Meloni & c vogliono il colpo di mano per mantenere in futuro il potere. Premierato con esautorazione (di fatto) del Presidente della Repubblica e del Parlamento
Se gli elettori italiani utilizzassero il principio “Pagare moneta, vedere cammello” relativamente alle promesse e ai programmi elettorali, è facile prevedere avremmo un crollo verticale dei votanti…. Questa era la previsione che qualche illuminato commentatore faceva fin da quando si sono affacciate quelle forze che, per esemplificare, chiamiamo populiste e che hanno fatto dei colpi di teatro, della semplificazione di problemi complessi con relative soluzioni impossibili ma molto “popolari”, la cifra della loro ascesa. Oibò così è stato e così sarà sempre di più in futuro. Ed allora ecco arrivare la genialità malefica tanto attesa dalla destra sovranista che serve a garantire che l’uomo (o la donna) solo al comando, possa restare in sella senza che nessuno, Parlamento compreso, possa disturbarne le manovre. Così oggi viene annunciato che sull’altare della “autonomia differenziata” contropartita per avere il via dalla Lega di Salvini, viene addirittura sacrificata la democrazia, o quantomeno c’è il rischio che questo avvenga. Esagerazione? Mica tanto, dato che lo spacchettamento del paese, non solo passerà attraverso la redistribuzione di beni e risorse in favore di chi già ne ha di più, ma addirittura tutto potrà essere fatto senza quel necessario equilibrio di poteri che, nel bene e nel male, fino ad oggi la Costituzione ha garantito. Venerdì prossimo, dopo che questa mattina è stato trovato l’accordo in maggioranza, verrà presentato il disegno di legge costituzionale per introdurre in Italia il premierato elettivo. In sostanza le forze di centrodestra hanno dato il via libera al testo, messo a punto dalla ministra Maria Elisabetta Casellati (quella che contava nervosamente i voti che la vedeva soccombere nella sua corsa alla Presidenza della Repubblica e che quindi deve aver pensato bene che quella carica a lei negata dopo Mattarella non deve essere più di nessuno, o almeno non nella forma che conosciamo). Ma valutazioni maligne a parte, la sostanza è che se dovesse passare la riforma proposta verrebbe rivoluzionata la forma di governo, introducendo l’elezione diretta del presidente del Consiglio, accompagnata da una legge elettorale maggioritaria a turno unico che, nelle intensioni dovrebbe assicurare alla coalizione o al partito con più voti (senza quorum) il 55% dei seggi in Parlamento. Insomma ancora una volta una riforma confezionata su misura sulla base degli attuali equilibri, un estito su misura sulle odierne presunte unità e divisioni. Con il centrodestra che ha dimostrato la propria capacità di unirsi in odore di presa del potere, trovando sempre le mediazioni (anche se poi ci si scanna per ogni poltrona o decisione significativa) e il centro sinistra che esattamente al contrario, con spesso risibili differenziazioni ideologiche e di principio, non trova quasi mai la forza e la volontà di unirsi. Ma non solo, questa futura nefandezza, che fin dai temi di Giorgio Almirante è il cavallo di battaglia della destra post-fascista, vuole essere fatta passare come la risoluzione di quel problemone che viene chiamato “governabilità”. In sostanza quel meccanismo utile solo alla politica, sull’altare del quale sono già fatte passare ogni sorta di nefandezze, piroette ideologiche e giri di poltrone. Così Giorgia Meloni tolto almeno per l’occasione il vestito di “Calimero” oggi ha tuonato: “Abbiamo sulle nostre spalle una responsabilità storica: consolidare la democrazia dell’alternanza e accompagnare finalmente l’Italia nella terza Repubblica“. In realtà sarebbe un ritorno a prima della prima repubblica, a quella “Rsi” che vedeva alla base inamovibile il leader, anzi il dux, forte al comando. Infatti stando all’ultima bozza diffusa del nuovo ddl al presidente della Repubblica non spetterà più il potere di nomina del premier (come prevede oggi l’articolo 92), ma solo quello di conferire l’incarico in base al risultato delle elezioni, mentre manterrà il potere di nomina dei ministri, su indicazione del capo del governo. Il presidente del Consiglio incaricato ha a disposizione due tentativi per ottenere la fiducia: se falliscono c’è lo scioglimento obbligatorio di entrambe le Camere e il ritorno al voto. Insomma il Presidente diventerebbe una mera figura simbolica. Fra l’altro l’automatismo di scioglimento automatico delle Camere diventerebbe un’arma potentissima di ricatto in mano a chi avrà il “boccino”. Spariscono poi future nomine di Senatori a vita ma soprattutto è prevista una “norma anti-ribaltone” che consentirà al presidente della Repubblica, in caso di caduta del governo, di affidare un nuovo incarico solo al premier dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza uscente, allo scopo di “attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il governo del presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”. In sostanza il Parlamento viene esautorato da ogni possibilità di decisione sulle maggioranze di governo trasformando gli eletti in pedine buone solo per avvallare le decisioni della cabina di regia. Non una dittatura, ma un meccanismo che ci si avvicina molto, anche perché è saltata l’ipotesi di introdurre un meccanismo di salvaguardia delle prerogative parlamentari, il meccanismo della cosiddetta “sfiducia costruttiva” presente in altri Paesi come la Spagna, in base al quale, i parlamentari possono sfiduciare il governo ma indicando preventivamente il nome di un presidente del Consiglio alternativo, che a quel punto ottiene automaticamente l’incarico in caso di approvazione della mozione. Tolto questo meccanismo la strada del potere illimitato per l’intera legislatura sarebbe garantito (e poi chissà). Tutto questo ovviamente sulla base di quanto fin qui emerso. Speriamo non sia davvero così.