Elezioni: la speranza sta nel caos
Il gioco è fatto. Le liste sono stati presentate e nella Circoscrizione del F-VG dieci parlamentari sono di fatto già stati eletti mentre gli altri due (ma potranno essere anche uno o tre) dipenderanno dall’algoritmo “nazionale” di calcolo dei resti. Praticamente tutti i commentatori non hanno dubbi sulla vittoria della destra-centro, unica coalizione politica in grado di sfruttare i meccanismi maggioritari della legge elettorale garantiti dai collegi uninominali. Quello che può essere discusso è l’estensione della vittoria e la ripartizione degli equilibri tra le forze facenti parte della coalizione stessa. Il tentativo del PD di competere con un campo largo alleato è fallito. Peraltro sia i futuri vincitori che gli oppositori sono frastagliati al loro interno da diversità di vedute sui temi che presumibilmente dovranno essere affrontati in futuro. Le coalizioni e le singole liste hanno ufficialmente presentato i programmi di “governo” a cui nessuno crede. Slogan da venditori di tappeti non mancano e danno il “sapore” della campagna elettorale vera. Di tutto questo viene attribuita totale responsabilità al sistema politico dei partiti incapaci di costruire sintesi credibili e costituiti da gruppi di potere ristretti in lotta per la conquista di “poltrone”. Da ciò derivano anche le varie interpretazioni sul rifiuto della politica e sulla sempre più ampia propensione dei cittadini per l’astensione che, in particolare nelle occasioni amministrative, ha ormai raggiunto dimensioni maggioritarie. La domanda di ordine, stabilità e sicurezza sembra prevalere su ogni altra considerazione. Personalmente dissento da questo lamento generalizzato non perché veda nel sistema politico italiano il migliore dei mondi possibili ma perché esso e le dinamiche sociali frammentate sono il risultato inevitabile di una situazione complessa che deve soprattutto essere interpretata.
La risposta al disagio può venire dal caos non dall’ordine
Non si può non prendere atto che una causa oggettiva di un profondo “disagio generalizzato” è l’asimmetria tra la dimensione spaziale della politica, centrata sul modello istituzionale statale, e la reale dimensione spaziale dei problemi che la politica dovrebbe affrontare con le sue decisioni. Si insiste con ricette “tradizionali” ma ormai gran parte dei nodi economici, sociali, ambientali, climatici, etc. sono connessi a relazioni che non coincidono con i confini statali. Anzi ogni tentativo di affrontarli in termini di sovranità statali ne determinano nel medio lungo periodo un aggravamento. Ritornano parole d’ordine come difesa degli “interessi nazionali” senza spiegare che, se realmente perseguiti come nella storia passata, significano alla fine conflitti anche armati contro altri “interessi nazionali”. La causa secondaria ma decisiva del rifiuto della politica (o del suo sgretolamento) nei livelli istituzionali delle nostre realtà va ricercata nel rifiuto quasi psicologico di accettarla quindi per quello che può effettivamente dare. Cioè scelte amministrative condizionate da quadri di riferimento mutevoli e su cui la possibilità di incidere sostanzialmente è quasi trascurabile. Le formazioni politiche del sistema Italia non accettano la riduzione di ruolo e continuano a propinare ai potenziali elettori ideologie sclerotizzate e imitazioni di costruzione del “nemico” da combattere e distruggere. La politica possibile nello spazio dell’amministrazione è un terreno della collaborazione (soprattutto nel territorio) e non della esclusione in attesa magari di un ribaltamento del “potere”. Di fronte a queste cause è evidente l’inadeguatezza delle dinamiche politiche che si susseguono in Italia ed il rischio che soluzioni momentanee possano portare a precipitazioni pericolose della vita sociale e collettiva molto al di là dell’attuale disarticolazione. In altre parole la falsa prospettiva di un ordine salvifico garantita da un potere che governa e da una proclamata sintonia tra il “popolo” e il “governo” non ha basi reali e può fare molti più danni di una situazione “caotica” e casuale come quella che sembra aver caratterizzato la legislatura tra il 2018 e il 2022. Oggettivamente, proprio grazie alle incertezze ed al disordine nelle plurime relazioni tra le forze politiche ed all’interno delle stesse, la legislatura 2018-2022 è stata il “migliore dei mondi possibili” che ha sostanzialmente permesso a gran parte della società italiana di passare quasi indenne attraverso un risultato elettorale di protesta e sbandamento generale, ed in presenza di “cigni neri” quali la pandemia di Covid19, la guerra russo-ucraina (con conseguente ridefinizione dell’intero quadro geopolitico globale), una fibrillazione dell’UE senza precedenti (che ha comunque attivato un PNRR con al centro l’Italia), solo per citare quelli più consistenti. Il caos, se opportunamente accompagnato da relazioni sociali e politiche non autoritarie, non è uno stato di “natura” deprecabile. Può evolvere verso stati di attrazione momentanei corrispondenti a particolari stati di necessità (come è accaduto per i governi della legislatura 2018-2022) e rapidamente mettere in atto mutazioni transitorie. L’entropia politica di un sistema caotico è sicuramente vitale molto più di un ordine stabile e stazionario. Per questi motivi diventa estremamente importante che le prossime elezioni del 25 settembre