Legacoop Fvg: Intervista alla presidente Michela Vogrig all’indomani dell’avvio del Fedriga bis
Da alcune settimane Legacoop Fvg è entrata nella presidenza nazionale della più antica associazione di tutela e rappresentanza delle cooperative italiane. La neo presidente di Legacoop Fvg, Michela Vogrig, è stata infatti eletta il 5 aprile scorso a Roma nella presidenza nazionale di Legacoop, sotto la guida del nuovo presidente Simone Gamberini e del nuovo direttore Gianluigi Granero, eletti nel recente congresso del 3 e 4 marzo. “L’agenda su cui la rappresentanza cooperativa si dovrà concentrare già da subito è molto ricca, si leggeva in una nota di Legacoop, perché, come sottolineato dal presidente nazionale Gamberini, sono moltissimi i temi di attualità che ci coinvolgono e devono vederci impegnati in prima linea come movimento cooperativo: appalti, riforma fiscale, superbonus, avvio delle riflessioni sul Documento di economia e finanza”. Temi che, declinati a livello regionale, stanno ovviamente a cuore anche al movimento cooperativo del Friuli Venezia Giulia e quindi anche all’associazione che raccoglie le più grandi cooperative della regione Fvg. In più, oggi, ad elezioni regionali svolte e che in Fvg che hanno confermato alla guida della regione Massimiliano Fedriga, c’è la novità di queste ore della nomina della nuova giunta, in realtà confermata per 8 decimi. Abbiamo quindi chiesto a Michela Vogrig un commento non tanto sulla giunta, ma sulla fase nuova che si dovrà affrontare.
Presidente, cosa vi aspettate dalla nuova stagione politica:
Abbiamo lavorato in questo periodo, anche durante la campagna elettorale, interagendo con tutti i candidati a partire da un lavoro congiunto con le altre centrali cooperative, per portare all’amministrazione regionale alcune questioni e proposte. Abbiamo presentato un documento Aci che articola tutta una serie di aspetti e di elementi che dovrebbero andare a caratterizzare, a nostro vedere, le azioni della giunta. In questo momento per noi diventa fondamentale cominciare a scorrere l’elenco di questioni, la prima delle quali è il grosso problema della carenza di operatori e di personale, problema sicuramente trasversale a tutte le imprese e che noi abbiamo posto con molta forza con l’idea di essere soggetti in grado di fare delle proposte e non solo di chiedere. Una questione che insieme al trend demografico di cui ben sappiamo, con l’invecchiamento della popolazione e la fuga dei giovani, rende la situazione complessa e molto critica “, cui si aggiunge il fatto che il nostro territorio risulta poco attrattivo per nuovi lavoratori.
In che senso?
Ci sono delle evidenze che i numeri in uscita non vengono controbilanciati in maniera adeguata rispetto al flusso in entrata, soprattutto relativamente ai giovani. E’ un problema che deve essere rapidamente affrontato in quanto sappiamo che gli interventi per contrastare questa tendenza portano a risultati solo nel medio e lungo periodo. Se non si inizia ora ci troveremo in grandissime difficoltà. Le nostre cooperative hanno posizioni scoperte su tutti i livelli, quindi non c’è un problema solo sui profili ad alta specializzazione ma anche a livello più operativo e la situazione si sta rapidamente aggravando. Nelle sociali, ad esempio la drammatica carenza di personale in ambito educativo potrebbe essere risolta mettendo mano a norme che ad oggi limitano la possibilità di inserire personale qualificato con percorsi di laura affini, in altre situazioni invece ad essere in crisi sono le professioni di “cura” con conseguente carenza di iscritti a molti corsi di laurea.
Cosa chiedete quindi alla politica?
La questione del personale è uno dei primi punti sui quali abbiamo sollecitato interventi chiedendo di lavorare insieme, del resto le esperienze che abbiamo avuto in questi anni ci dicono che quando siamo riusciti a concertare con l’amministrazione regionale i risultati si sono visti. I tavoli di concertazione sono un buon metodo di lavoro in quanto valorizzano il contributo dei soggetti che sul territorio lavorano, investono e che ben conoscono. Per affrontare questioni complesse non si può procedere a “canne d’organo”, servono piani di medio-lungo periodo che hanno una visione complessiva.
Come pensate di agire?
Auspichiamo, quindi, che i tavoli non riguardino solo la carenza del personale ma che in generale si adotti una modalità stabile di confronto e di concertazione su quelli che sono i temi strategici e di sviluppo della nostra regione, che inevitabilmente coinvolgono su una pluralità di settori le associate di Legacoop. Il mondo cooperativo, per le sue caratteristiche distintive promuove partecipazione e rappresenta un modello di economia non estrattiva che può ben contribuire con proposte e progetti portando valore al territorio. Riteniamo, quindi, urgente e necessario iniziare la discussione con le altre componenti, politiche, datoriali e sindacali.
Quindi rapida ripresa dei tavoli di concertazione?
Sicuramente, riguardo il lavoro e la pianificazione e partendo da quello che ha funzionato in questi anni. Un buon esempio sono stati i tavoli legati alla cooperazione sociale, come il Comitato tecnico per la cooperazione sociale, che ha istituito gruppi di lavoro tecnici promossi e coordinati dalla stessa Regione; un lavoro di concertazione che ha coinvolto sindacati, cooperazione, ufficio cooperazione, direzione salute e le centrali uniche di committenza. Si è lavorato su vari livelli, dalla pianificazione, al miglioramento dei capitolati perché venissero valorizzati gli aspetti qualitativi insieme ad un perimetro economico adeguato. Per noi è fondamentale continuare su questa strada che si è dimostrata efficace. Tornando alla questione del lavoro parlare di qualità non significa solo reddito, che è ovviamente importante in quanto deve essere adeguato, ma significa offrire contesti lavorativi con determinate caratteristiche, inclusivi ed in grado di conciliare le esigenze di vita e lavoro delle persone, con un’attenzione in più verso i giovani che sono per la cooperazione una priorità strategica.
