In attesa che il futuro di Udine esca dalla cabina…
Il Comune e l’Università, a guida sindaco Fontanini e rettore Pinton, hanno messo in piedi una “cabina di regia” denominata FriuliEuropa il cui scopo sarebbe quello di individuare alcune prospettive essenziali per il futuro del Friuli, ed in particolare modo per la città di Udine, in rapporto sia ai finanziamenti che dovrebbero arrivare dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sia più in generale agli interventi, soprattutto infrastrutturali, necessari a definire il ruolo del Friuli da qui al 2050. Le informazioni fornite dalla stampa hanno messo in rilievo soprattutto i temi della logistica e del trasporto delle merci (e delle persone) rivendicando ad Udine la centralità di un nodo legato sia ai flussi nord-sud che a quelli est-ovest. Dalla coerenza funzionale di tale realtà con il sistema produttivo del Friuli centrale e di quello occidentale si gioca anche la capacità di non subire quella subalternità al porto di Trieste che oggi sembra dominare le analisi politiche regionali.
Nulla di male nell’individuare le opere necessarie a ridare centralità al Friuli nella mobilità europea, a cominciare dalla colpevole trascuratezza regionale rispetto alla linea ferroviaria Udine-Pordenone-Venezia ed alla sua importanza sia per le merci che per le persone. L’occhio delle competenze e della politica dovrebbe però maggiormente allargarsi al territorio ed a tutto quello che ne può determinare una sua oggettiva “resilienza”. Proprio il PNRR ne mette in rilievo l’importanza e la mette a confronto con la “ripresa” economica.
Che i due concetti vadano d’amore e d’accordo non è proprio automatico e probabilmente ogni realtà territoriale dovrebbe riflettere su come sia possibile non esagerare nel tirare la coperta da una parte o dall’altra. La transizione ecologica ed energetica, assieme all’invasione digitale, sono i capisaldi del futuro della “nextgeneration” in Europa. Ma la strada da percorrere non è univoca.
Porto un piccolo esempio locale nel campo della mobilità individuale, noto da una ventina d’anni. Nell’area urbana udinese abitata da circa 200.000 persone viaggiano circa 150.000 automobili. L’obiettivo della de-carbonizzazione può significare o che tutte queste auto diventino elettriche oppure che un diverso modello di mobilità, magari simile a quanto già oggi avviene in analoghe aree europee “ricche”, permetta di ridurne il numero di almeno 50.000. La “ripresa” può accontentarsi della prima soluzione. La “resilienza” del territorio no. Più in generale Udine e il Friuli hanno bisogno di trovare una visione che ne orizzonti il futuro puntando a valorizzare sia le eccellenze economiche inseribili nelle dinamiche dei cicli globali sia allo stesso tempo le potenzialità diffuse proprio nel territorio, a partire da logiche di minor consumo e risparmio. In particolare anche molti asset che la post modernità esclude sulla base di un puro giudizio di mercato possono recuperare un ruolo di equilibrio stabilizzante e di volano sociale e culturale. L’agguato dei cigni neri della mondializzazione si affronta anche con la “resilienza” del territorio e non solo con quella delle imprese coinvolte nel trading. Le aree rurali, di montagna e marginali non chiedono più solo assistenza clientelare ma, se ben interpretate, sono in grado di indicare strade fondamentali di nuova qualità della vita e di capacità di strutturare risposte economiche meno vulnerabili, anche se talvolta meno performanti di un consumo usa e getta..
Tutto questo non è certo facile e ha bisogno di tempo, progettualità complessa e di perseveranza amministrativa. Di fronte alla barca di miliardi di euro da spendere in breve tempo, può sembrare realistico spingere su infrastrutture e opere pubbliche, e nel campo energetico affidarsi ai bonus individuali. Rimandando al futuro la fatica di ragionare operativamente sul medio-lungo termine.
Questo atteggiamento, pur spesso inconsapevole, sarebbe un clamoroso errore. In particolare, in una realtà come la nostra, proprio l’urgenza di adeguate politiche urbane dovrebbe far ripensare al ruolo delle città (e cittadine) come proiezione ed esaltazione di qualità provenienti dalle proprie diversità territoriali e non come puro accentramento di economia e potere, talvolta mascherato da economicità dei servizi.
L’occasione dell’iniziativa di Udine può diventare quindi opportuna, anche se le informazioni di stampa sono reticenti e poco promettenti. Non so quanto la cabina di regia Comune – Università abbia valutato la ricerca di equilibrio tra “ripresa”e “resilienza” e quanto sia in grado di proporre. Ma il non farlo, in un momento in cui la progettualità dei gruppi dirigenti regionali, politici e sociali, non riesce ad andare più in là di un proprio “particolare”, siano il destino delle prossime elezioni o il futuro della propria impresa, sarebbe una occasione mancata non facilmente recuperabile.
Giorgio Cavallo