non creino una situazione immutabile ma che sopravvivano potenzialità diversificate. Come si è capito ormai da tempo la vitalità di un sistema politico-culturale-sociale non dipende solo dalle ricadute organizzate negli spazi istituzionali (partiti) ma da un peso su questi spazi delle biodiversità informali che riguardano i classici corpi intermedi, il privato sociale e le capacità associative di ogni tipo. La perdita di tale varietà non deve essere favorita in alcun modo. Malgrado l’assurdità del sistema elettorale per il Parlamento, così come per altri livelli, orientata a costruire una politica di tipo Schmittiana basata sul concetto di “nemico”, mi domando perciò quali siano le condizioni tecniche, collegate ad una visione pratica della concreta situazione oggi esistente e quindi alle prossime elezioni, affinché ciò possa avvenire. Un prospetto di auspici destabilizzanti
Per quanto riguarda l’area dei probabili vincenti: la dimensione della supremazia (in termini di seggi) del trio Meloni-Salvini-Berlusconi non deve essere tale da permettere atti trasformativi del sistema istituzionale quali la Costituzione, organi di garanzia, etc. la gerarchia interna alla maggioranza non dovrebbe essere certa e sicura ma in qualche modo contendibile e ripercuotersi in equilibri di eventuale governo mediamente instabili; ulteriore garanzia sarebbe data da una maggioranza di destra-centro potenzialmente disaggregabile sulla base sia di diversità programmatiche alla prova dei fatti, sia di interpretazione diversa delle relazioni internazionali. In tale direzione sarebbe importante che “centristi opportunisti”, siano essi di FI o dei “cespugli” abbiano una sostanziosa presenza di eletti. Ma la stessa Lega (ormai a rischio di percorrere la parabola del M5S) potrebbe riservare sorprese.
Purtroppo la impraticabilità del voto disgiunto nei collegi uninominali mette in salvo anche la presentazione di “quaquaraquà” benedetti dai vertici di partito ma forse la saggezza popolare e la provvidenza potrebbero dare qualche sorpresa. Per quanto riguarda i “competitori” rispetto alla destra, una armata ancora incerta e dove agisce sia la propaganda di esserlo veramente sia la petulanza di aspetti particolari, auspicherei il verificarsi delle seguenti condizioni: il PD dovrebbe uscirne con la convinzione di dover abbandonare la “vocazione maggioritaria” nella gestione di un mondo in cui crede che ogni realtà politica diversa deve prima o poi diventare suo satellite. Per questo pur se la coalizione promossa raggiungesse il 30% e oltre sarebbe opportuno un risultato positivo degli alleati anche con il superamento dello sbarramento elettorale in riferimento ai resti; è importante un ottenimento in termini di seggi, delle presentazioni autonome, soprattutto di sinistra (M5S e Unione Popolare), e, perché no, anche del duo comico alla Zelig Calenda-Renzi che comunque l’attenzione del pubblico la sanno provocare;
particolarmente interessante appare la presenza di formazioni NO-X, sia in relazione ai vaccini che a Putin e di difesa delle libertà di pensiero e di movimento. Purtroppo è evidente la incapacità di presentare liste in grado di raggiungere risultati (sulla base della legge elettorale), ma anche una dispersione può assumere un significato politico con una sottrazione al sistema di una percentuale di voti tra il 5% e il 10%.
La democrazia rappresentativa ha bisogno di altri numeri
Questo quadro di analisi credo descriva in maniera non convenzionale una realtà che spesso ci rifiutiamo di comprendere e la cui origine va ricondotta ad una complessità sociale che riguarda oggi non solo l’Italia ma gran parte delle società ad economia avanzata. Bisogna prenderne atto ed impedire che coaguli di interessi (e promozione di luccicanti promesse di vendita) permettano di costruire governi stabili basati su percentuali di cittadini del 20-25%. Che è quanto sta accadendo in Italia e che potrebbe trovare conferma dal voto del 25 settembre. I conti sono presto fatti. Con una presenza di votanti validi del 70%, credo si possa attribuire ad una destra-centro il 40% dei consensi (la legge elettorale poi ne attribuirà il 55-60% dei seggi), al PD e alleati tra il 25 e il 30%, un 10% al M5S (secondo i sondaggi attuali), un altro 10% alle sinistre non convenzionali ed al centro comico Calenda-Renzi, mentre un ulteriore 10% è a disposizione del mondo che ho chiamato NO-X (e complottisti vari).
Nell’insieme quindi appare chiaro che si rischia di dare un potere quasi assoluto di governo a partire da un consenso estorto ad un 25% di cittadini, cosa che non sarebbe permessa in nessun condominio. Le liti che in quel caso si verificherebbero tra i condomini porterebbe di sicuro ad instabilità e come minimo alla sostituzione dell’amministratore. E’ singolare che si ragioni nei confronti di una cosa ben più importante, come l’amministrazione di uno stato, per regalare il “potere” ad una minoranza. Ma soprattutto bisogna prendere atto che a dinamiche mutevoli ed imprevedibili quali quelle delle relazioni interne ed esterne delle società attuali bisogna saper rispondere con elasticità. Per questo penso che, allo stato delle cose, il miglior risultato che possa venir fuori dalle elezioni del 25 settembre sia quello di una situazione caotica del quadro politico in grado di sapersi organizzare anche casualmente di fronte a sopravvenienti necessità.
Giorgio Cavallo