L’affaire Novartis-Regione Fvg si arricchisce di nuovi elementi. Sullo sfondo forse un farmaco anticolesterolo innovativo quanto costosissimo

Stanno destando clamore le rivelazioni sull’accordo Regione Fvg- Novartis, accordo tanto voluto dal presidente uscente Massimiliano Fedriga che di fatto ha consentito alla multinazionale elvetica di “mettere il piede” nella porta al di là di come possano andare le elezioni che lo vedono impegnato in un suo eventuale mandato sullo scranno più alto del palazzo della regione in piazza Unità d’Italia a Trieste. Considerazioni elettorali a parte, sull’accordo Fvg-Novartis che ricordiamo è stato preso dalla giunta regionale in assenza di comunicazioni preventive al Consiglio, vanno fatte alcune puntualizzazioni. Che una casa farmaceutica nelle sue strategia cerchi di accaparrarsi fette di “mercato” è fatto normale, scontato in un mondo dove si è mercificata anche la salute, ma lasciamo perdere considerazioni etiche sullo speculare sulla pelle ( nel vero senso della parola) dei cittadini che viene spesso fatta senza ritegno dalla farmaceutica “capitalista”. Il tema non è questo, il tema è capire se vi è legittimazione per il gestore pro-tempore della cosa pubblica di fornire dati la cui titolarità non è neppure dell’istituzione ma direttamente dei cittadini. Ed anche se tali dati verranno forniti aggregati non si capisce quanto il beneficio sia squilibrato. Anche dando per buona l’asserzione che la casa farmaceutica in questione possa fornire servizi “innovati”, del resto piuttosto opachi, ai cittadini della nostra regione, va compreso quale beneficio avrà invece Novartis dal conoscere, direttamente dalle fonti sanitarie, quali sono le patologie più diffuse per area territoriale e ogni altro dato che verrà loro fornito. Senza contare, che come può confermare qualsiasi esperto di informatica, una volta aperte certe valvole di flussi digitali, non è certo impossibile che trapelino dati che magari dovrebbero restare riservati. Ma non vogliamo pensare alla mala fede, ma di certo già con l’accordo siglato, che fra l’altro ha inspiegabilmente dei costi (ancora opachi) per la Regione Fvg, viene messo a disposizione della casa farmaceutica un patrimonio che normalmente, come sanno bene gli esperti di marketing, ha un valore considerevole. Siccome Novartis è prima di tutto una casa farmaceutica, come tale produce e vende farmaci. Ed allora il sospetto che dietro le migliori intenzioni in realtà ci possa essere qualcosa di meno nobile è un rischio che, evidentemente, la giunta Fedriga ha deciso di correre. Così documentandosi sulle attività di mercato di Novartis, grazie anche a qualche suggerimento che ci è arrivato da ambienti scientifici, abbiamo verificato che alcune operazioni della multinazionale elvetica potrebbero essere motore di questi accordi con le regioni di cui il Fvg si è fatto apripista. Sulla carta è tutto “bellissimo” e possiamo capire che in maniera sempliciotta Massimiliano Fedriga si sia lasciato ammaliare dalle parole di Novartis che nel suo primo report di sostenibilità parla di impegno “prima e oltre il farmaco”. Pazienti, Pianeta, Polis, Persone: sono queste le quattro P che Novartis afferma di mettere al centro della sua azione lanciando una visione innovativa del ruolo dell’industria al servizio della società e del Paese. Peccato che manchi una quinta “P” quella che è il reale obiettivo di una impresa: il “profitto”. Dimenticanza ovviamente. Ma considerazioni a parte analizzando i vari “dossier” di Novartis si scopre, o meglio si evidenzia, che nel novembre 2019 Novartis ha concluso l’acquisizione della biotech americana The Medicines Company per la somma di 9,7 miliardi di dollari. The Medicines Company, che in passato aveva nel suo listino diversi farmaci per la cardiologia di urgenza, adesso dinnanzi al business “grando” li ha dismessi tutti focalizzando lo sviluppo di un unico farmaco, “Inclisiran” nome farmaceutico Leqvio. Si tratta di un innovativo inibitore del colesterolo, PCSk9 che agisce tramite la RNA interference. Inclisiran si rivolge direttamente all’RNA messaggero e sfrutta uno dei potenti meccanismi naturali del corpo, l’interferenza dell’RNA, per impedire la produzione della proteina PCSK9 nel fegato, dove ha origine, e facilitare la rimozione di LDL-C dal sangue. In questo modo, riesce a ottenere una riduzione dei livelli di colesterolo LDL superiori al 50 per cento grazie ad una iniezione ogni sei mesi. Una buna notizia, almeno fino a prova contraria, per le centinaia di milioni di persone al mondo che patiscono i rischio del colesterolo alto, di cui milioni sono anche in Italia. Sono infatti 2,5 milioni gli italiani che soffrono di colesterolo alto e il 40% di loro non ne è consapevole. È quanto emerge dall’ultima indagine dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), “Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare”, realizzata in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità. Ovviamente non tutti necessitano di quel farmaco ma anche fossero solo 100.000 il costo per la sanità pubblica sarebbe altissimo (quasi un miliardo all’anno). Visti i costi c’è da sospettare che saranno tanti i cittadini di paesi economicamente deboli a non avere accesso a tale cura come avvenuto tante volte. Aggiungiamo che recentemente (ottobre 2022) “Inclisiran” è stato approvato dall’Agenzia Italiana del Farmaco ed è ora disponibile per gli adulti affetti da ipercolesterolemia primaria (eterozigote familiare e non familiare) o dislipidemia mista. Non possiamo sapere, ovviamente, se questo farmaco che promette a Novartis introiti tali da recuperare l’investimento di 9,7 miliardi, sia direttamente implicato nelle promozioni “regionali” di cui Fedriga si è fatto paladino e pilota, ma di certo il sospetto che l’affare “Inclisiran” possa avere un peso è legittimo, anche perchè attualmente il Servizio Sanitario Nazionale paga più di 4.500 euro per un’iniezione di Inclisiran, che va ripetuta due volte l’anno, per un totale di oltre 9mila euro a paziente all’anno e dato che non si parla di “guarigione” ma di controllo del colesterolo, le punture andranno ripetute a vita. Un business colossale che rischia, fra l’altro, di mettere in ginocchio i conti della sanità pubblica. Ovviamente l’efficacia del farmaco dovrà essere comprovata da dati reali su grandi numeri e per dirla tutta vi sarebbe anche un possibile risparmio di ritorno relativamente al mancato sviluppo di malattie cardiovascolari, sia in termini di salute che di spesa per il sistema. I problemi quindi sono molti e non vanno posti pregiudizi, magari di natura antiscientifica, ma il principale vulnus è l’opacità con le quali tutte queste vicende si insinuano nella vita di tutti noi grazie alla “distrazione” di chi gestisce la cosa pubblica e si lascia abbindolare dalle facili promesse dell’oste di turno che ci racconta le mirabolanti proprietà del proprio vino. Preferiremmo avere governanti astemi o quantomeno dalla mente lucida, non volendo pensare a fattori diversi dall’incapacità politica.

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