La dannazione del silenzio
Ma qualcuno crede davvero che una persona sufficientemente intelligente e non sotto l’effetto di alcol, o di sostanze psicotrope, possa acquistare qualcosa di visibilmente marcio, o non funzionante, o largamente più oberato da debiti che dotato di profitti? È possibile pensare che si possano spendere milioni di euro senza prima dare un’occhiata approfondita ai bilanci delle aziende che si intendono acquistare?
Evidentemente no. E allora lo stato di crisi richiesto dopo solo un paio di mesi dall’acquisto, per i giornali del gruppo NEM – tra cui il Messaggero Veneto e Il Piccolo – non può non far pensare a quello che sta succedendo a quelle testate: 11 giornalisti da prepensionare nel quotidiano di Udine e 9 in quello di Trieste.
Lasciamo pur perdere la clamorosa assenza di una legge che impedisca di chiedere uno stato di crisi prima di un congruo periodo – almeno un paio di anni, ma proprio per tenersi bassi – dall’acquisto, ma le domande da porci sono davvero molte.
Solo per citarne alcune… Perché qualche industriale, banchiere o manager dovrebbe buttare via i soldi propri, o delle proprie aziende per acquistare qualcosa di fallimentare? Quali possono essere i vantaggi che in qualche maniera siano in grado di compensare queste perdite? Perché anche un quotidiano che crea guadagni, come il Messaggero Veneto, deve essere depauperato – anche più degli altri – con l’uscita anticipata di ben 11 professionisti di esperienza e di conoscenza anche storica del territorio? Siamo davvero convinti che la crisi economica dell’informazione sulla carta stampata non sia collegata all’impoverimento della qualità del prodotto, dovuta anche al fatto che sulle spalle dei giornalisti, comunque sempre di meno, si assommano pure i lavori che una volta erano coperti da correttori, impaginatori e poligrafici di vario tipo che ora non esistono più?
Potrei andare avanti a lungo con domande di questo tipo, ma quella che mi aggredisce, e che trasmetto con urgenza anche a voi, è questa: è possibile che la politica – ogni parte politica – sia così sorda davanti al clangore di qualcosa che sta crollando tragicamente, non soltanto per i non pochi posti di lavoro perduti, ma anche perché viene sempre più minata l’informazione, anche e soprattutto come pluralismo e, quindi, come garanzia per una democrazia che non sia soltanto di irritante facciata. Un silenzio assordante che, se è ben giustificato per coloro che mettono in atto, o sostengono questi modi di agire, è del tutto incomprensibile, oltre che inaccettabile, se osservato anche da quelli che dovrebbero opporsi, sia per convinzione, sia per dovere politico.
È vero: visto quello che sta succedendo, non dovremmo stupircene. A livello nazionale vediamo approvare la legge bavaglio che impone il divieto di pubblicazione «integrale o per estratto» del testo di un’ordinanza di custodia cautelare. A livello regionale con tanto silenzio e poche proteste è stato accolto l’allontanamento di una persona come Angelo Floramo da parte di una testata il cui nome non cito perché meriterebbe una damnatio memoriae. E il silenzio politico è pressoché totale anche davanti all’incredibile iniziativa della Danieli che ha chiesto di avere l’elenco dei firmatari della petizione contro il progetto di acciaieria a San Giorgio di Nogaro e che, dopo il rifiuto del Consiglio Regionale, per motivi di privacy, ha fatto ricorso al TAR per ottenere i documenti.
Ma il silenzio meno comprensibile e più preoccupante è quello nostro, quello dei cittadini, che ormai assorbono con rassegnazione qualunque schifezza venga loro inflitta: non protestano, non scendono più in piazza o per strada, non entrano più nei partiti per cambiarli perché ritengono impossibile farlo: non vanno più nemmeno a votare perché non trovano qualcuno sul cui nome sia desiderabile tracciare una croce. O cambieremo noi cittadini, oppure la sconfitta, la perdita di conoscenza, libertà, diritti, democrazia sarà inevitabile, anche se mai – lo dimostra la storia – definitiva.
Ma sarebbe tragico consolarsi così.
Gianpaolo Carbonetto
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