Impietosa analisi storica sulla sanità Fvg dalla Dirigenza Medica che si schiera in difesa del Pubblico

In una lunga e articolata nota la Intersindacale della Dirigenza Sanitaria FVG boccia senz’appello l’attuale gestione politica della sanità regionale, che spinge nel sostegno ai privati,  ma scava anche negli errori del passato, unico ex presidente parzialmente salvato dall’analisi Riccardo Illy che però, dicono,  pur avendo governato con una visione strategica il servizio sanitario regionale del Fvg non ebbe il coraggio di portare la riforma all’approvazione del Consiglio Regionale per l’avvicinarsi delle elezioni. Da quei tempi in poi secondo la Dirigenza Medica è stato un continuo inanellarsi di errori fino alla pandemia che ha messo completamente a nudo la situazione. Di tutto questo la Intersindacale della Dirigenza Sanitaria FVG    annuncia di voler parlare  anche nel corso di una conferenza stampa prevista per il prossimo 17 Maggio. Intanto  riteniamo importante pubblicare in forma integrale il testo della nota che, per altro riteniamo condivisibile in moltissime parti: “Abbiamo più volte ricordato il ruolo delle associazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria, vere rappresentanti dei Professionisti della Salute, chiamati spesso angeli ed eroi o addirittura martiri (se ricordiamo il numero dei circa 400 tra Medici e Odontoiatri deceduti nel corso della pandemia), ma soltanto nei momenti difficili. Queste associazioni rivestono un indiscusso ruolo sociale nella tutela e nel miglioramento dei servizi sanitari, come d’altronde ricordato nel Titolo 11 del CCNL 2016-18: “… Attraverso il sistema delle relazioni sindacali: si attua il contemperamento della missione di servizio pubblico delle aziende ed enti a vantaggio degli utenti e dei cittadini con gli interessi dei dirigenti a migliorare le condizioni di lavoro, di sicurezza clinica e di crescita professionale; si migliora la qualità delle decisioni assunte; si sostengono la crescita professionale, le condizioni di lavoro e l’aggiornamento dei dirigenti, nonché i processi di innovazione organizzativa e di riforma della pubblica  amministrazione…”. Tuttavia, si ha l’impressione che le associazioni sindacali della dirigenza siano considerate utili soltanto quando approvano, ma inutili o da ignorare quando criticano o suggeriscono modifiche alle decisioni politiche. Assai spesso i loro pareri negativi vengono addirittura identificati o additati come prodotto di conflittualità e difesa corporativistica. I risultati del mancato ascolto sono purtroppo evidenti a distanza, con rilevanti effetti negativi sul sistema sanitario regionale, mentre molte problematiche di questi anni avrebbero potuto essere evitate o ridotte con un maggiore coinvolgimento di queste associazioni da parte dei decisori politici, e con un minor ricorso a proclami e promesse non mantenute. Tra queste è emblematica quella del potenziamento del territorio, più volte declamato nel periodo pandemico. Non vi è mai stato un programma dettagliato di come questo processo possa avvenire. L’impressione è che, ancor oggi, siamo di fronte alla solita promessa mai mantenuta da venticinque anni a questa parte. Sembra quasi che il potenziamento del territorio significhi in realtà il voler potenziare il privato per un’offerta di servizi indispensabili al cittadino, senza costituire quella rete virtuosa tra servizi con la regia del servizio sanitario regionale, che possa garantire un approccio a 360º delle problematiche. Dichiarare “potenzieremo il territorio” non è garanzia che quel territorio, ancorchè potenziato, sia efficiente rispetto alla comunità, dato che è mancata negli anni ogni discussione con i cittadini, con gli operatori e con tutti i portatori di interesse. Senza un processo che tenga conto della voce e della partecipazione attiva della società si rischia, come già tante altre volte accaduto, di costruire castelli sulla sabbia. Sempre per quanto riguarda la recente storia pandemica, i dati che segnalano la più alta mortalità per Covid in Italia (3 volte la media nazionale, con Trieste maglia nera 8 volte), meritano un’analisi approfondita: capire quali siano le ragioni esterne, e quali quelle interne, è interesse di tutti. Sarebbe sbagliato cogliere l’occasione per facili polemiche politiche o attribuire le responsabilità alla Giunta regionale in carica. Tuttavia, alcuni elementi generali meritano una riflessione. Negli ultimi 15 anni sono stati commessi, secondo chi scrive, 5 errori gravi nella politica sanitaria le cui conseguenze