Lasciate in pace la guerra!

Insomma, sempre lì a rimuginare, a spaccare il capello e rompere le balle. Sì, certo, le guerre continuano anche se nessuno pare occuparsene; la gente muore, perde le case, non sa come tirare a campare, ma non si può continuare a scassare i cabbasisi (come direbbe il dottor Pasquano in Montalbano) e rovinare le vacanze alle persone. Beh, ora le vacanze sono finite, e dunque vediamo un po’ di rientrare nei ranghi. Di guerre dimenticate ce ne sono fin troppe, e optare per l’una o per l’altra diviene necessario; io torno un po’ a quella che considero affettivamente casa mia e dunque a quanto succede in Siria. Da dove iniziare, visto che il puzzle in cui questo Paese si è diviso? La situazione è incredibilmente complicata e appare non omogenea, diversa e slegata se ci si concentra su una regione oppure su un’altra se non la si considera nel suo insieme.
Partiamo da un’area che difficilmente surge agli “onori” della cronaca, ma che nelle dinamiche interne siriane occupa un’importanza non indifferente, la zona di Sweida. La maggioranza della popolazione di questa regione è di fede drusa e storicamente sempre vicina al governo di Assad, al contrario dei suoi vicini del sud del Paese, tipo Dar’a. Negli ultimi tempi l’appoggio al governo in carica si è notevolmente diluito soprattutto a causa della profonda crisi economica in cui la Siria è precipitata. Negli ultimi mesi gli abitanti drusi sono spesso scesi in piazza a dimostrare contro Assad e i suoi accoliti e gli scontri non sono mancati. Il fatto che il pound siriano sia diventato di fatto carta straccia ha esasperato, non solo lì ovviamente, la gente che non sa più come sbarcare il lunario e mettere assieme un pasto. La sicurezza poi è diventata un miraggio, il traffico di sostanze stupefacenti, soprattutto il famoso captagon detto anche droga dell’Isis, controllato da militari e personaggi legati al regime ha reso quest’area un piccolo inferno. Sono frequenti gli scontri tra trafficanti e guardie di frontiera giordane che lasciano quasi sempre sul terreno qualche cadavere. Insomma, in questa situazione, le persone non ne possono più e cercano di dimostrarlo a chi di dovere.
Ci spostiamo, pur rimanendo nella parte sotto il controllo di Damasco, più verso est nella zona in cui si intrecciano i confini tra Siria, Giordania ed Iraq e dove gli Usa mantengono un’importante e grossa base militare, arrivando nella famosa “safe area” di Al Tanf all’interno della quale, pur se in dimensioni ridotte rispetto a qualche tempo fa, si trova il campo di Rukban. Parlare di questo contesto e definire le persone che abitano il campo è sempre piuttosto complicato; si tratta di individui che certo non sono amati dal governo e che di sicuro non amano Assad. La caratteristica di quest’area desertica e la puntualità con cui ciò che rimane dell’Isis (sarebbe interessante capire quanto sia rimasto di quell’accozzaglia di delinquenti) riesce a provocare in termini di attacchi contro l’esercito di Damasco ed i suoi alleati, fa ritenere che le principali basi o rifugi di Daesh (l’Isis per gli arabi) non solo si trovino da quelle parti, ma che siano in qualche modo riforniti attraverso il campo che a sua volta a quanto pare ospita ancora parecchi combattenti. Recentemente l’area di Al Tanf è stata oggetto di parecchie incursioni da parte dei jet russi e siriani che, almeno ufficialmente, cercano di stanare i combattenti del (ex) califfato. In risposta a tali interventi dell’aviazione russo/siriana che controlla la quasi totalità degli spazi aerei, gli USA hanno richiesto l’arrivo in zona (probabilmente nei non lontani Emirati del Golfo) dei moderni e famosi F35 in modo da limitare lo strapotere governativo nei cieli siriani. Inoltre, di ostacolare i caccia russi che interferiscono sempre più spesso con le missioni dei droni USA che con una certa regolarità sono diretti a “neutralizzare” il nuovo presunto capo dell’Isis di turno. Che sarebbe poi, come detto, il motivo ufficiale della presenza USA in Siria.
