voglia urtare la sensibilita’ della gente continuando a descrivere le miserie del mondo. Giusto per capirci, mentre in Yemen si sta consumando da anni un massacro che nessuno vuole o ha interesse a vedere (chissa’ se Renzi ne ha parlato con il suo amicone Mohammed Bin Salman), in Siria la situazione e’ ben lungi dal risolversi. Segnali conntraddittori si accavallano e se un giorno l’evoluzione della guerra sembra volgere al bel tempo, un altro invece fa capire come altro sangue debba essere versato prima di arrivare ad una stabilizzazione. Uno dei principali attori di questa follia, il presidente turco Erdogan, si trova in enorme difficolta’ ed il suo Paese sta andando verso un baratro economico. La lira turca sempre piu’ debole, la disoccupazione galoppante, rendono la sua posizione ogni giorno piu’ traballante e l’unica strada che puo’ seguire, a parte la repressione, per garantirsi un ritorno di immagine, e’ quella di rincorrere il nazionalismo. In questo caso espresso in termini di nuova linfa per rinfocolare il conflitto in Siria dove, secondo lui, i “terroristi” del YPG e YPG (forze di difesa kurde e rispettivamente maschili e femminili) rappresentano una minaccia alla sicurezza della Turchia. Consistenti movimenti di mezzi e truppe si sono recentemente notati all’interno delle regioni invase ed occupate negli ultimi anni anche in profondita’ nel territorio siriano. Una nuova azione militare serve non solo a spostare l’attenzione della popolazione, dai veri e gravi problemi di quel Paese, ma anche a rafforzare il cosiddetto “spirito populista” che riunisce una nazione. Nemmeno fossero stati I kurdi siriani ad invadere il territorio turco e non viceversa. Bizzarrie della storia, che ci vogliamo fare… Ma, al di la’ di questo, focolai di scontri e battaglie che coinvolgono un po’ tutti i protagonisti del vespaio siriano si stanno accendendo in tutto il territorio, sia ad est che ad ovest della Siria. Se i turchi, attraverso i loro alleati del “consorzio” dell’ SLF (Syrian Liberation Front) o del Syrian National Army (SNA), minacciano un’ulteriore invasione nel territorio kurdo, pur non specificando con esattezza dove, la situazione nel sud dello Stato, Daraa e Rural Damasco, certo non si puo’ considerare rosea. Scambi di razzi e missili accompagnati da qualche bombardamento prevalentemente con droni si sono ripetuti nella zona al confine tra Siria, Iraq e Giordania (Al Tanf) e lungo il confine tra il NES (North East Syria) e l’Iraq nella zona petrolifera controllata dalle truppe USA che sono rimaste da quelle parti. Israele continua come nulla fosse a bombardare la Siria (prevalentemente le milizie sciite filo iraniane e Hezbollah) in qualsiasi parte della regione dove decidano di farlo. Tanto nessuno alza un dito. La “sacca di Idlib”, sotto il controllo di HTS (Hayat Tahir al Sham, versione riveduta e corretta di Al Qaeda) in cui i combattimenti non si sono mai fermati, sta vivendo una recrudescenza di scontri tra le parti mentre si intensificano i bombardamenti da parte dell’aviazione di Damasco, ma soprattutto di quella russa. I problemi in quella regione sono anche dovuti a scontri interni tra, appunto, HTS e altri gruppi filoturchi che ultimamente si sono coalizzati e che vorrebbero sostituire i primi nel controllo del terreno (l’unico valico ufficiale aperto con la Turchia, Bab Al Hawa, e attraverso cui passano anche gli aiuti delle Nazioni Unite si trova proprio in quella regione) e dei traffici che portano nelle casse di HTS notevoli benefici. Quanto alle minacce di allargare l’invasione a danno dei kurdi, Erdogan avrebbe diverse opzioni entro cui agire. Tel Refat e’ la localita’ in cui i kurdi che sono scappati da Afrin nel 2018 si sono rifugiati; un’enclave che e’ controllata dalle truppe kurde. Da li’ spesso partono attacchi contro gli alleati dei turchi del SLF e spesso anche direttamente contro mezzi e truppe turche. E’ chiaro che per la Turchia questo rappresenti un obiettivo primario, ma non e’ il solo. Menbij, altra citta’ ad ovest dell’Eufrate sotto la gestione kurda ed importante snodo infrastrutturale, sarebbe appetibile per il controllo della viabilita’ ed i collegamenti con il cuore economico e produttivo della Siria. Al di la’, ad est, del grande fiume, in Rojava, gi alleati dei turchi si sono spinti fino ai limiti della M4, principale arteria stradale che dall’Iraq arriva al Mediterraneo che poi si collega con l’M5 che scende verso Hama, Homs e a Damasco. Ancora pero’ arrivando solo ai limiti di quella strada senza averne il pieno possesso e permettendo in qualche modo al traffico di passare.