vanno oltre il dato contingente. Di fatto, l’ultima Giunta ad aver governato con una visione strategica il servizio sanitario regionale del Friuli Venezia Giulia è  probabilmente stata quella di Riccardo Illy: nonostante ciò, purtroppo, il primo errore appartiene a quell’epoca. La Giunta aveva predisposto ed approvato, con l’autorevole supporto dell’Università Bocconi, una proposta di riforma che istituiva in questa Regione 3 aziende sanitarie, una per ciascuna Area Vasta, in continuità logica con la riforma precedente, la L.R. 13 del 1995, approvata nella VII^ legislatura. A quell’assetto siamo pervenuti da poco, con oltre dieci anni di ritardo, perché quella Giunta non ebbe il coraggio di portare la riforma all’approvazione del Consiglio Regionale per l’avvicinarsi delle elezioni: il Presidente Illy riconobbe successivamente di aver sbagliato. Il secondo grave errore fu commesso dalla successiva Giunta Tondo, con l’abolizione dell’Agenzia Regionale della Sanità: di fatto il sistema ha perso il proprio cervello, proprio in anni nei quali la complessità aumentava esponenzialmente. Da allora hanno cominciato a venir meno elementi fondamentali per la capacità di analisi, programmazione strategica e gestione del sistema e nessuno ha saputo vicariare quelle attività: anche questo errore fu onestamente riconosciuto a distanza dal Presidente Tondo. Per la verità, nel corso di quella legislatura, vi fu un altro grave strappo istituzionale: la revoca di una intesa già firmata tra il Rettore dell’Università di Udine e il Presidente della Giunta per la nomina del Direttore Generale del più grande ospedale della Regione, il Santa Maria della Misericordia di Udine. Le ragioni di un simile clamoroso caso di rottura istituzionale sono ancora in parte poco chiare, ma molte testimonianze attribuiscono la scelta alla preoccupazione di alcuni cattedratici rispetto all’arrivo di un Direttore Generale autorevole e preparato. Questa preoccupazione giunse all’orecchio del Rettore e Io strappo vi fu. Alcuni di loro hanno poi riconosciuto di aver sbagliato, anche se diversi episodi occorsi in quell’ospedale negli anni seguenti evidenziano oltre ogni ragionevole dubbio che gli interessi  dell’Università contrastanti con quelli del Servizio Sanitario Regionale trovarono ascolto, a danno del sistema. Il terzo errore è stato della Giunta Serracchiani: la riforma, approvata nonostante i suggerimenti e le critiche delle associazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria, realizzava un sistema di aziende sanitarie del tutto prive di logica territoriale, senza la possibilità di costruzione di un sistema ospedaliero Hub & Spoke (che andava imponendosi come modello necessario per far fronte alla prorompente innovazione della medicina). In più, errore nell’errore, la concessione di un potere straordinario alle Università (ottenuto con un emendamento fatto passare di nascosto in una finanziaria) affrancava la nostra regione (unica in Italia) dal rispetto della legislazione nazionale sui rapporti Università Regioni. Serracchiani non capì una cosa fondamentale, che oggi comincia ad essere elencata nelle piattaforme riformatrici di alcuni sindacati medici: le logiche con cui vengono selezionati ricercatori, professori associati ed ordinari sono del tutto peculiari. E’ ben documentato che l’Università italiana, con poche lodevoli eccezioni, con la sua caratteristica  autoreferenzialità, non figura nelle posizioni di testa dei diversi ranking internazionali (a differenza del Sistema Sanitario): tra le ragioni è spesso citato il metodo di selezione dei docenti, condizionato da nepotismo, clientelismo e ragioni di appartenenza a gruppi, più che dal merito, come emerso anche recentemente da molte indagini e procedimenti giudiziari in più parti d’Italia. Purtroppo queste scelte ricadono, senza possibilità di discussione, sulla guida di molte Strutture operative negli ospedali: i risultati spesso sono in contrasto con gli interessi del Sistema sanitario, e producono esiti molto critici. La Giunta Fedriga all’inizio del mandato sembrava orientata a porre rimedio ad alcuni di questi errori: ha approvato una riforma delle Aziende sanitarie che di fatto riprende quella della Giunta Illy (mai divenuta legge) e fa finalmente coincidere i territori delle aziende con le 3 Aree Vaste già identificate sin dalla legislazione degli anni ’90 (da molti ritenuta di buona qualità strategica), ed aveva rapidamente disdettato il Protocollo d’intesa Regione Università, sottoscritto dalla Presidente Serracchiani e