La poesia di strada di Er Pinto
Una porzione di oceano a portata di mano
Questa poesia di strada è un parto della vivace mente di Er Pinto, poeta «genuino come un colore puro», uno dei membri de “I poeti der Trullo”, un gruppo di sette ragazzi attivi nella città eterna la cui aspirazione è diventare dei poeti – ma si può tranquillamente affermare che lo siano già.
Sette ragazzi che diffondono il loro grido foriero di innumerevoli sentimenti diversi, sette compagni di versi decisi a inondare la capitale di poesia.
Er Pinto scrive questa breve ma incisiva lirica, pregna di significati, l’estate appena passata, presso Vicolo del Bologna, nel quartiere di Trastevere, su uno sportello grigio di quei contatori esterni del gas o dell’elettricità. Trastevere è una zona di Roma molto centrale nonché storica, ed è un’eccezione che l’artista abbia scelto di operare qui: «Solitamente i luoghi dove scrivo sono abbastanza anonimi e periferici» spiega Er Pinto. «Forse, in quel caso, la Street Poetry ha un valore aggiunto, diverso: porta qualcosa in più dove c’è poco. Penso che lo scopo di un poeta di strada debba essere anche questo, oltre a quello principale di donare o condividere un proprio pensiero con gli altri.»
Con questi quattro versi immediati ed evocativi, Er Pinto ci confessa cosa la poesia rappresenti per lui: essa non è mare ma oceano, elemento acquatico che può essere sconvolto da correnti tempestose ed imprevedibili. Un mare è placido e se ne sta chiuso entro coste che lo rendono più sicuro, come una sorta di “culla” – proprio come il nostro Mediterraneo che è stato ed è tuttora ospitale, invitante, rassicurante. Decidi di bagnarti in un mare se vuoi evitare di correre troppi rischi. L’oceano è ben diverso: imprevedibile, selvaggio, fa di testa sua; può inghiottirti, spaventarti, fino a metterti di fronte a te stesso. Se scegli con coraggio di tuffarti nell’oceano, sai anche che non potrai mentirti: l’oceano non ha mezze misure, e immergendoti in esso cadi in balia della sua potenza primordiale, e se hai cara la tua vita devi trovare tu, e tu solo, il modo di sopravvivere. Cadere in mezzo all’oceano significa in fondo essere preda del tuo io. L’oceano potrebbe decidere di salvarti, riportandoti a te stesso, oppure potresti essere sopraffatto dalla sua forza, il vigore brutale dell’acqua in grado però di mondare. Questo può essere – anche – l’ars poetica: un’intensa furia che ti purifica, una catarsi.
A chi non la conosce, a colui che si limita a contemplarne solo la superficie senza scavare in profondità, la poesia di strada pare forse casuale, troppo fugace, magari addirittura “buttata lì”; potrebbe rassomigliare ad «un bicchiere d’acqua» sempre a portata di mano. Hai sete, avverti la necessità, il richiamo di quell’oceano, e allora osi, allunghi «perfino» la mano per abbeverarti: il bicchiere e la poesia sono proprio lì vicino a te – sul tavolo di cucina, sul muro accanto alla fermata dell’autobus o della metropolitana, su un contatore del gas grigio e anonimo, apparentemente senza significato.
Bere da quel calice poetico può tuttavia significare anche perdita: di te stesso, del tuo senno, del tuo contatto con la realtà. Nel nostro quotidiano abbiamo obblighi e doveri, scriviamo liste delle cose che dobbiamo fare, abbiamo lavori da svolgere, soldi da guadagnare, tempo libero da impiegare; se siamo fortunati abbiamo anche persone che richiedono il nostro affetto e la nostra attenzione. Ma abbiamo il tempo – e l’audacia – di smarrirci naufragando in piccoli oceani? Magari senza sapere se ci saranno porti sicuri ai quali approdare?
Er Pinto rompe, con questi suoi versi, la barriera fra la vita quotidiana ed una dimensione fantastica, sognante, sconfinata, dove ci manca la terra sotto i piedi e galleggiamo su un oceano impalpabile e ineffabile, sospinti senza posa verso un altrove ignoto, del quale non abbiamo le coordinate.
Ognuno di noi ha la possibilità di scegliere se arrischiarsi a bere quella porzione di oceano racchiusa in un bicchiere – oggetto quotidiano che prendiamo in mano e portiamo alla bocca meccanicamente, senza rifletterci su, senza consapevolezza – oppure passare oltre, accontentandosi magari di un palliativo: di un mite e tranquillo mare. Er Pinto ci schiaffa però in faccia la sua verità – verità nella quale sento di abitare anch’io: quella sorsata di oceano può essere nutrimento, l’abbeverarsi di un povero naufrago assetato privato dell’acqua, che placa l’arsura che tutti noi sentiamo in fondo al cuore, entro le pareti inconsistenti della nostra anima.
Di Francesca Plesnizer
Ringraziamo per questa prima analisi di Street Poetry, Francesca Plesnizer, ex studentessa laureata presso l’Università di Trieste.