Se le mire di Erdogan sono quelle di cui sopra, queste stesse ambizioni si trovano a doversi scontrare con gli interessi dei russi che in Siria non coincidono con quelle turche. Anzi, rinunciare al dominio di quelle aree significherebbe esporre il governo siriano e citta’ importanti come Aleppo, Hama ed Homs a rischi e minacce eccessivi. Mosca, peraltro, non e’ un segreto che si proponga da tempo come “pacere” e unico soggetto in grado di, potenzialmente, trovare un accordo tra il governo di Damasco e Self Adiministration a trazione kurda che gestisce il NES. Per non suscitare dubbi, la Russia ha rafforzato la sua presenza in tutte le zone menzionate, compreso Kobane citta’ simbolo per i kurdi, innalzando la sua bandiera ben visibile in modo da non suscitare dubbi a chiunque volesse provocare problemi. Certo, tra Russia e Turchia i rapporti sono piuttosto complicati e tutto sarebbe possibile sulla base dei reciproci interessi, ma per ora se Erdogan e i suoi accoliti locali, i famosi ribelli che tanto piacciono anche a noi occidentali ma che altro non sono che un’accozzaglia di fanatici banditi, volessero dar seguito alle roboanti dichiarazioni, difficilmente i russi rimarrebbero immobili. Come invece fanno di fronte ai continui bombardamenti israeliani a cui nessuno pare dare peso. Il fatto che recentemente alcuni SU 35, SU 34 e Mig 29, per la prima volta siano stati spostati a Qamishlo in piena regione di Rojava e lungo il confine che divide la citta’ dalla sua gemella turca Nusaybin; l’aeroporto di Qamishlo e’ ancora strettamente sotto il controllo di Damasco, e l’arrivo dei bombardieri russi e governativi pare un significativo segnale sulle reali intenzioni di Mosca. Niente deve succedere stavolta senza il consenso di Putin. Messa cosi’, parrebbe che le dinamiche siriane siano di competenza ed interesse esclusivo di Russia e Turchia, evidentemente non lo e’ vista la presenza di Iraniani, Libanesi (Hezbollah lo sono anche se i legami con Teheran sono vitali), Israeliani come detto, Usa che si vorrebbero sfilare, ma hanno paura che il ruolo di Mosca (e soprattutto dell’Iran) si rafforzi eccessivamente; i Paesi del Golfo non hanno certo abbandonato le loro velleita’, pur allentando i loro rapporti con i ribelli e riprendendoli con Assad. Ribelli e non solo (ricordiamoci dell’Isis) che fino a ieri hanno abbondantemente finanziato ed armato. Come e’ chiaro che cio’ che succede in Siria non e’ slegato dalla situazione non solo del Medio Oriente e del Nord Africa, ma anche del Causcaso. Non a caso le recenti manovre militari nel sud dell’Azarbaijan, alleato della Turchia, che hanno visto la presenza e partecipazione delle truppe israeliane hanno parecchio irritato l’Iran che con l’Azerbaijan confina proprio in quella zona. Una regione di importanza estrema per Teheran che del passaggio attraverso quell confine ha estrema necessita’ per le sue esportazioni. Rimane il fatto che nessuno obietta ai bombardamenti che Tel Aviv regolarmente compie in Siria con la scusa di non accettare la presenza di iran o Hezbollah nelle vicinanze dei suoi confine ritenendola una minaccia pe la propria sicurezza. Allo stesso modo dunque, Teheran potrebbe rivendicare il diritto di bombardare l’Azerbaijan visto che la presenza degli israeliani e’ effettivamente una minaccia per l’Iran. Probabilmente qualcosa di piu’ rispetto ad una minaccia, visto che Israele non manca di intervenire direttamente in Iran assassinando gli scienziati legati al programma di nucleare (fino a prova contraria) civile e di sabotare continuamente quel programma. Ecco, dai e dai, siamo arrivati fin qui, ma dello Yemen non si e’ parlato. Viene da pensare che nemmeno a noi alla fine ce ne importi piu’ di tanto. A questo, forse, ci siamo o ci hanno ridotti. Docbrino