fortemente sbilanciato a favore degli interessi del mondo universitario. Oltre a ciò, la Giunta Fedriga sembrava andare sulla strada giusta ripristinando un organismo di gestione del Sistema con le competenze della ex Agenzia (ARCS), con alcune nuove aree di intervento coerenti con fabbisogni emergenti. Ciò che di buono poteva venire da queste scelte è stato vanificato prima dalla riproposizione in legge del vecchio protocollo d’intesa appena disdettato e poi dalla approvazione di un nuovo protocollo, ancora più sbilanciato a vantaggio del sistema universitario. L’errore più grave, però, è stato probabilmente preporre alla guida dei nuovi Enti dirigenti i cui curricula, in molti casi, non sono all’altezza della complessità. La Giunta, infatti, pur avendo attivato una procedura di selezione con criteri condivisibili, e pur avendo a disposizione alcune tra le migliori professionalità del management sanitario, ha preferito fare scelte diverse lasciando che 4-5 tra i più brillanti Direttori generali italiani andassero a fare la fortuna di altre regioni, dal Veneto al Lazio, dalla Lombardia all’Emilia Romagna con risultati talora clamorosi (si veda la performance della Regione Lazio durante la pandemia). Difficile che una simile catena di errori nei tre lustri passati, condivisi da tutti gli schieramenti politici, non abbia effetti pesanti sul Sistema Sanitario Regionale: effetti che si vedono ogni giorno, a cominciare dai percorsi misteriosi e sorprendenti che caratterizzano la produzione degli atti aziendali, tutti recentemente bocciati per essere poi incredibilmente annunciati come approvati, ma che si leggono anche nei rapporti di diversi Istituti di analisi e ricerca, nei rapporti del Piano nazionale esiti di AGENAS e, forse, anche nei dati di mortalità per Covid. Difficile porre rimedio a breve: probabilmente rivedere profondamente i rapporti con l’Università, ripristinando i ruoli di ciascuno (oggi di fatto sono i Consigli di Dipartimento delle Università che guidano il Sistema), e programmare una selezione delle Direzioni generali con diversi criteri per il futuro sono le due questioni più urgenti che qualsiasi Giunta dovrà affrontare nei prossimi anni. Per quanto riguarda i rapporti con l’Università, è indispensabile anche poter disporre di analisi relative alla performance delle strutture cliniche in rapporto al numero di studenti e specializzandi, ed al loro utilizzo in ambito operativo. Risulta tuttavia automatico un certo pessimismo per il futuro, data l’esperienza di un progressivo minor coinvolgimento delle associazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria nella programmazione, con i risultati appena citati, fino alla recente totale loro scandalosa esclusione dall’importante percorso che ha portato all’approvazione del protocollo d’intesa regione università. E’ auspicabile che i prossimi Giunta, Consiglio ed Amministrazione Regionale cambino direzione, applicando criteri di maggior trasparenza e condivisione con le suddette associazioni sindacali, e con chi sia autorevolmente impegnato nell’interesse e tutela del servizio Sanitario Nazionale e Regionale. Questo potrebbe finalmente portare, o contribuire, ad una positiva inversione di tendenza dell’attuale scarsa attrazione della sanità regionale. Questa era un tempo fiore all’occhiello di quella nazionale, ma l’attuale situazione è dimostrata dall’evidente fuga dei Medici dalle strutture della sanità pubblica e dalla ridotta e talora nulla partecipazione ai concorsi per dirigenti o persino primari/direttori delle strutture. Non possiamo attribuire colpe specifiche per questa fuga, oppure semplicemente attribuirla ad una carente programmazione del passato o ad una ridotta motivazione dei giovani, come dichiarato da qualcuno. Il meccanismo è purtroppo noto e multifattoriale: turni di lavoro spesso massacranti, causati da tagli e riduzioni degli organici o mancate assunzioni; scarso riconoscimento dato ai Professionisti, con premialità decisamente simboliche; ridotta partecipazione alle scelte organizzative e, come già ricordato, progressiva riduzione del coinvolgimento delle associazioni sindacali fino al totale loro mancato ascolto. Frustrare o ignorare la disponibilità collaborativa dei Professionisti che vivono e animano il sistema non è un buon inizio, e neppure una strategia vincente per il futuro”. La nota stampa è firmata da AAROI-EMAC Alberto Peratoner,  ANAAO-ASSOMED Valtiero Fregonese, ANPO-ASCOTI Antonio Maria Miotti, FASSID Stefano Smania, FPCGIL Calogero Anzallo, FVM Patrizia Esposito.