“Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900. Da Picasso a Man Ray, da Calder a Basquiat e Matisse” a Trieste dal 25 marzo al 30 luglio

Maschera Bassa-Liberia

Immergersi nell’arte africana e poi coglierne l’essenza nei capolavori creati dagli artisti del Novecento: è il concept della mostra “Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900. Da Picasso a Man Ray, da Calder a Basquiat e Matisse” reso tangibile nell’esposizione a Trieste di 50 opere d’arte europea e oltre 100 opere plastiche e scultoree dell’Africa sub-sahariana, selezionate dai curatori Vincenzo Sanfo, Anna Alberghina e Bruno Albertino. In programma dal 25 marzo al 30 luglio 2023 nella Sala Carlo Sbisà del Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste, “Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900” è prodotta da Navigare in co-produzione con Diffusione e Cultura e promossa dal Comune di Trieste con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismoFVG.

“Partendo dalle esperienze picassiane” – afferma il curatore Vincenzo Sanfo – “questa mostra ci porta sino ai giorni nostri attraversando percorsi che hanno in comune una visione dell’arte che trae dall’essenzialità delle forme africane ispirazione, generando i papier-decoupe matissiani, le decorazioni tribali di Keith Haring, le surreali visioni di Man Ray, le gioiose figure di Calder accostate alla furia costruttiva di Basquiat. Cosi come le irriverenti maschere di Enrico Baj, le luminose visioni di Marco Lodola e le incursioni di Marco Nereo Rotelli, accompagnate dalla cancellazione picassiana del cinese Xu Deqi. Un percorso” – conclude Sanfo – “quello pensato per questa mostra, essenziale ma esaustivo di quanto l’arte africana abbia contribuito e continui a contribuire all’evoluzione dell’arte occidentale”.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Picasso_portrait

Il percorso espositivo si apre con l’esposizione di circa 100 opere d’arte africana tra sculture, maschere e oggetti, suddivise in nove tematiche: Fertilità e maternità, Bamboline di fertilità, Il culto dei gemelli, Le maschere, Gli antenati, Figure magiche, Arte funeraria, I poggiatesta, Gli oggetti d’uso.

Le sculture appartengono integralmente alla Collezione dei curatori Bruno Albertino e Anna Alberghina e sono il frutto di oltre 30 anni di viaggi, collezionismo e studio della materia. Le diverse tematiche sono introdotte da foto retroilluminate, evocative della cultura dei popoli africani, scattate da Anna Alberghina proprio in quei luoghi, utili a far entrare il visitatore nella vita dei popoli africani. Sono inoltre proposti dei video, girati dai curatori stessi, che riguardano riti e costumi di alcune popolazioni: danze, cerimonie, riti magici e anche vita quotidiana.

La seconda parte è dedicata all’esposizione di circa 50 opere d’arte del Novecento, nelle quali si coglie perfettamente l’aspetto immortale del mito africano, con una vasta sezione dedicata a Picasso con disegni, litografie, e ceramiche. Poi si continua con le opere di Matisse, Calder, Gauguin, Man Ray, fino ad arrivare ai più contemporanei Mimmo Paladino, Basquiat e Xu de Qi.

LA PERCEZIONE DELL’ARTE AFRICANA

L’interesse per l’arte africana nasce ufficialmente nel 1906, quando Henri Matisse e altri artisti iniziano a collezionare opere africane e a utilizzare quegli stilemi nella loro arte. In quel periodo Parigi diventa il centro del mercato dell’arte africana e i grandi galleristi, come Paul Guillaume, Charles Ratton e Joseph Brummer contribuiscono a promuoverla e ad accrescere la sua popolarità. Gli artisti delle Avanguardie parigine intraprendono un percorso di ricerca, che in alcuni casi da origine a rivoluzionarie correnti artistiche, prima fra tutte il Cubismo. Picasso, il suo fondatore, realizza Les demoiselles d’Avignon (1907), non solo manifesto del movimento cubista, ma opera che presenta, tra le altre, delle figure femminili con volti perfettamente assimilabili alle maschere africane.
L’arte africana affascina, seduce e avvicina gli artisti moderni e contemporanei anche a un senso di spiritualità e di misticismo, come si evince in molte altre opere d’arte, create a partire dal Novecento fino ai giorni nostri.