Fukushima, via libera al rilascio delle acque della centrale nucleare nel Pacifico, lontano da noi ma non il suo pesce, quello arriva surgelato nei supermercati
Inizierà giovedì 24 agosto il rilascio nell’Oceano Pacifico delle acque reflue radioattive provenienti dalla centrale nucleare di Fukushima Dai-Chi, gravemente danneggiata dall’incidente del 2011.
Lo scorso luglio, la procedura di sversamento ha ricevuto l’ok dell’Aiea ma mondo ambientalista e paesi limitrofi sono in allarme . Allarme dal quale non dovrebbero disinteressarsi anche i consumatori europei dato che il pesce del Pacifico arriva surgelato anche nei nostri supermercati anche se bisogna dire che le grandi flotte pescano ben lontane dalle aree contaminate e per questo il rischio dovrebbe essere minimo. Il via libera definitivo alla procedura di sversamento delle acque reflue è arrivato dal premier giapponese Fumio Kishida, che nei giorni scorsi ha ispezionato la centrale – in fase di dismissione – e incontrato alcuni pescatori locali garantendo ulteriori sostegni economici. Come accennato in apertura lo scorso luglio, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha affermato che il piano del governo nipponico rispetta in pieno gli standard di sicurezza e che il rilascio delle acque trattate nell’oceano ha «un impatto radiologico trascurabile su persone e ambiente». Ovviamente a esprimere tutt’altro parere sono gli altri Paesi asiatici. In primis, Cina e Corea del Sud, con il governo di Pechino che ha vietato le importazioni alimentari da 10 prefetture giapponesi, le più interessate dallo sversamento delle acque reflue. Del resto con buona pace dei fautori del nucleare (anche in Italia) non si può non ricordare come la centrale di Fukushima prima dell’incidente fosse considerata sicurissima, anche dalle stesse autorità che oggi hanno dato il via libera agli sversamenti perchè comportano “rischi trascurabili” per la salute del mare.
Il piano del Giappone è in realtà viziato da uno stato di necessità che potrebbe aver avuto un peso nella decisione di versare nel Pacifico le acque trattate della centrale di Fukushima, decisione presa nel 2021 dall’allora premier giapponese Yoshihide Suga, che l’aveva descritta come la migliore opzione di smaltimento disponibile. Negli ultimi anni, infatti, la destinazione delle tonnellate di acqua utilizzate per raffreddare le barre di combustibile nucleare è diventata una delle questioni più spinose per il governo giapponese. La scelta di rilasciare oltre un milione di tonnellate nell’oceano ha suscitato preoccupazione non solo tra i Paesi vicini ma anche tra i pescatori locali, che temono un prevedibile calo del giro di affari. Dal 2011 ad oggi, il Giappone ha già risarcito con circa 10 trilioni di yen (oltre 68 miliardi di dollari) i pescatori e gli agricoltori evacuati da Fukushima e dalle altre prefetture più colpite. A 12 anni di distanza, però, gli oltre mille serbatoi presenti sul sito per raccogliere le acque di raffreddamento hanno raggiunto il 98% della proprio capacità. Da qui la necessità di procedere con lo sversamento nell’oceano senza ulteriori rinvii, insomma il Giappone non sa più dove stoccare l’acqua radioattiva. Stando al piano reso noto da tempo messo a punto dal governo di Tokyo, il rilascio controllato dell’acqua durerà circa 30 anni. L’Aiea ha già fatto sapere che monitorerà costantemente le operazioni e pubblicherà in tempo reale i dati sul monitoraggio delle acque. Nonostante le rassicurazioni dell’agenzia dell’Onu, Cina e Corea del Sud continuano a fare muro. Pechino, in particolare, ha accusato il governo nipponico di trattare l’oceano come una «fogna» e ha invitato i cittadini a boicottare i prodotti giapponesi dimenticando però che laCina non è certo un campione di ambientalismo. Anche la Corea del Sud ha imposto un divieto di importazione di prodotti ittici pescati al largo di Fukushima.