In carcere in Egitto un altro studente di un’università europea, si tratta di Ahmed Samir Santawy, ricercatore e studente di Antropologia a Vienna
E’ molto complicato avere l’attenzione dell’opinione pubblica per questioni che non hanno attinenza con la pandemia, ma vi sono notizie e vicende che avrebbero bisogno di grande risonanza mediatica, unica arma di difesa contro soprusi e drammi provocati. Dopo Patrick Zaki, è in carcere in Egitto un altro studente di un’università europea, si tratta di Ahmed Samir Santawy, ricercatore e studente di Antropologia presso l’Università centrale europea di Vienna (Austria), arrestato il 1° febbraio scorso dalle forze di sicurezza egiziane. Santawy, studioso di diritti delle donne e in particolare di diritti riproduttivi in Egitto, aveva iniziato a frequentare l’Università centrale europea nella sede di Budapest (Ungheria) nel settembre 2019. Ogni volta che era tornato nel suo paese, era stato interrogato all’arrivo e alla partenza sulle ragioni dei suoi viaggi all’estero e sulla natura dei suoi studi. Il 23 gennaio un gruppo di agenti di polizia e uomini in borghese aveva fatto irruzione senza mandato di perquisizione nella casa di Santawy, assente; avevano sequestrato il registratore delle immagini della telecamera a circuito chiuso dell’abitazione e lasciato disposizioni, senza fornire ulteriori dettagli, affinché egli si recasse presso gli uffici dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (i servizi segreti civili).
Il 30 gennaio Santawy si è presentato a una stazione di polizia di Nuova Cairo ma gli è stato detto di tornare il giorno dopo. Lo ha fatto e il 1° febbraio è stato arrestato. Il 3 febbraio è stato trasferito in un’altra stazione di polizia della zona. Il giorno dopo è stato portato in un luogo sconosciuto fino al 6 febbraio, quando è comparso negli uffici della Procura suprema per la sicurezza dello stato (la procura antiterrorismo). Dal 1° al 6 febbraio le autorità hanno rifiutato di fornire informazioni sul detenuto sia ai suoi familiari che agli avvocati. Il procuratore ha interrogato Santawy sui suoi studi e sul suo background accademico, comprese le sue ricerche su Islam e aborto. Gli è stato poi chiesto quali domande gli avessero fatto nelle stazioni di polizia. Santawy ha risposto affermando che gli uomini dell’Agenzia per la sicurezza nazionale lo avevano interrogato sui suoi studi e sul suo presunto ruolo in una pagina Facebook intitolata “I rivoluzionari del 25 gennaio” contenente critiche sulla gestione dei diritti umani da parte delle autorità. Santawy ha smentito. Il procuratore gli ha poi chiesto dettagli su un post, pubblicato su Facebook, riguardante un giornalista picchiato durante la detenzione ed egli ha precisato che la pagina non era la sua. L’avvocato di Santawy ha chiesto che il suo cliente potesse essere visitato da un medico forense per accertare le ferite riportate durante gli interrogatori nelle stazioni di polizia, ma la richiesta è stata negata. Sebbene l’articolo 54 della Costituzione egiziana disponga che “ogni persona la cui libertà è limitata dev’essere informata immediatamente delle ragioni […] deve immediatamente poter contattare i suoi familiari e i suoi avvocati e deve essere portata di fronte all’autorità inquirente entro 24 ore dal provvedimento restrittivo della sua libertà”, l’articolo 40 della legge antiterrorismo 94/2015 autorizza la procura o un’altra “autorità investigativa” a ordinare la detenzione di un sospetto terrorista fino a 14 giorni, rinnovabili un’altra volta, senza che questi sia interrogato da un procuratore o da un giudice. Tuttavia, l’articolo successivo precisa che il sospetto ha il diritto di essere informato delle ragioni del suo arresto e di contattare familiari e avvocati. Da alcuni anni a questa parte migliaia di oppositori politici, o persone percepite come tali, vengono arrestati e trattenuti per lunghi periodi di tempo in detenzione preventiva su ordine della Procura suprema per la sicurezza dello stato, per consentire lo svolgimento di indagini su infondate accuse di terrorismo e su altre imputazioni. A essere sottoposti alla detenzione preventiva sono soprattutto difensori dei diritti umani, attivisti, avvocati, esponenti politici, manifestanti, giornalisti, operatori sanitari e accademici. In alcuni casi il periodo di detenzione eccede il limite massimo di due anni. I procedimenti nei loro confronti si basano su indagini segrete della polizia – che non vengono messe a disposizione degli avvocati difensori – e a volte su post pubblicati sui social media i cui contenuti sono considerati critici dalle autorità.
Le ultime notizie su Ahmed non sono rassicuranti, ha testimoniato di essere stato schiaffeggiato e picchiato su diverse parti del corpo durante gli interrogatori della polizia e di essere stato tenuto in isolamento dal momento del suo trasferimento alla prigione di Liman Torah, il 6 febbraio, in una cella gelida e senza la possibilità di avere vestiti invernali e di comunicare con la sua famiglia. Il 2 marzo la sua detenzione preventiva è stata rinnovata. Ahmed non si trova più in isolamento. L’8 marzo gli è stata concessa una visita di 20 minuti con la madre, ma a oggi non ha ancora avuto accesso a una rappresentanza legale. La detenzione arbitraria e illegale di Ahmed ha suscitato reazioni in diversi paesi: Amnesty Austria ha lanciato una petizione per richiedere il suo rilascio immediato. Ad oggi, numerose dichiarazioni riprendono questa richiesta, come quella di Amnesty International, che lo ritiene un “prigioniero di coscienza”, condivisa da varie organizzazioni egiziane per i diritti umani e quella del Presidente e Rettore della Central European University.
Si sono espressi con forza per la sua liberazione anche:
International Federation for Human Rights
Amnesty MENA
Council for European Studies
Egyptian Front for Human Rights
European Association of Social Anthropologists
American Anthropological Association
Forced Disappearance by the FORSEA
Austrian National Student Union
AFTE
Su Facebook si è creato il gruppo FreeAhmedSamir, che promuove iniziative per la sua liberazione. Il 19 febbraio Amnesty Austria ha protestato insieme a studenti e membri della CEU di fronte alla ambasciata egiziana di Vienna.