I capisaldi della rivoluzione restauratrice

La rivoluzione prudente di Giorgia Meloni è in corso. Tutte le misure di intervento sul bilancio dello Stato sembrano rappresentare più che altro dei segnali da poter utilizzare nei comunicati stampa. Una visione retrotopica di un immaginario governo di centro sinistra, o meglio un Draghi bis, non avrebbe fatto cose molto diverse. In Europa, per il momento come ripete Giorgia, possono stare tranquilli. E Stoltenberg può continuare a rassicurare gli USA.
Se c’è qualche mugugno riguarda la base di aficionados di retro cultura fascista che ha costruito e sostenuto Fratelli d’Italia nel suo percorso di conquista del “potere”. Nel piccolo partito leninista del “credere, obbedire, combattere” non ci si aspettava tanto di menar le mani, per quello ci sono altri mentecatti, ma di segnare qualche punto almeno sì. Il rinvio dell’attacco al reddito di cittadinanza è un po’ il simbolo di una incertezza che, mascherata da buon senso e bisognosa comunque di riflessione tecnica, teme sollevamenti di piazze e di popoli non inquadrati nei vituperati sindacati confederali.
Due segnali sono stati dati. Il primo si potrebbe chiamare “senza portafoglio” e riguarda la partita pandemia-vax: “noi avremmo fatto diversamente”. L’altro riguarda gli ambientalisti da salotto che continuano a credere alla favola del riscaldamento climatico. Qui la crisi energetica di un folle mercato sta mettendo a rischio ogni progetto di transizione e basta questa scusa per rimandare la decarbonizzazione nelle sue misure concrete. Già Draghi e il suo ministro (oggi consulente) ci avevano messo del proprio; oggi “motore endotermico”, “nucleare di IV generazione”, “trivelle Adriatiche in azione”, spopolano sia tra gli esperti di economia che tra i fans di Facebook, si chiude la partita del diseducativo ma efficace superbonus e nessuno si sogna di emettere i decreti attuativo delle CER, Comunità Energetiche Rinnovabili. E ci si lamenta che, quando serviranno, dovremo andare a procurarci i prodotti tecnologici dai cinesi. Però questa volta almeno avremo realizzato il Ponte di Messina.
La sinistra continua a imprecare per una deriva fascista che, a parte la bolla autoritaria trascinata dalle improbabili norme inventate per i “rave party”, non mi pare possa trovare spazio nell’Italia di oggi. Però siamo in presenza non solo di una profonda crisi della democrazia rappresentativa dopo 70 anni di servizio ma soprattutto di fronte ad uno “sfarinamento” delle istituzioni che hanno caratterizzato in questo stesso periodo lo stato di diritto. Uso il termine “sfarinamento” prendendolo in prestito da Marcello Flores e Giovanni Gozzini che nel loro testo “Perché il fascismo è nato in Italia” (Laterza 2022) lo identificano come la condizione che ha permesso ad una minoranza violenta e sanguinaria di non trovare reazioni adeguate e quindi di impadronirsi dello Stato risorgimentale incapace di rispondere ai bisogni popolari successivi alla fine della Grande Guerra.
La lezione di quegli anni va tuttavia vista non solo rispetto allo sbocco italiano o tedesco (nazismo) ma per una serie di “rivoluzioni conservatrici” che interpretarono i conflitti sociali quasi dovunque in Europa, salviamo Francia e Gran Bretagna, per dare origine a forme autoritarie diverse che, caso della storia, si espressero con particolare intensità anche allora in Polonia e Ungheria. C’era un nemico molto interessante, “il bolscevismo”, con la sua agghiacciante novità, l’abolizione della proprietà privata. I proletari si erano illusi di cambiare le regole e i proprietari non potevano più fidarsi della democrazia. La salvezza stava nella nazione e nella autorità che da essa poteva emanare interpretando gli interessi giusti. Qualcuno esagerò e venne la II guerra mondiale a mettere le cose a posto, o meglio a costruire un equilibrio che in occidente è durato fino alla fine del secolo scorso.
Lo “sfarinamento” delle democrazie attuali, ma la cosa vale in giro per il mondo anche per chi la democrazia l’ha appena annusata, non dipende più da una guerra mondiale appena conclusa o dallo spettro del comunismo che avanza, ma semmai da una incapacità degli stati di confrontarsi con i problemi dell’umanità e magari dal pensare di farlo progettando un prossimo futuro imperiale. I regimi autoritari e le autocrazie, spesso avallate anche da responsi elettorali, sono all’ordine del giorno e. nei rapporti economici, stiamo imparando a non farci più troppo caso. L’importante è trovare i nemici giusti, ricordando talvolta gloriosi tempi passati, o semplicemente inseguendo leader che sappiano imporsi. Qualcuno sembra improbabile ed effimero, altri riescono a giocare carte piuttosto solide.
E’ in questo quadro che interpreterei la clamorosa emersione in Italia di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia. Grazie a dabbenaggini elettorali e ad una stanchezza democratica evidente, per motivi oggettivi e per mancanza di proposte, con il consenso di un elettore ogni dieci aventi diritto, siamo in presenza di quella che chiamerei “rivoluzione neo-restauratrice” di cui non abbiamo alcuna coscienza delle probabilità di durata.
Il nemico non è più il bolscevismo, cui peraltro era ricorso anche il Berlusconi nei decenni passati, ma un mix di “troubles” che spingono anziani e “diversamente anziani” a rifiutare i cambiamenti che il XXI secolo ci presenta. Tra questi c’è innanzitutto una nazione che non sa più inseguire i propri interessi, si lascia invadere da immigrati e non da più figli alla patria. Ed è su questo piano che finora Giorgia Meloni riesce a battere i suoi colpi. Le barche delle ONG e i raduni LGBTQ sono un nemico visibile che chiunque può credere di toccare.
Per ora poco importa che una finanziaria possa anche risultare deludente. Sanità e scuola si arrangeranno con il PNRR. E non occorre spiegare che toccare il cuneo fiscale significa, in uno stato dove vige il sistema contributivo, ridurre la propria pensione. Tanto si può sempre accusare quelli che c’erano prima. E se gli immigrati vengono richiesti a gran voce da una industria che deve produrre volumi anche a basso costo, si potrà sempre dire che ci sono altri percorsi rispetto al Mediterraneo e alla rotta Balcanica per procurarseli.
Ma il colpo di genio è stato per Giorgia Meloni rivendicare il titolo di Presidente del Consiglio, senza alcun cedimento alle culture di genere: l’incertezza sessuale va combattuta ad ogni costo mantenendo le tradizioni del buon tempo passato e il potere non può che essere declinato al maschile.

Giorgio Cavallo