Dal consenso al voto poche prospettive di cambiamento in F-vg

I risultati della ultima tornata amministrativa ed i sondaggi sui gradimenti popolari dei rappresentanti istituzionali danno ormai l’idea di una Regione F-VG sui cui territori la “pax politica” è cosa fatta. Forse qualche incertezza può esserci in relazione al Comune di Udine che rinnoverà il mandato nella prossima primavera, ma in genere la solidità di una opinione elettorale tutta orientata a “destra” non sembra lasciare dubbi. Peraltro nomi come Fedriga, Ciriani e Cisint vengono rappresentati come quanto di meglio si possa desiderare. Per la verità il sondaggio del Sole 24 Ore sulla popolarità di Governatori e Sindaci qualche dubbio tecnico lo lascia in relazione al trasferimento del significato sul piano elettorale. Fedriga è amato dal 68% dei cittadini, ma quanti di questi si recheranno alle urne? In una elezione regionale anche da noi i votanti non superano il 60% e quindi un astratto calcolo probabilistico basato su due estremi (i 40% dei non votanti tutti fans di Fedriga o magari quasi tutti suoi non estimatori) potrebbe tradursi in una forbice tra una sconfitta dell’attuale Presidente per 32% a 28% (su un monte votanti del 60%) o una sua clamorosa vittoria per 60% a 0. Detto questo per dare qualche speranza ai “competitors” che vorranno cimentarsi nelle prossime elezioni regionali, rimane comunque da chiedersi da cosa deriva il solido consenso “sociale” che viene attribuito all’attuale potere. Nessuna seria analisi strutturale della società regionale supporta tale entusiasmo, dinamiche economiche, territoriali e demografiche comprese. Ma tant’è quanto di cui bisogna prendere atto. Non che in F-VG manchino episodi di antagonismo, anche costruttivo, che si accendono qua e là: una domanda di sanità pubblica efficiente, la ribellione per opere e investimenti pubblici devastanti o inutili (“l’ovovia a Trieste”, “nuove piste da sci”, etc.), il rifiuto di impatti territoriali pericolosi (“Kronospan”, “carbone nella Centrale di Monfalcone”, “autostrada Cimpello-Gemona”, etc.). Ma tutto questo ha ben poca incidenza sul voto per quella ormai minoranza che ancora lo considera un utile strumento di democrazia. Semmai, in analogia con il resto d’Italia, le “ideologie” di dissenso prevalenti riguardano il mondo no-vax (nelle sue molteplici sfaccettature), i “filo-Putin” palesi e inconsapevoli (spesso giustificati da “narrazioni e schieramenti” piuttosto sospetti), e gli atteggiamenti di reazione agli eventi del cambiamento climatico (tra pratica negazione, domanda di soluzioni contingenti e isolamento salvifico individuale). Ricostruire prospettive politiche a partire da questo quadro in una realtà dove la “conservazione” sembra essere lo stigma di casa, “teniamoci quel che abbiamo e non andiamo a cercare notte”, non è facile. Pur in presenza anche di inequivocabili segnali di decadimento. Quella della densità demografica degli abitanti nei territori, innanzitutto. Una banale proiezione basata sul numero degli adolescenti che quest’anno in F-VG completano il ciclo obbligatorio scolastico di otto anni, sono 10.000 (compresi un almeno 15% di origine migratoria), da un risultato di un futuro di 800.000 residenti circa, il che significa un livello di spopolamento che è paragonabile alla storica memoria della “vastata Hungarorum” dei tempi di Berengario. Il Friuli e Trieste attuali sono società che si stanno estinguendo. Forse è nella logica delle cose una nostra scomparsa, in genere i vuoti vengono poi sempre riempiti, ma certamente fa riflettere il fatto che l’asse principale sul quale si base il consenso alla democrazia amministrativa in cui navighiamo è il rifiuto del peso di gestire i flussi migratori, tema di fondo sul quale si sono giocate le elezioni regionali del 2018. Non credo si tratti di razzismo ma piuttosto di una radicata visione di sicurezza collegata al rifiuto del rischio d’ignoto.
