Da sultano a sultano
Come prevedibile, anche se qualcuno si aspettava qualcosa di più dal suo diretto avversario Kilicdaroglu, Erdogan “il sultano” ha vinto di nuovo le elezioni e rimane Presidente della Turchia. Certo, come sottolineato da molti osservatori, con l’economia a rotoli, la Lira ai minimi storici, l’intervento di emergenza in seguito al devastante terremoto piuttosto incerto, uno era autorizzato a pensare che il suo popolo ne avesse abbastanza di lui. Invece, eccolo rimanere nel suo palazzo presidenziale (a quanto pare costruito abusivamente) fino al 2028; chi si attendeva un cambio di direzione soprattutto nella politica estera, all’occidente quello importa, mica i diritti umani, cambiamento in qualche modo promesso da Kilicdaroglu, dovrà aspettare ancora. A meno che Erdogan, capace di tutto, non decida una svolta radicale e rientri nell’alveo della Nato. Tutto farebbe supporre il contrario, ma il camaleontico sultano, degno di Zelig, potrebbe riservare inattese sorprese. Sta di fatto che le ultime mosse lo portano a dirigersi non più verso l’Europa, e dunque anche verso gli Usa, quanto piuttosto in direzione opposta. I legami intrecciati con i Paesi del Golfo, in primis l’Arabia Saudita ma anche gli altri Emirati (con il Qatar esistevano già profondi rapporti anche in funzione di sostegno ai Fratelli Musulmani) e con soprattutto l’Egitto, fanno pensare ad una profonda revisione della situazione di tutto il Medio Oriente, non ultimo con Israele. Pare che nonostante i recenti dissidi con lo Stato Ebraico (così vuole essere Israele), il Presidente turco e Netanyahu siano diventati amiconi. Probabilmente diventare partner nella gestione del gas israeliano (parte del quale rubato ai Palestinesi) e della sua distribuzione in Europa attraverso i gasdotti turchi, riescano a limare ogni attrito.
Nella guerra in Ucraina, il sultano è riuscito a mantenere i piedi su entrambe le sponde risultando protagonista decisivo nella soluzione del problema legato all’esportazione del grano. Con la Russia i rapporti sono strettissimi e le due economie sono decisamente compenetrate l’una nell’altra, anche se nella guerra tra Azerbaigjan ed Armenia la Turchia sostiene (anche militarmente) la Repubblica turcofona (Azerbaigian) contrariamente alla Russia che ha interessi decisamente divergenti nelle due regioni caucasiche. Stesso discorso per la questione Libia dove i turchi sono il principale sostenitore di Tripoli, mentre i russi stanno dalla parte di Bengasi. Spostandosi ancora verso est, la Turchia ha fatto richiesta di entrare nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, un trattato di libero scambio che fa capo alla Cina.
Meglio fermarsi qui, perché in realtà la politica estera turca ci porterebbe ulteriormente lontano e naturalmente quella di cui sopra non ha la pretesa di rappresentare un’analisi ma al massimo solo un elenco peraltro molto incompleto. Mancherebbero ancora troppi potenziali attori mentre qui vorrei soffermarmi piuttosto su un punto a me caro; cosa significa la rielezione di Erdogan relativamente alla situazione siriana.
Partiamo dal fatto che l’avversario sconfitto nel ballottaggio non era come molti pensano un gran democratico, di democratici nella politica turca ce ne sono piuttosto pochi, e Kilicdaroglu non è tra questi. La sua maggiore promessa elettorale era quella di rispedire a casa propria (non si sa quale perché i rifugiati in genere non ce l’hanno più) tutti i siriani, afghani, pakistani e altri disgraziati che attualmente sono ospitati in Turchia. Si tratta di circa 5 milioni stimati di persone, di cui circa 3 milioni e mezzo solo di siriani.
Ecco, non è che poi Erdogan la pensi molto diversamente dal suo avversario; il problema dei rifugiati soprattutto di quelli siriani deve essere risolto prima o poi. Meglio prima ovviamente. Recentemente il governo turco ha mosso parecchi passi nella direzione di una possibile normalizzazione dei rapporti con la Siria, un po’ perché come si diceva una soluzione si deve trovare, ma anche perché il regime di Assad è stato riammesso nella Lega Araba da cui era stato espulso causa la mattanza della guerra. L’unico componente dell’allegra brigata araba che si è detto decisamente contrario alla riammissione, è il Qatar principale alleato di Erdogan come si diceva, e finanziatore dei Fratelli Mussulmani a cui si ispirano le bande di tagliagole che per conto della Turchia governano una discreta fetta di territorio siriano e principalmente quella di ciò che era Rojava, il Kurdistan siriano.
Per la Turchia, il problema kurdo è fondamentale, sia in quanto interno che esterno visto che i kurdi siriani si ispirano alla filosofia di Apo Ochalan e dunque in qualche modo al PKK. L’idea di Ankara sarebbe quella di liberarsi dei rifugiati siriani spedendoli all’interno delle aree che ha invaso in tre diversi momenti e da cui ha cacciato i legittimi proprietari, i kurdi. La Turchia ha già iniziato lavori di realizzazione di abitazioni che dovrebbero essere occupate dai siriani che vuole rispedire indietro, che però non sono kurdi. In questo modo risolverebbe quelli che a suo dire sono i problemi di sicurezza rappresentati a suo dire dai kurdi che ritiene terroristi alla pari del PKK turco. PKK che è ritenuto gruppo terroristico da tutto l’occidente.
Ad Assad tutto sommato la cosa non dispiace anche perché in questo modo spera di risolvere i suoi di problemi con i kurdi e con la loro Amministrazione Autonoma con cui governano in modo pressoché indipendente il Nord Est della Siria (NES). Naturalmente ciò presupporrebbe che anche l’ultima fascia di territorio che delimita il confine tra Turchia e Siria dovrebbe essere tolta dalla gestione kurda e rientrare sotto il controllo del governo di Damasco. Non si capisce bene come la cosa possa venire accettata dagli Usa le cui truppe sono ancora presenti nel NES in appoggio all’Amministrazione Autonoma Kurda, visto che nei loro progetti ci sarebbe una normalizzazione con la Turchia, ma dei kurdi, non di Assad e sullo stile di quella ormai radicata tra Turchia e Kurdi iraqeni.
Per realizzare i programmi che Erdogan & soci hanno in mente relativamente ai kurdi siriani, non ci starebbe male una nuova invasione dell’ultimo lembo di Rojava rimasto nelle loro mani, quello che va da Ras el Ain fino a Derik al confine con il Kurdistan iraqeno; soluzione che peraltro Erdogan ha più volte minacciato e chissà che ora non riesca a portare a termine. Con buona pace dell’esperimento che con qualche contraddizione l’Amministrazione Autonoma del NES sta portando avanti; unico esempio di democrazia in un’area che di democrazia ne vede piuttosto pochina.
Con i migliori auguri ai miei cari amici con cui ho condiviso questi ultimi cinque entusiasmanti anni. Mi sa che purtroppo ne avranno bisogno.