Cosa pensate di poter offrir in più come cooperative da questo punto di vista.
La cooperazione oltre ad offrire una qualità del lavoro garantendo un equa retribuzione e contesti di lavoro maggiormente partecipativi, inclusivi e democratici, ha un’ organizzazione del lavoro che più di altri contesti può dare spazio e “voce” ai giovani ed ai loro talenti. Per noi questo è un elemento distintivo. Ovviamente, per garantire un equa retribuzione dobbiamo agire in modo corresponsabile, penso ad esempio a quanto accaduto in questi ultimi anni in relazione all’adeguamenti prezzi riguardo agli appalti di forniture e servizi con la PA; è necessario garantire il diritto dei lavoratori a vedere riconosciuti i doverosi adeguamenti contrattuali, ma è altresì necessario che questi costi siano riconosciuti da parte delle stazioni appaltanti stesse: si tratta di una questione di corresponsabilità.
Uscendo del tutto dalla logica del massimo ribasso, quindi?
Il massimo ribasso per fortuna viene sempre meno utilizzato e questo è anche il risultato di una buona collaborazione con i sindacati e in verità anche con le amministrazioni regionali che negli anni si sono succedute. Ora abbiamo anche il nuovo codice degli appalti che per alcuni aspetti non risolve alcuni problemi. Resta la questione della revisione prezzi negli appalti pubblici ed é evidente che se non si trovano delle soluzioni semplici ed efficaci per garantire il riconoscimento dei costi del personale saranno le imprese a rimanere schiacciate. Ciò può frenare la capacità di investimento e quindi di sviluppo delle stesse cooperative che per il loro forte radicamento territoriale investono sul territorio generando ricadute non solo imprenditoriali ma anche sociali. Occorre, quindi, un approccio sistemico e trasversale più ampio possibile in particolare su alcuni temi.
Rispetto alla nuova giunta al di là delle dichiarazioni programmatiche del presidente Fedriga, appare ovvio che si vada in continuità con il recente passato.
Sarà certamente così, ma c’è una questione sulla quale come Legacoop assieme alle altre centrali abbiamo già posto con forza nel nostro documento e porremo ancora. Parlo della collocazione del nostro settore e dell’assessorato di riferimento. Al momento siamo stati associati al Patrimonio, ma questa non è certo la collocazione più idonea per la cooperazione. Abbiamo chiesto di essere inseriti nelle Attività produttive o in subordine al Lavoro. Appare ovvio che come associazione datoriale la collocazione più naturale dovrebbe essere all’interno delle Attività produttive per dare dignità ad un settore importante e per non rischiare di essere esclusi da alcune opportunità, in quanto non ci pare accettabile.
Vi sono altri temi distintivi che pensate di portare avanti?
Un percorso che ci interessa molto e che intendiamo portare avanti con forza riguarda le aree interne anche attraverso iniziative come le cooperative di comunità e le comunità energetiche. Abbiamo una cooperativa che sta realizzando un percorso virtuoso sulle comunità energetiche e che stiamo sostenendo e promuovendo, che adotta un modello cooperativo per affrontare il problema energetico a partire dalle comunità. Basta pensare cosa avviene in Germania dove le comunità energetiche hanno un peso molto importante in tema di sostenibilità ma anche con ricadute di risparmio reale per i cittadini.
Come ultima questione, ma non certo ultima per importanza, le chiedo della sanità.
Sono dell’idea, molto schiettamente, che nella sanità vada valorizzato il pubblico prima di tutto. Questa è la premessa ed è elemento fondamentale. Ma detto questo credo che siamo in una situazione drammatica soprattutto sul personale che vive sia la sanità pubblica, che le cooperative. Forse la sanità privata soffre meno in quanto riesce a retribuire meglio ed è quindi più attrattiva nel reperire personale. Siamo di fronte ad una crisi profonda del lavoro di cura anche dal punto di vista culturale; dopo l’esperienza del Covid, grazie alla quale pareva avessimo imparato a valorizzare e riconoscere i meriti degli operatori sanitari dando maggiore attenzione a queste professioni, sembra oggi che tutto il loro lavoro sia stato completamente dimenticato, non solo rispetto alle questioni retributive ma anche riguardo al dovuto riconoscimento da parte di istituzioni e società. Quanto accaduto ha sicuramente aggravato una tendenza già in atto da tempo che evidenzia la scarsa attrattività del “lavoro di cura”, si tratta di una situazione determinata sia da questioni economiche che dalla necessità di un riconoscimento dell’alto valore sociale di queste professioni.
Quindi in sostanza pochi ambiscono ad abbracciare le professioni sanitarie?
Esatto ed in questo momento è un grave problema. Il rischio è che si facciano delle belle teorizzazioni, penso agli ospedali di comunità per fare un esempio, un modello che non possiamo non condividere, ma il rischio però è che diventino delle scatole vuote purché non ci sono i professionisti per farli funzionare. Ci saranno strutture e macchinari ma non ci sarà il personale. Penso ad esempio ai medici di base, penso alle aree montane e pedemontane che non riescono ad avere un medico in loco. Si tratta di problemi non banali che rendono urgente rafforzare i momenti di confronto. Dobbiamo affrontare queste criticità adottando modalità partecipative, coinvolgendo i soggetti del territorio ed adottando una prospettiva di medio lungo periodo, solo così potremo affrontare queste importanti sfide.