L’acqua del Sindaco non è una merce ma un bene comune di proprietà e gestione pubblica
L’acqua del Sindaco non è l’acqua in bottiglia. Lo avevano ben chiaro gli italiani che votarono in maniera plebiscitaria nel referendum dell’2011 sull’acqua bene comune. Allora una maggiorana impressionante di italiani decise che l’acqua è di proprietà e gestione pubblica: 95,66% SÍ – 4,34% NO e che non si fanno profitti sull’acqua: 96,11% SÍ – 3,89% NO. Difficile pensare che il “popolo” spesso tanto evocato a sproposito abbia cambiato radicalmente idea. Eppure in questi 10 anni la maggior parte dei Sindaci non ha rispettato la volontà popolare. A dirlo è il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua secondo cui i sindaci non hanno trasformato le aziende dell’acqua, da società per azioni di diritto privato a scopo di lucro, in azienda speciale di diritto pubblico a gestione partecipativa senza finalità di profitto. Le prossime elezioni comunali sono l’occasione per rispettare finalmente il voto del 96% dei concittadini e porre fine alla gestione dell’acqua come una merce, soggetta alle logiche del mercato a fini di lucro. A chi si candida al governo delle nostre città dovremmo chiedere di impegnarsi pubblicamente per gestire l’acqua come preziosa risorsa naturale essenziale per la vita, un bene comune di cui nessuno può rivendicare la proprietà, un diritto umano universale, da difendere dagli effetti del cambiamento climatico e da tutelare per le generazioni future. A maggior ragione dopo l’esperienza della pandemia, durante la quale si è reso evidente il legame indissolubile tra acqua e salute.
Maria Asperto