Naturalmente gli F35 non servono solo a controllare Al Tanf, ma soprattutto la regione molto più importante, e ancora più a nord est di Deir Ez Zor, la cui parte occidentale non solo funge da base per le milizie sciite iraniane (o filoiraniane come i libanesi di Hezbollah) delle Local Defence Forces (LDF), ma attraverso queste truppe cerca di destabilizzare il già difficile equilibrio che regge le Syrian Democratic Forces (SDF) che controllano la parte est del fiume Eufrate amministrata dall’AANES (Autonomous Administration of North East Syria), la coalizione formata da kurdi, arabi ed altre minoranze, presenti in quella fascia di territorio. Naturalmente questi moderni bombardieri servirebbero prevalentemente a difendere i circa 900 militari USA delle Special Operation Forces (ricorda qualcosa??) che sono stanziate da quelle parti e più specificamente a difesa dei pozzi petroliferi di Omar, i più produttivi della Siria e nella sponda est del fiume. Presenti lì e in numero ridotto nella base di Shaddadi, un po’ più a nord ma sempre nel NES.
Per avere un’idea della complicata situazione di quella zona, è necessario specificare che la popolazione di quell’area è praticamente nella totalità araba che non solo è ufficialmente alleata dei kurdi per ragioni prevalentemente di interesse, ma che rivendica lo sfruttamento dell’oro nero attualmente invece gestito dall’AANES e dagli USA. Per capire quale sia la dimensione della precarietà di un’alleanza del genere, basti dire che meno di una settimana fa, gli scontri tra SDF e alcune delle famiglie (clan) che in particolare hanno sempre governato quel pezzo di terra, ha provocato la morte di circa 90 persone, tra militari, miliziani e civili. Tutto è partito dall’accusa al capo di un clan e referente anche politico per la coalizione USA-SDF e per l’AANES, tale Abu Kahwla, di aver cospirato con il regime di Assad e contro, appunto, SDF/USA e AANES. È chiaro che il vero interesse in gioco sia il controllo dei pozzi e del loro prodotto, sfruttamento del quale gli arabi (non solo Abu Kahwla) rivendicano a loro favore, imputando invece ai kurdi di impadronirsene indebitamente. Insomma, questione di difficile soluzione. Per il momento le acque si sono un poco calmate e le promesse di fedeltà rinnovate; quanto poi possano durare tali dichiarazioni nella realtà, questa è un’altra faccenda.
Detto che nel sud del NES la realtà non è facilmente gestibile e che l’Isis colpisce i militari del SDF con una certa frequenza sia a Deir Ez Zor che a Raqqa, nemmeno l’area settentrionale, il Rojava, gode di particolare calma e serenità. Tuta la zona che confina con la Turchia, il Rojava per l’appunto, è oggetto di continue incursioni dei droni di Ankara che fanno puntualmente strage di ufficiali e personalità pubbliche di rilievo e spesso coinvolgendo i civili che hanno la sfortuna di trovarsi in mezzo. Continuando a parlare di Rojava, ma della parte in cui ormai i kurdi praticamente non ci sono più, stiamo parlando della zona occupata dalle truppe turche dal 2017 al 2019, possiamo tranquillamente dire che le cose non vanno molto meglio che nel resto del Paese. Soprattutto nella zona di Ras el Ain, Tel Tamer, Ain Issa, ma ultimamente anche Menbij (unica città ad ovest dell’Eufrate governata da AANES), dove i “proxies” dei turchi, l’SNA (Syrian National Army), un’accozzaglia di banditi e fanatici che si sono insediati in quella fascia di terra cacciando chi (i kurdi) ci abitava prima, hanno intensificato le attività militari bombardando i villaggi in cui le truppe del SDF sono ancora presenti. Per aumentare la confusione e non si capisce a che titolo, anche se ufficialmente era per portare la loro solidarietà alle popolazioni che in quell’area sono state colpite dal terremoto di Febbraio, alcuni deputati del Partito repubblicano USA hanno incontrato i capi di quella gentaglia, in aperto contrasto con la politica ufficiale USA in Siria. Misteri della vita.
Dulcis in fundo e spostandosi ancora più ad ovest, nella sacca di Idlib, i bombardamenti e gli scambi di artiglieria tra governativi e russi da una parte e miliziani dell’HTS (Hayat Tahrir al Sham ex Al Qaeda) che governano la regione, non si sono mai fermati se non e solo per pochissimo tempo immediatamente dopo il terremoto che ha colpito molto duramente soprattutto i poveracci che vivono prevalentemente nei campi profughi. Che almeno la soddisfazione di non vedersi crollare addosso la casa ce l’hanno avuta. La soddisfazione, mica la casa….
Nel frattempo, continuano le incursioni dei bombardieri israeliani che metodicamente martellano le zone governative dove si presume si trovino i principali, a parte i russi, alleati di Assad; gli iraniani ed Hezbollah. Insomma, se proprio vogliamo dirla tutta, anche qui le invasioni armate e bombardamenti da parte di Stati stranieri non si fanno certo mancare.
Ma che dire, abbiamo già i nostri problemi e dunque guardiamo altrove; lasciamo pure che la guerra continui in pace.

Docbrino