La figlia ritrova il diario del padre scritto durante la prigionia, la storia del pozzuolese Eligio Zuriatti
Una storia di Resistenza, fatta di patimenti, fame e lotta per la sopravvivenza, è riemersa a distanza di quasi ottant’anni. È la vicenda dolorosa affrontata dal pozzuolese Eligio Zuriatti, insignito della Medaglia d’Onore alla Memoria lo scorso 27 gennaio e la cui storia è stata resa pubblica per la prima volta ieri sera nel municipio di Pozzuolo del Friuli, durante la cerimonia organizzata per l’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
Il passato di Eligio, nato a Premariacco il primo marzo 1912 e scomparso a 65 anni, era avvolto nel riserbo. Da buon friulano, non parlava volentieri degli anni trascorsi durante la Seconda Guerra Mondiale e preferiva non ricordare, nemmeno in famiglia, gli episodi vissuti come soldato del 10° Reggimento Regio Artiglieria. La figlia Paola, oggi sessantaduenne, aveva solo 14 anni quando perse il padre e di lui sapeva unicamente che era stato fatto prigioniero di guerra dai nazisti. Tuttavia, una sua frase le risuonava costantemente nella mente: “Mi sono salvato perché mi sono buttato dentro un buco nella terra”, le aveva confidato in marilenghe Eligio. Una volta liberato e tornato nella sua Pozzuolo, Eligio, dal 1950 al 1960, andò a lavorare in Svizzera. Al suo rientro in Friuli, coinciso con la nascita della figlia Paola, trascorse i successivi quattordici anni entrando e uscendo dall’ospedale a causa di una grave insufficienza renale.
Nel 2023, il ritrovamento fortuito di un diario, scritto da Eligio durante gli anni di prigionia, ha riacceso nella figlia Paola il desiderio di approfondire e ricostruire quel puzzle di documenti che, un po’ alla volta, è riemerso dagli archivi di Stato e dell’Esercito italiano. Un lavoro prezioso che, gradualmente, ha restituito la memoria e la voce del padre, internato militare non collaborazionista, catturato dai tedeschi l’8 settembre 1943 nel sud della Francia.
“Per anni avevo cercato informazioni sul passato di mio padre, ma la vera svolta alla mia ricerca è arrivata solamente con il ritrovamento dei primi certificati riemersi tra i faldoni dell’Ufficio documentale dell’Esercito”, ha confessato Paola Zuriatti al pubblico che ha ascoltato in silenzio il racconto dell’odissea vissuta dal suo concittadino. Eligio fu trasferito tra quattro campi di concentramento e nel suo taccuino descrisse la lunga agonia, il suo peregrinare, il lavoro forzato nei campi e nelle fabbriche, spesso esposte ai bombardamenti. “La sua più grande preoccupazione era che gli portassero via le scarpe”, ha raccontato Paola, rileggendo alcuni passaggi del diario che si interrompe pochi mesi dopo la liberazione dal campo, avvenuta il 30 marzo 1945 grazie all’intervento delle truppe americane. Da lì seguirono ulteriori sofferenze e a testimoniarlo ci sono anche le cartoline che inviava ai parenti per chiedere pane, alimenti e sigarette. Fu solo il 24 luglio del 1945 che Eligio trovò il coraggio di incamminarsi per provare a fare ritorno in patria in autonomia.
“Mio padre non ha mai parlato della sua detenzione e dalle sue parole non sono mai emerse espressioni di rabbia nei confronti dei tedeschi”, ha sottolineato Paola, che ha rivolto un pensiero speciale alla compianta madre, la quale dovette portare avanti la famiglia, prendendosi cura di lei, della sorella maggiore e del marito malato, il cui corpo era rimasto segnato indelebilmente dai due anni di sofferenze e umiliazioni subite.
Questa è solo una delle tante storie che hanno coinvolto i 650 mila militari italiani internati durante la Seconda Guerra Mondiale, ha ricordato a margine dell’incontro Marco Chiavon, referente dell’associazione Culturale ‘Officina delle Memorie’. “Una storia – ha ribadito – coperta da decenni di oblio e che per lungo tempo ha relegato nell’ombra la feroce persecuzione che impedì a molti commilitoni italiani di fare ritorno in Patria”.
La serata, che ha visto anche la partecipazione di Giuseppe Savani, presidente della sezione Anpi intercomunale ‘Pietro Bolzicco’, è stata introdotta dall’assessora alla Cultura di Pozzuolo Lavinia Piani e conclusa dall’intervento del sindaco Gabriele Bressan.
“Questo momento di condivisione è stato un modo per rendere omaggio a coloro che ottant’anni fa hanno contribuito alla lotta contro il nazifascismo”, ha spiegato il primo cittadino, sottolineando la necessità di mantenere viva la memoria, soprattutto tra le nuove generazioni.