I diritti degli animali e le innovazioni sono di destra o di sinistra?
Destra e sinistra esauriscono la classificazione politica?
La guida a destra o a sinistra delle automobili è una scelta inderogabile, perlomeno fino a quando in gran parte delle strade vi sono due corsie. Nelle autostrade ad almeno quattro corsie la questione si complica un po’ ed i più furbi e/o veloci cercano di occupare il centro, peraltro a destra e sinistra a seconda dello “Stato” in cui si viaggia.
Il paradigma stradale di fatto si applica quasi totalmente alla politica, perlomeno nella interpretazione che ne da l’informazione attuale, salva la riserva di qualche pista ciclabile per i malcapitati che non possono essere inquadrati nelle due percorrenze di base.
Ma quale senso ha questa visione binaria nell’attuale dinamica politica? Ci sono almeno due definizioni che possono confortarla. La prima, storicamente basata su quanto ha generato conflitto politico negli ultimi secoli, definisce a sinistra i tentativi di ridurre le disuguaglianze sociali, a partire dalla disponibilità di reddito e di servizi. La seconda, più difficilmente misurabile, si base sulla attitudine a conservare (o restaurare) modalità di organizzazione sociale esistente rispetto a innovazione e cambiamento. In questo versione si inquadrano anche piani etico-valoriali, culturali, economici, religiosi, sessuali di genere, etc.
Tra i diversi valori contesi la dimensione “nazionale”, molto più di quella “statale” (modalità di organizzazione istituzionale), tende sempre più a slittare verso una accentuazione di destra “nazionalista” contrapposta ad un “internazionalismo” visto come sinistra. Ne è un sintomo lampante l’abuso del termine “nazione” da parte del(la) Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, anche quando il termine tecnico corretto da citare sarebbe “Repubblica”. In realtà l’uso della problematica politica della “nazione” può percorrere strade sociali classiche in ambedue le direzioni, sia conservazione che innovazione, sia ampliamento o riduzione delle diversità individuali e collettive.
I diritti degli animali sono di destra o di sinistra?
Mi sono posto la questione quando nei quotidiani odierni ho letto le statistiche sugli incidenti stradali in F-VG che hanno coinvolto animali (ed in particolare gli ungulati): sono circa 2000 all’anno solo per le rilevazioni ufficiali.
Una politica di difesa e tutela degli animali è di destra o di sinistra? Il dubbio esce rafforzato quando si va a leggere con accuratezza i programmi dei candidati presidenti alle prossime elezioni regionali. Qui solo nel documento Moretuzzo, il relazione a questioni di salute, si trova una citazione legata presumibilmente alla necessità di introdurre il microchip anche per i gatti. Negli altri programmi totale silenzio. E questo in presenza di potestà amministrative e legislative notevoli proprio da parte della Regione. Sia direttamente in termini di organizzazione e di diritti per quel che riguarda animali di affezione e lavoro, allevamento e produzione di cibo, fauna selvatica e stanziale (caccia e pesca in primis), fauna migratoria, sia indirettamente per tutte le questioni di governo del territorio che incidono pesantemente sulla vita animale, come per le strade ed i canali balzati alla cronaca in questi giorni.
Mi risulta che in giro candidati singoli siano comunque in caccia di preferenze tra gli adepti ad associazioni “animalisti”. Ed anche nei programmi per le elezioni comunali qualcosa si trova. Ma il dibattito politico non può limitarsi a contrapporre favorevoli o contrari alla immissione della lince nei boschi tarvisiani. Certo, esiste un conflitto ideologico tra visioni di centralità antropica e visioni di rispetto ampio del creato che da luogo a diverse interpretazioni dei diritti, ma chi sa dirmi quanto sono inquadrabili nella partizione attuale destra-sinistra-centro?
E allora, i politici sono tutti uguali e non vale la pena sprecare un voto?
La tradizione di democrazia mi spinge a votare e, nei limiti attuali devo accontentarmi di quanto mi viene proposto di sinistra. Ma non posso fare a meno di considerare assurda la riduzione delle scelte politiche ad una retta unidirezionale o anche a quella di un piano con le due ascisse, conservazione e cambiamento. Fortunatamente il F-VG è una regione a statuto speciale e, perlomeno in prima istanza, non è necessario essere coinvolti nelle diatribe che nel resto d’Italia riguardano la cosiddetta “autonomia differenziata”.
La complessità delle decisioni che coinvolgono la vita delle comunità chiede sempre meno semplificazioni e la politica è diventata uno spazio n-dimensionale in cui è necessario imparare a muoversi. Le forme e le regole attuali della democrazia non aiutano molto quando dalle enunciazioni di principio si passa alle scelte attuative. Ogni scelta di cambiamento nasconde significati contrastanti su cui è necessario riflettere prima del consenso. La polisemia del concetto di “riforma” è un monito che incombe.
Vale la pena ricordare una vecchia polemica sulla collocazione politica dei “luddisti”; quelli che distruggevano le macchine industriali a vapore delle manifatture per difendere le tradizionali modalità di lavoro. La questione mi collega al vituperio che colpisce chi oggi in qualche modo pone dubbi sulla necessità di innovare e digitalizzare ogni attività umana. Insulti che accomunano sia la destra che la sinistra, e che alla fine porteranno alla vittoria del nuovo come la rivoluzione industriale al tempo dei luddisti. Questi “sognatori” si ponevano due questioni principali, la disumanizzazione e sfruttamento della fabbrica (in termini fisici e di tempo), e la introduzione massiccia del lavoro dei bambini. Ci sono voluti secoli per miglioramenti significativi, spesso ancora non raggiunti.
Qualche dubbio su quanto sta avvenendo con la “rivoluzione digitale” può non essere campato per aria. L’innovazione ha valore se migliora le condizioni umane e non se le complica oltre la loro sopportazione.
Che sia necessario un nuovo movimento luddista? Marx dopo un iniziale dubbio collocò a destra i luddisti del suo tempo. Che sia oggi il caso di una scelta diversa?
Giorgio Cavallo