Di Maio grida di aver scoperto che Salvini l’ha abusato, sedotto e abbandonato. Ma per il capitano il rapporto, come da tradizione maschia, era “consenziente”
Un tempo si diceva “la situazione è drammatica ma non è seria”, lo si diceva per cosucce banali, per delle semplici giravolte di qualche esponente politico, perfino le posizioni dei “responsabili” di antica memoria, Razzi e Scilipoti, in confronto a certi “statisti” odierni appaino cose da giganti. Così oggi, a ridosso del Ferragosto, sulla griglia delle gite fuoriporta gli italiani avranno l’imbarazzo della scelta, non più solo costolette würstel e salsicce, ma anche l’intera classe politica nazionale, nessuno escluso. Purtroppo non c’è speranza che li lascino, anche solo distrattamente, a rosolare e incartapecorirsi sulla carbonella. A parole infatti l’italiano medio tuona, ma anche se oggi, molto più che in passato, ogni limite è saltato, il cittadino resta un grande incassatore, credulone e sempre di più alla ricerca del meschino proprio tornaconto, fra l’altro molto spesso presunto, perchè indotto come in un Truman Show da vecchi e nuovi mezzi di propaganda. Così anche la politica che in passato anche in nome di ideologie contrapposte aveva anche nobilmente svolto compiti positivi, schiacciata nel tritacarne ideologico del “sono tutti uguali”, si è adeguata, con il rischio reale di diventare per davvero “tutti uguali”. Perchè il bene dei cittadini, degli uomini e delle donne che sono la carne viva del Paese e che ad una classe dirigente degna di questo nome spetterebbe guidare verso orizzonti positivi, non sembra in realtà interessare nessuno. Il popolo o meglio la plebe è considerata strumento per il potere, semplice bacino di voti, utili idioti per tutti o… quasi. Da chi li usa come slogan propagandistico con “il prima gli Italiani”, a chi con un meno puzzolente sovranismo usa “prima il Paese” e grida all’onestà come se fosse valore di parte. Scavando neppure troppo in profondità si capisce invece che l’unico bene al quale si pensa è quello del mantenimento delle poltrone di potere e probabilmente del lauto stipendio. Per Salvini c’è l’incontinenza della voglia di potere assoluto, che Di Maio gli ha fatto annusare facendogli fare il bello e il cattivo tempo in un governo del “fare” … ciò che desidera Salvini. Ma come è noto l’ingordigia e la fame vien mangiando, così al capitano non basta più comandare dalle retrovie, lui vuole avere scintillanti galloni di condottiero con i quali, ed il pericolo è reale, cambiare la Costituzione e con la scusa della “sicurezza” snaturarla per garantirsi potere senza limiti violentando pluralismo e democrazia, come sta tentando il suo idolo ungherese Orban o ha già fatto quello russo Putin. E poi c’è da evitare di restare con il cerino della manovra economica in mano. Serve dare tutte le colpe al M5s, come se lui, Salvini, sino ad oggi, fosse stato all’opposizione. E’ la vecchia teoria del partito di lotta e di governo o se preferite di quella ampiamente abusata in questi anni in economia e finanza creativa, delle bad e good company. Del resto il paragone regge visto che il governo giallo-verde era regolato non da un accordo programmatico ma da un “contratto”. Quindi, spieghiamo meglio il concetto, il termine bad company (lessicalmente “impresa cattiva”) si indica di norma per una società in crisi irreversibile che non ha più liquidità per poter sopravvivere sul mercato destinata al fallimento e che viene utilizzata per poterle far assorbire le attività “sofferenti” e, contemporaneamente, spesso contando nelle distrazioni degli enti di controllo, evadere l’erario ed infine far confluire le attività proficue in una società parallela creata all’uopo, detta good company (“impresa buona”).
Insomma nella propaganda salviniana tutto ciò che di “buono”, dal suo punto di vista ovviamente, è stato fatto in questi 14 mesi di governo, è da intestarsi, quello che non è stato fatto è colpa dei No dei ministri pentastellati e le cose “cattive” come il reddito di cittadinanza sono colpa diretta di Di Maio e compagni, che sono appunto la bad company alla quale mollare ogni responsabilità. Certamente una operazione “ardita” che la macchina propagandistica leghista cercherà di imporre alle menti semplici dell’italietta gretta e ignorante che purtroppo esiste dal nord al sud della penisola, isole comprese.
