La vera faccia dell’equidistanza “pubblico-privato” nella sanità. Marketing della “salute” e indebolimento del pubblico facendo fuggire gli operatori sottopagati e sfruttati

Nella nostra regione la situazione della sanità è ormai fuori controllo, nonostante la qualità ed abnegazione del personale non sono in discussione, i servizi ai pazienti e soprattutto la diagnostica sono fuori controllo ed è ormai caduta da mesi la scusa dell’emergenza pandemica. La palese incapacità gestionale a livello politico, la mancata attuazione di programmi e piani di intervento, sono sotto gli occhi di tutti. Basta voler guardare, ma soprattutto pesano sulla pelle viva di chi alle cure non riesce ad accedere e quanto vi accede  trova muri di gomma e tempi lontanissimi da quelli previsti per le prestazioni. Alla fine tutto diventa un invito, più o meno palese, a rivolgersi al settore privato che fra l’altro già si accaparra parte della diagnostica convenzionata, togliendo di fatto risorse importanti per il servizio pubblico. Temiamo in sostanza che anche in Fvg avvenga quanto denunciato per la Lombardia da Medicina Democratica dove, si legge in una nota dell’associazione, “assume contorni decisamente sconcertanti la questione delle liste d’attesa dopo le rivelazioni rese a Radio Popolare da una operatrice telefonica dell’Ospedale privato Multimedica, accreditato con il Servizio Sanitario regionale”. “Come Medicina Democratica – ha detto il Presidente Nazionale Marco Caldiroli – intendiamo verificare se le modalità operative poste in essere in questa struttura siano pratiche diffuse anche altrove, il che spiegherebbe, almeno in parte, per quale motivo ci siano liste d’attesa nel servizio sanitario pubblico anche di uno/due anni ”. Secondo quanto dichiarato infatti da “Elena” (nome di fantasia), i lavoratori dei call center del grande gruppo sanitario privato conseguirebbero infatti “un’aggiuntiva premialità” qualora riescano a proporre e ad ottenere il consenso da parte dei pazienti ad essere spostati dalla agenda pubblica (gratuita o con il solo ticket) a quella privata, offrendo loro uno sconto di benvenuto iniziale, una sorta di tariffa agevolata, legandoli di conseguenza alla struttura privata anche per le eventuali prestazioni successive. “Avendo la prestazione una tariffa un po’ più alta, come azienda abbiamo deciso di riconoscerne una parte ai nostri operatori telefonici, come ulteriore premio sulla loro retribuzione variabile” ha risposto  senza imbarazzo Multimedica, nero su bianco in una lettera inviata a Radio Popolare. Non abbiamo notizie di fenomeni di questo livello in Fvg, al massimo le strutture private ti spiegano di essere competitive su alcune prestazioni anche rispetto al ticket, invitando i pazienti a non usare la prescrizione “pubblica”. Un metodo che ovviamente è sostanzialmente di marketing e che il “cliente” accetta, ma che in realtà priva di risorse il sistema sanitario pubblico dato che le “convenzioni” prevedono che parte del ticket incassato resti nelle casse del sistema sanitario regionale. Temiamo quindi che visto che si tende a seguire “l’esempio” lombardo si tratti solo di tempo e che la “concorrenza” privata, da supporto, possa diventare preminente e in futuro magari legata a polizze assicurative o di welfare complementare. Ovviamente questi fenomeni oggi sono borderline e probabilmente non hanno rilevanza giuridica, ma morale e politica certamente. Inoltre non è ancora del tutto chiaro quanto il ricorso massivo ai privati convenzionati stia danneggiando il servizio sanitario pubblico, in termini di ulteriore dequalificazione e depauperamento e, soprattutto, quanto sta danneggiando gli interessi degli utenti, costretti a pagare servizi sanitari privati, per sfuggire al muro di gomma delle interminabili liste d’attesa. Il rischio che questa sia la vera faccia della manovra sanitaria in atto e della decantata “equivalenza” pubblico-privato è altissimo se non certo. Del resto la strategia in Lombardia come in Fvg e temiamo in gran parte del paese, è chiara: dopo aver indebolito le strutture pubbliche, anche facendo fuggire letteralmente gli operatori sanitari sottopagati, soggetti a turni di lavoro massacranti e aver allungato ulteriormente le liste d’attesa con la scusa del Covid, si erodere ulteriormente il ruolo delle strutture sanitarie pubbliche trattando le persone come clienti da contendersi sul mercato, il tutto in una logica che anche la salute è un prodotto da vendere come fosse una lavatrice. Logica favorita dall’azione politica che ormai si limita solo a tagli di nastro e commenti su improbabili  premianti statistiche con la connivenza, aimè, di gran parte della stampa che non svolge il suo ruolo di controllore del potere, preferendo il più tranquillo e remunerativo ruolo di maggiordomo o addirittura promoter. Ovviamente basterebbe poco per scoprire gli “altarini”. Ad esempio basterebbe leggere atti pubblici anziché rincorrere le foto opportunity degli assessori. Prendiamo a titolo di esempio quanto dichiarato a livello nazionale in commissione dalla presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari. La Cavallari  ha detto cose molto preoccupanti per quanto riguarda la Sanità. Lo hanno riportato alcune agenzie di stampa fra le quali 9Colonne. La presidente  ha spiegato che la carenza di personale assume oggi i contorni di un’emergenza nazionale e che il problema riguarda soprattutto gli infermieri e alcune categorie di medici. E su questo si apre tutta la drammatica vicenda dei servizi di emergenza. Cavallari ha detto che la situazione dei servizi di pronto soccorso è ormai difficilmente sostenibile, come ben certificato anche dalla situazione in Fvg. Nel caso dei medici, ha sempre spiegato Cavallari, le remunerazioni non sono state adeguate nel tempo e l’indennità per il pronto soccorso non viene ancora corrisposta, mentre si diffondono forme contrattuali diverse dal lavoro dipendente, mediate da cooperative, con aumenti dei costi e un impatto sfavorevole sull’organizzazione dei servizi. La professoressa Cavallari ha osservato anche che l’estensione del regime forfettario per i lavoratori autonomi, cioè la flat tax, finirà con l’incentivare la professione nel privato ai danni di quella nelle corsie degli ospedali. A fronte di questo progressivo degrado della sanità pubblica, nell’orizzonte della programmazione finanziaria triennale, ha chiosato la presidente Cavallari,  non è contemplato un potenziamento del sistema. La spesa si ridurrà fino al 6,1 per cento del PIL nel 2025, un valore inferiore anche rispetto al periodo pre-Covid, quando era del 6,4. Ma soprattutto sempre più distante dalla media degli altri paesi europei, che per la sanità spendono il 7,9 per cento della ricchezza che producono.