Dal nuovo rapporto di valutazione Onu sui cambiamenti climatici appare chiaro: siamo a meno di 100 secondi dall’ora più buia per l’essere umano
Il 9 agosto scorso è stato ufficialmente presentato il primo volume del 6° Rapporto di valutazione dell’IPCC sui cambiamenti climatici: un nuovo passo in avanti fondamentale per la comprensione del fenomeno, delle sue cause e delle sue conseguenze. Il Rapporto, dedicato alle basi fisico-scientifiche dei cambiamenti climatici, è prodotto dal gruppo di lavoro I (WG I) dell’IPCC – 234 autori principali, che hanno analizzato 14.000 studi scientifici – e mostra come e perché il clima è cambiato, e come potrà cambiare in futuro, a seconda delle scelte che faremo ora, in questi anni. Il Rapporto conferma che inequivocabilmente è stata, ed è, l’influenza umana a riscaldare l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse, causando cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nei mari, nella criosfera e nella biosfera. Quello che emerge è uno scenario apocalittico che fa dire a molti che siamo a che siamo a meno di 100 secondi dalla mezzanotte, l’ora più buia per l’essere umano, l’impronta della nostra specie è ormai ovunque sulla Terra, ce lo dice il nuovo rapporto IPCC: grazie a nuove tecniche di misurazione, analisi e simulazioni si è potuto stabilire oltre ogni ragionevole dubbio che l’essere umano sta modificando il clima globale con una rapidità senza precedenti, mai vista in più di 100.000 anni. L’aumento esponenziale di gas serra quali anidride carbonica (284ppm nel 1850 e 414.60ppm nel 2021), metano (774ppb nel 1850 e 1,888.5 ppb oggi) e ossido di diazoto (270ppb nel 1850 e 332ppb adesso), unito a deforestazione, urbanizzazione incontrollata e destabilizzazione degli ecosistemi, della criosfera (ovvero i ghiacciai perenni) e degli oceani, hanno scaraventato l’intero pianeta in un’epoca dove incertezza e sofferenza regnano sovrane.
La soglia di vari punti di non ritorno è ormai stata sfondata dall’aumento dei gas climalteranti. Le attività umane e in particolare l’uso di combustibili fossili sono responsabili del riscaldamento medio di 1,1°C già raggiunto.
Gli ultimi quattro decenni sono stati i più caldi mai registrati in ogni parte del globo, mentre la quantità e qualità dei ghiacciai (ciò il loro spessore e la loro composizione) viene compromessa e di conseguenza indebolisce la loro capacità di riflettere i raggi solari.
L’impronta dell’essere umano ha influenzato la diminuzione della neve nell’emisfero nord, destabilizzando le comunità locali e gli ecosistemi.
Anche gli oceani, importantissimi regolatori del clima che assorbono circa il 50% delle emissioni di CO₂, non sono stati risparmiati dall’aumento esponenziale delle temperature: lo strato superficiale delle loro acque salate si è riscaldato e di conseguenza si è innescato un processo di acidificazione che a sua volta ha creato zone con basso livello di ossigeno, le cosiddette “zone morte”, veri e propri cimiteri del mare.
Ora le maggiori correnti oceaniche che portano l’acqua calda dai tropici fino ai poli rischiano di collassare, rallentare o addirittura bloccarsi a causa dell’aumento esponenziale di temperatura: questo singolo evento, da solo, comporterebbe uno stravolgimento immediato e drammatico di un clima già martoriato.
In sostanza molti dei cambiamenti osservati nel clima non hanno precedenti in migliaia, se non in centinaia di migliaia di anni, e alcuni dei cambiamenti in atto – come l’innalzamento del livello del mare – sono irreversibili per centinaia o migliaia di anni.
Gli effetti dei cambiamenti climatici, già importanti con un aumento delle temperature di 1,5 °C (rispetto al 1850-1900) e ancora più rilevanti se l’aumento arriverà ai 2 °C, diventeranno molto più gravi e potranno superare soglie critiche per gli ecosistemi, per le persone, la società, l’economia, se il riscaldamento globale supererà i valori stabiliti come obiettivi dall’Accordo di Parigi (1,5 °C – 2 °C).
Comunque, tempestive, sostanziali e durature azioni di riduzione delle emissioni di CO2 e di altri gas climalteranti potranno limitare il cambiamento climatico. I benefici per la qualità dell’aria si vedranno rapidamente, ma ci potrebbero volere 20-30 anni perché la temperatura globale si stabilizzi.
DAL GLOBALE AL LOCALE: COSA ACCADE IN FRIULI VENEZIA GIULIA
Il cambiamento climatico riguarda già ogni regione della Terra, in molteplici modi, e i cambiamenti che sperimentiamo ora – non solo di temperatura, ma anche riguardo a precipitazioni, umidità, venti, neve, ghiaccio, mare, aree costiere – diventeranno sempre più rilevanti con un ulteriore riscaldamento, seppure in maniera diversificata a seconda dei diversi contesti locali.
Le evidenze di come il clima stia cambiando in grande scala illustrate nel nuovo report dell’IPCC, trovano riscontro nelle osservazioni effettuate in Friuli Venezia Giulia e nelle elaborazioni climatiche realizzate dall’Osservatorio meteo di Arpa FVG, che evidenziano un sempre più rilevante aumento delle temperature e variazioni nel regime delle precipitazioni.
La temperatura media annua è sempre più alta: dal 1915 al 2019 la temperatura media annua registrata è stata di 12,9°C, ma negli ultimi anni si è spesso superato i 14°C.
I giorni con una temperatura massima superiore ai 30°C sono raddoppiati: negli anni ’90 avevamo in media 30 giorni all’anno con temperature superiori ai 30°C, dal 2015 la media si è assestata sui 60 giorni l’anno.
E’ cambiata la distribuzione delle piogge nel corso dell’anno: il mese di giugno è diventato meno piovoso, piove di più nei mesi autunnali: settembre, ottobre e novembre.
Queste variazioni, così come quelle relative al livello del mare e della criosfera e le proiezioni climatiche future per il Friuli Venezia Giulia, sono riportate nello “Studio conoscitivo dei cambiamenti climatici e di alcuni loro impatti in Friuli Venezia Giulia” (Arpa FVG, 2018) coordinato dall’Agenzia su incarico della Regione e realizzato in collaborazione con le Università di Udine e di Trieste, ICTP, OGS e CNR-ISMAR.