Il Demodeismo come Sfida all’Intelligenza Artificiale e alla Cultura Attuale

I poeti oggi, non possono che essere demodé. Nell’orizzonte del docuverso e delle intelligenze artificiali, i poeti si sentono e sono stranieri, oggi, a sé stessi e agli altri. Il “fare” poetico cerca invano di dare un senso, e in questa vanità l’unica poesia “possibile” sembra essere quella “senza senso” (asemic poetry).

Le scritture lineari non arrivano più al cuore delle persone, le emozioni al tempo dei social sono volatili e veloci come bit. Parole sconnesse per sciami inquieti, versi svuotati di ogni capacità evocativa, una lingua che ha perduto la sua originaria potenza ispiratrice. Il movimento demodeista, con la sua prerogativa di inattualità osa sfidare in modo emancipatorio la desertificazione culturale in atto. La polverizzazione cognitiva, il relativismo etico e la precarietà esistenziale hanno portato il “mondo” a un punto di non ritorno. L’orizzonte è rarefatto, malato, vuoto. Meglio non deprimersi anzi trarne forza ispirativa per le nostre creazioni. Ma è ancora possibile “creare” nell’era dell’intelligenza artificiale?

I testi generati in modo automatico configurano uno spazio magmatico dove spinte incontrollate di varia  natura richiamano un assoluto indefinibile. Le narrazioni in cui siamo immersi sono gli ultimi frutti avvelenati di una decennale semina su scala globale. Le parole automatiche di chatgpt sono materia usa e getta. Verba ac scripta volant, nihil manet… I linguaggi artificiali sono instabili, irrequieti, fluttuanti, le parole detriti, scarti, frantumi. I testi in rete sono instabili, ubiqui e in rapida obsolescenza. Nihil manet.

Un tempo la scrittura fissava la realtà e l’oralità la volatilizzava. Oggi i grammata della scrittura non si limitano a racchiudere semata come nuclei di senso in grado di rendere pienamente le immagini delle cose quali sarebbero in sé; anzi, essi le rappresentano ma solo per portare le cose stesse a manifestarsi all’esperienza. I grafemi sono mattoni da costruzione tutti identici, riconducibili a codice decimale, in un passaggio sempre più fitto tra testi e immagini. L’intelligenza artificiale insidia e annulla la memoria, superato il “limite” delle parole inscritte nella loro concrezione su carta. I poeti demodé sono artigiani che smaterializzano le parole, le tagliano, incollano, ritagliano, scremano, parsificano. Il “fuori moda” dei loro testi è suggestivo e fuori dall’ordinario. Essi tentano, ostinati e idealisti, di recuperare il nesso parole / pensiero, oggi spezzato.

Con le loro poesie, in dialogo con le altre forme espressive, tentano una disperata ricomposizione dell’infranto, impossibile al tempo dei bit. L’intelligenza artificiale non conosce oblio, né la fatica del ricordo. Essa non reca più in sé il dolce sapore del sovvenirsi, il gusto paziente del ritrovare nella mente le vie perdute del ricordo. I poeti demodeisti navigano tra analogico e digitale come romantici flaneurs, serendipiche e stocastiche scoperte narcotizzano la loro coscienza inquieta. Lo scollamento dalla realtà è per essi voluttuosamente ispirativo. Détournement. Oltre l’angustia delle mode imposte, essi riassemblano testi, restituendoli alla loro primordiale potenza. Rivedendo, riprogettando, recuperando, restituendo… Novelli influencer della letteratura, il loro pinguaggio di visionari rimanda a derive d’iperattività. I loro testi suonano inattuali, tutte le possibili torri di Babele crollano, il demodeismo è la nuova frontiera della poesia contemporanea. Con la teoria e la pratica di un movimento emancipatorio, inedito e fuori moda i poeti demodé potranno smascherare le imposture della società letteraria di oggi.

[Peter Genito]