Insomma siamo di fronte ad una società percepita nella sua immobilità che trova enormi difficoltà ad accendere entusiasmi giovanili, come dimostrano i saldi dei movimenti delle ultime generazioni, più disposti ad andarsene che ad essere attratti dalle potenzialità pur esistenti. Marco Pacini nel suo libro “Pensare la fine” (Meltemi ed. 2022) conclude invitando ad un piano di “diminuzione rapida della pressione antropica sul sistema Terra” e magari quello che ci aspetta è proprio un cammino non traumatico verso una decrescita “economica e demografica globale, pianificata ed equa”. Ma il futuro politico e amministrativo delle istituzioni che riguardano i nostri territori non può essere trascurato. Ne deriva la necessità di costruire percorsi di riattivazione sociale e politica che per poter essere germinativi in una realtà geografica particolare quale ancora oggi è l’area del F-VG non debbono riprodurre il devastante e sterile confronto che caratterizza la vita politica italiana. Da questo punto di vista un confronto elettorale che alle regionali del 2023 contrapponesse un reiterato centro destra ad un calcistico campo largo del centro sinistra non può che essere interpretato come la prosecuzione di un viale del tramonto per una istituzione che molto ha dato in passato ma che oggi rischia di rappresentare un puro bancomat di distribuzione di amministratori. Con un Fedriga costretto prima o dopo a capitalizzare un incarico meno domestico. Dove e come possa scoccare una scintilla per accendere un fuoco politico vivace e duraturo (oltrechè utile) non è facile da individuare. Una cultura territorialista di base non è estranea alla dimensione friulana, così come a Trieste il mare apre spazi infiniti, ma l’interpretazione politica è fortemente limitata dalla ricerca di ancoraggi sicuri che spesso rasentano la semplice clientela. Una autonomia politica che sia anche indipendenza strategica di visione futura può farsi strada solo con un faticoso emergere di una leadership intellettuale che sappia operare anche in un quadro di temporanei accettabili compromessi. Non so se il futuro del Friuli e di Trieste troverà agganci non solo mercantili con il nuove regime mondiale che uscirà dalla guerra russo-ucraina, ma qualche considerazione concreta su una futura autonomia alimentare ed energetica ne potrà derivare così come dovremo magari accettare che Mariupol si trasferisca a S. Giorgio di Nogaro. In conclusione, ho l’impressione che ogni tentativo di ricollegare un risveglio politico della nostra realtà alle dinamiche dello stato italiano sia destinato ad essere improduttivo senza un contemporaneo evidente atto di rottura. Non per una estraneità allo stato-nazione di cui l’attuale plurisocietà di queste terre è un prodotto dai lati sia oscuri che luminosi, ma per una oggettiva necessità di superamento dei limiti che la politica che ad esso fa riferimento si porta con sè. Riuscire a farlo in occasione delle prossime elezioni regionali, e magari con qualche ricaduta nella rappresentanza parlamentare che quasi contemporaneamente verrà definita, potrebbe essere un segnale di importanza decisiva. La via di un risveglio futuro va affidata ad un quadro profondamente diverso dove la necessaria de-strutturazione dello stato possa conciliarsi con un risveglio delle nazioni in un quadro di condivisione degli obiettivi che l’intera umanità possa perseguire. Tra le tracce affidate ai maturandi di quest’anno c’era il commento al lavoro di L. Ferrajoli “Per una Costituzione della Terra – L’umanità al bivio” (Giangiacome Feltrinelli ed. Milano 2022) ma non mi pare purtroppo che molti ne abbiano approfittato. Per ora dovremo comunque accontentarci di navigare con la nave più “strutturata” che abbiamo a disposizione , la traballante Unione Europea, in un Oceano universale infestato da ambizioni piratesche imperiali, nella speranza che le inevitabili distruzioni possano prima o dopo portare consiglio. Giorgio Cavallo