Inner city
Il sabato è universalmente giornata di riposo e dunque si approfitta per fare ciò che negli altri giorni non si riesce. Quattro passi in giro per le strade senza una meta precisa. Tanto basta guardarsi attorno un po’ e si capisce immediatamente che la nostra normalità, quella a cui siamo abituati a casa nostra, si confronta e si scontra con quella locale. Non solo, ma essendo al fuori del cuore della città dove si concentrano i movimenti degli stranieri alle prese con le spese di fine settimana, le dinamiche sono diverse ed ancora più lontane dalle abitudini di noi cittadini stranieri provvisoriamente residenti a Bangui. I mini negozietti che rappresentano il cuore delle attività in questa e nelle altre zone appena periferiche della città, sono dappertutto e spesso vendono quelle poche cose uguali in tutti i negozietti. Una mia amica mi e si chiede perché la gran parte di chi si arrabatta ad inventarsi un lavoro lo fa aprendo una baracchetta all’interno della quale cerca di smerciare pochi oggetti che si possono trovare nelle altre baracchette che si replicano lungo i bordi delle strade.
Non è chiaro, non a me di certo che sono solo una specie di alieno in questo contesto, cosa riescano, a fine giornata, questi piccoli commercianti a portare a casa. È forse questa la parte più interessante della città in cui si riesce a immaginare la normalità di chi ci vive e di come, alla fine, questo tipo di commercio si traduca in una specie di grande e distribuito baratto che permette di vivere, certo alla giornata, a queste persone. Nel senso che, se oggi ho guadagnato qualcosa con la mia attività, domani spendo per procurarmi quel minimo che mi serve e che non ho. E dunque mi rivolgo all’altra bancarella che avendo guadagnato qualcosa, domani ancora spenderà presso un altro creando in questo modo un circuito all’interno del quale si garantisce quel minimo di sussistenza reciproca.
Dopo di ché, per cercare di rispondere all’amica, faccio mia la sua domanda e mi rispondo pensando a cosa d’altro potrebbe fare la gente; che altro lavoro, che altra attività. Certo ci sono gli artigiani, quelli più grossi e quelli più improvvisati, ma rimaniamo sempre lì, se escludiamo quelli grossi, generalmente al livello di sussistenza. Per fare un esempio, ci sono certo i meccanici a cui le organizzazioni internazionali si rivolgono e pagano pure salato, ma si tratta di poche officine ben organizzate che generalmente assorbono tutto il lavoro ben retribuito.
Il giro di affari legato alla presenza degli internazionali rimane limitato a chi ha la possibilità di investire e dunque offrire i servizi che noi richiediamo, come le case idonee da affittare e da pagare a cifre iperboliche drogando il mercato.
Certo, c’è l’enorme numero di persone locali impiegate presso le innumerevoli agenzie che è un indotto decisamente importante in termine di stipendi e di soldi immessi sul mercato, ma presso le quali lavorano le persone con le qualifiche più alte lasciando le realtà locali prive di questo importante potenziale umano.
In ogni caso, e continuando la passeggiata, ci si imbatte in situazioni poliedriche. Dalle persone scalze che spingono carretti a due ruote con carichi inverosimili, quelli che vendono sacchettini di plastica pieni di acqua. Quelli che inviano crediti telefonici ad un telefono all’altro, coloro che armati di qualche misero attrezzo sono in grado di cambiare le ruote di un camion e quelli che più modestamente si limitano alle camere d’aria delle biciclette.
Un bimbetto che avrà sì e no 6-7 anni cammina con un carico di borse colorate che non possono che attirare l’attenzione di chi come noi è sempre a caccia di folkrore, un vizio che si fatica a perdere. Il bambino si avvicina e con il solo sguardo ci offre timidamente la merce. Le borse si rivelano di plastica e dunque l’illusione del prodotto artigianale svanisce, ma una ragazza che discute sul bordo della strada con alcuni amici, arriva in soccorso del bimbo e gli chiede il prezzo che ci viene immediatamente comunicato. Ormai non si può più rinunciare all’acquisto e l’affare va a buon fine. Della borsa non so che farmene, ma un suo utilizzo certo qualcuno lo troverà.
Ecco, magari mi sbaglio, ma mi pare che all’interno di questo variegato e colorito mondo verso cui il nostro interesse è distratto e svogliato, esista ancora una forma di solidarietà di comprensione reciproca. È certo possibile che sia io ad illudermi, a vedere cose che alla fine sono forse troppo lontano dalla mia possibilità, ma mi pare che questo diffuso mondo periferico contenga ancora un valore che noi abbiamo definitivamente perso. E da cui avremmo ancora tanto da imparare; forse molto di più rispetto che dall’enorme mole di documenti, rapporti, dossier che riempiono gli archivi dei nostri uffici e che sono spesso il principale obiettivo del nostro lavoro, sostituendo o mettendo in secondo piano quello per cui siamo venuti da queste parti.
Docbrino