Grafica e videogaming, oltre il realismo

Quando si analizzano i progressi più macroscopici nel campo del videogaming si tende, generalmente, ad analizzare i passi avanti compiuti dalla grafica. Questo però non è certo l’unico punto di vista sotto il quale il videogaming abbia fatto registrare evoluzioni sorprendenti: basti pensare al suo protagonismo negli eSport, all’utilizzo di prodotti videoludici a fini culturali e didattici, o anche semplicemente all’enorme ampliamento che si è registrato in termini di titoli rilasciati annualmente nel corso del tempo. Nonostante tutto, la grafica continua a essere un parametro spesso insostituibile per misurare i progressi videoludici. Facile, d’altra parte, capire il perché: già a colpo d’occhio è per chiunque possibile distinguere un titolo moderno da uno che abbia anche solo pochi anni di vita, e la resa visiva rappresenta intuitivamente il primo e principale criterio di modernità di un titolo. Non è un caso che le moderne tecnologie nelle schede video si concentrino nel cercare di rendere sempre più somigliante il videogioco alla realtà: ci sono processi appositamente dedicati al movimento dei capelli, agli effetti luminosi, ai riflessi e al movimento delle superfici liquide, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Eppure, la grafica nel videogaming va ben oltre il realismo. La verosimiglianza, se è un obiettivo per la maggior parte dei titoli, non è il traguardo che si propone di raggiungere qualsiasi videogame, anzi; al contrario, molti titoli fanno scelte di segno nettamente opposto, optando consapevolmente per approcci visivi ben lontani dal realismo per i più disparati motivi. 

Si può pensare, per esempio, a tutti quei titoli che utilizzino la pixel art. Il termine fa riferimento alla grafica pixelata tipica dei primi titoli videoludici, dovuta principalmente al livello tecnologico dell’epoca. Il pixel, infatti, è la singola unità di misura di un’immagine digitale, rappresentata da un singolo punto: meno densità di tali punti equivale a minor definizione dell’immagine. Una necessità per l’epoca che, oggi, si è trasformata in una precisa scelta stilistica: titoli come Terraria o Stardew Valley puntano proprio su questo effetto retrò per darsi un’identità ben definita, apprezzata tanto nel retrogaming come nei videogiochi moderni.

Nel caso di videogiochi casual, invece, la scelta di grafiche poco realistiche corrisponde spesso alla necessità di ovviare, tramite il comparto visivo, a un gameplay che a lungo andare potrebbe rivelarsi ripetitivo. È il caso di Candy Crush Saga, campione di incassi mobile che, nato da un italiano, ha puntato su colori brillanti ed effetti visivi articolati proprio per risultare piacevole alla vista. Anche nel caso di slot online l’importanza di scelte grafiche particolarmente accattivanti si rivela fondamentale: è il caso di Sweet Bonanza, dove la scelta di utilizzare oggetti dai colori accesi come frutti, oltre a richiamare i classici simboli delle slot machine, riconduce proprio alla volontà di creare effetti visivi gratificanti allo sguardo.

Altra scelta stilistica, ma con ricadute pragmatiche importanti, è quella fatta da alcuni titoli che optano per una grafica composta da forme primitive. Sono definite così le forme tridimensionali semplici, come sfere e cubi, che aggregandosi possono comporre forme più complesse: il risparmio in termini di calcolo è evidente, lasciando ai titoli la libertà di utilizzare risorse ad altri fini. È il caso di Minecraft, la cui scelta stilistica ha permesso la creazione di un sandbox che ha fatto scuola, ma anche di progetti più indipendenti: l’italiano Of Guard and Thieves, come suggerito già dal nome, crea una partita tra guardie e ladri grandemente stilizzati, mentre Battlebit Remastered mette in scena vasti campi di battaglia ampiamente distruttibili dove si svolgono confronti tra personaggi poco più articolati di parallelepipedi. Si tratta di esempi accomunati dal fatto che la scelta stilistica, oltre a essere immediatamente riconoscibile, permette un notevole risparmio di risorse per gli sviluppatori, favorendo tanto piccole realtà quanto altre che scelgano di puntare su altre componenti come le dimensioni del mondo di gioco.

Tra i vari altri esempi, troppo per poter essere esaustivamente elencati, si potrebbe pensare alla scelta del cel-shading fatta da titoli appartenenti a serie storiche come Prince of Persia, Call of Juarez o The Legend of Zelda: anche in questi casi la scelta di uno stile grafico non fotorealistico come il cel-shading è emblematico della volontà di dare una precisa direzione artistica a un titolo specifico, che proprio della sua assenza di realismo fa un punto di forza.