Ma se la strategia di Salvini è chiara, anche se non è detto che a livello tattico sia brillante, le altre forze in campo sono allo sbaraglio e faticano a trovare il bandolo della matassa. I 5 Stelle sono passati dallo sbigottimento nello scoprire quello che era noto dall’Antardide all’Artico passando per l’Equatore, cioè che Salvini li ha usati, abusati, sedotti e abbandonati. Così ora abbiamo la visione, molto patetica di un Di Maio che grida allo stupro subito quando i realtà era più che consenziente, era addirittura godurioso nel soddisfare i desideri di Salvini, anche quelli contronatura (e leggi internazionali) in tema di migranti e omicidi “colposi” in mare. Resta il dubbio se esiste o meno l’aggravante che l’abusato fosse capace di intendere e volere. Oggi avrebbe la pretesa di andare al taglio dei parlamentari, nell’ipotesi di poter così esibire uno dei totem storici del MoVimento dopo aver dovuto abiurare agli altri simboli, Tav compresa. Una pretesa che nasconde la voglia di tirare a campare perchè, anche se tutto il parlamento fosse colto da demenza, dato che fra l’altro la riduzione non vede giustamente tutti unanimi, le nuove elezioni potrebbero avvenire solo dopo che la riforma viene confermata da referendum e che vengano disegnati nuovi collegi elettorali anche in funzione di salvaguardia della rappresentanza delle minoranze linguistiche. Ricapitolando, il vicepremier leghista Matteo Salvini, dopo aver rotto l’alleanza con il M5S, invoca elezioni anticipate e promette tasse al 15 per cento e nessun aumento dell’Iva senza per altro spiegare dove vuole prendere i soldi a meno che non si voglia mettere a battere moneta falsa del tipo “mini bond”. In ogni caso lui ha già rivelato anche la coalizione che vorrebbe per le prossime elezioni: con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Forza Italia di Silvio Berlusconi, ma senza Berlusconi al governo, dato che l’ex cavaliere è impegnato nell’europarlamento. Una visione che ha visto l’accordo in 48 ore, segno che nella realtà i tre, Salvini, Meloni e Berlusconi, non avevano rotto il filo che da anni, scusando il gioco di parole, li “lega”. Dal canto suo il capo dei 5 Stelle, si affida al Capo dello Stato Sergio Mattarella (quello per il quale voleva chiedere l’impeachment solo qualche mese fa) sapendo che se si torna al voto la sua carriera politica, se gli va bene, viene ridimensionata ma più probabilmente stroncata del tutto. Nell’altra metà del parlamento la confusione regna sovrana, con Nicola Zingaretti che dopo esserne stato fans sfegatato delle elezioni subito, inizia a frenare, pur non accogliendo l’ipotesi, proposta strumentalmente da Matteo Renzi, di un governo istituzionale di transizione a trazione Pd-5S. Zingaretti si appella a Renzi: “Il Pd resti unito o consegneremo il Paese alla destra”, insomma il segretario resta contrario a un esecutivo di scopo, ma poi aggiunge un “Decidiamo insieme” che prelude ad una soluzione lessicaledi governo che si potrebbe trovare, tanto è solo propaganda. Ma intanto a suggellare l’accordo a destra compresa Forza Italia ci ha pensato la presidente del Senato Elisabetta Casellati che, visto che la riunione dei capigruppo non aveva trovato un intesa, ha deciso, in barba ad ogni regolamento, di convocare per domani l’aula, non ovviamente per la sfiducia a Conte ma solo perchè sia l’aula a decidere il calendario. Il centrodestra vorrebbe che si votasse la sfiducia già dopodomani 14 agosto, mentre Pd e M5S vorrebbero che il premier si presentasse in Senato il 20 agosto. Un braccio di ferro che potrebbe avere risultato non scontato solo se i senatori di Pd e M5s non saranno presenti in aula in massa , come lo saranno certamente quelli di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Insomma vigilia di Ferragosto comunque rovinata.
Fabio Folisi