Latte in tavola prodotto senza le mucche: una pericolosa “rivoluzione” arriva dalla Danimarca ma con fondi e brevetti israeliani

C’è allarme fra i produttori italiani di latte per l’annuncio che arriva dalla Danimarca relativo all’arrivo della “fabbrica di latte sintetico” ovviamente senza mucche. L’azienda nordeuropea promette di “sostituire 50.000 mucche l’anno”. Preoccupazione è stata espressa da Coldiretti secondo cui si vorrebbe sostituire l’agricoltore con lo scienziato. L’operazione non è una buttade dato che una start up strarebbe investendo 120 milioni di euro nell’operazione. Il brevetto in realtà è del 2019, e la società Remilk – start up israeliana – si è già “dilettata” nella produzione di formaggi sintetici ma ora il progetto è più ambizioso e sbarca in Europa, in Danimarca dove una fabbrica di latte sintetico sostituirà 50.000 mucche l’anno, almeno questo promette (o minaccia secondo i punti vista) l’azienda in un messaggio promozionale. L’enorme fabbrica sarà aperta a Kalundborg, non si tratta di una bevanda vegetale, ma di un latte di vacca realizzato interamente in laboratorio. Il tweet che annuncia la rivoluzione alimentare è sull’account ufficiale della società israeliana: “Stiamo costruendo la struttura più grande del mondo in Danimarca, che sostituirà 50.000 mucche all’anno e fa parte del pionieristico approccio circolare”. Il “prodotto” della start up danese-israeliana si basa sul principio della fermentazione: chimici e biologi dell’azienda sono riusciti a “copiare” il gene responsabile della produzione delle proteine del latte nelle mucche, e ad inserirlo nel lievito, come descritto sul sito ufficiale della società fondata tre anni fa. Il lievito viene inserito infine nei fermentatori, dove si moltiplica rapidamente e produce proteine del latte, che vengono poi combinate con vitamine, minerali, grassi e zuccheri non animali per formare i latticini sintetici. Secondo la Remilk, i prodotti caseari sintetici “sono indistinguibili dai latticini vecchio stile, sfoggiando lo stesso gusto e consistenza”. Si tratta di “un pericolosissimo ulteriore step in avanti da parte di chi vuole distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, con i diversi territori”, spiega in una nota Lugi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia: “si cancella ogni distintività culturale spesso millenaria nell’alimentazione umana, proponendo un’unica dieta omologata e mondiale”. Preoccupazione anche da Coldiretti: Il “latte prodotto in laboratorio”, come lo ha definito Coldiretti, non è dunque una bevanda qualitativamente inferiore a quella che arriva dalla mungitura dei bovini. E potrebbe aiutare a contrastare, insieme alla carne sintetica, il fenomeno degli allevamenti intensivi, che danneggiano tanto gli animali quanto l’ambiente circostante. Tuttavia proprio Coldiretti ha spiegato di voler capire come l’Unione Europea potrebbe accogliere questi nuovi cibi hi tech e come saranno etichetti e venduti ai consumatori. “A rimetterci in salute e in reddito saranno i cittadini, a tutto vantaggio dei miliardari ‘filantropi’ che sempre più numerosi foraggiano il cibo artificiale“, si legge in una nota dell’associazione. Coldiretti sottolinea che dietro le bistecche green ci sono consumi di acqua ed energia superiori agli allevamenti tradizionali, e anche per il latte potrebbe verificarsi lo stesso fenomeno. A oggi non sappiamo se il latte di Remilk sia dannoso o particolarmente costoso, né se metterà effettivamente in crisi la filiera nel nostro Paese. Giusto guardare dunque a questo nuovo fenomeno con la dovuta attenzione, senza però scatenare allarmismi senza i dati ufficiali. E senza aver assaggiato il primo “latte vaccino senza mucca” prodotto nel mondo. “Ci stiamo spingendo troppo in là – dice Fabrizio Filippi, presidente di Coldiretti Toscana – è in atto una strategia per tagliare il millenario filo conduttore che esiste tra gli agricoltori e la terra, tra piccole e medie imprese e produzione di cibo naturale: la tecnologia – conclude – dovrebbe aiutare l’agricoltura a produrre meglio, con più sostenibilità, e non sostituire l’agricoltore con lo scienziato”.