Lobby in azione: Il prossimo parlamento e conseguente governo rischia di essere di “diversamente peggiori”
Cosa fatta capo A. E’ finita alle 20 di lunedì scorso 21 agosto la surreale pantomima della presentazione liste, resa in questa tornata ancora più faticosa dal modo anomalo con cui si è arrivati alle elezioni. Nei prossimi giorni, esaurite le polemiche personali e il tutto contro tutti della delegittimazione attraverso la ricerca degli scheletri negli armadi, forse, e ribadiamo forse, si arriverà a parlare di programmi. Almeno dovrebbe finire l’orrenda baraonda su esclusi e premiati, rimandando a dopo il 25 settembre vendette più o meno trasversali quando “notti dei lunghi coltelli” ne vedremo in ogni schieramento. Certo, in campagna elettorale, continuerà il minuetto di dire agli altri cosa dovrebbero fare anziché spiegare cosa da parte propria si vuol fare, magari spiegando come e dove trovare i soldi, così tanto per non continuare a prendere gli italiani per i fondelli con le proposte evergreen…. di sempre, per chi ci vuol credere. Di una cosa siamo però certi, dopo il governo dei migliori, dove però non tutti brillavano, avremo l’ennesimo parlamento dei “diversamente peggiori”. Certo non bisogna fare il classico di ogni “erba un fascio” e per fortuna vi sono soggetti di valore, almeno per onestà intellettuale, in ogni schieramento o quasi. Ma fra imposti e paracadutati, fra sponsorizzati da lobby e gruppi di potere e candidature “misteriose”, il rischio che fra i 600 parlamentari eletti si nasconda anche della feccia è altissimo. Per non parlare delle improbabili liste che, nonostante i roboanti proclami che annunciano sfracelli o addirittura di sovvertire il mondo, hanno come reale obiettivo quello di raggiungere l’agognato 3%, che dà diritto ad una rappresentanza parlamentare che, intendiamoci in democrazia è importante. Un diritto di tribuna che però rischia di portare sull’onda di vari novax/ no greenpass e amenità varie, degli emeriti imbecilli o peggio degli strumentali profittatori della credulità popolare. In sostanza avremo anche in questo parlamento una pattuglia più o meno grande di miracolati che puntano alla comoda e ben retribuita poltrona a Montecitorio o Palazzo Madama e che più che al bene del paese, puntano ad un “furi i bez” e al piccolo potere che un seggio comporta. Ma in realtà i veri rischi per l’Italia sono molteplici, non solo l’arrivo al potere di una brutta destra che nonostante i tentativi di mostrare la faccia pulita ha radici imbarazzanti e programmi che, se letti al di fuori della superficialità degli slogan, sono pericolosi. Metteranno in discussione quanto di positivo si è costruito in decenni in tema di sociale e diritti e che una sinistra pasticciona, pavida e divisa, non è stata in grado di valorizzare e completare. Ma ancora di più, quello che dovrebbe preoccupare, e la palese grande manovra in atto sul piano economico per il mantenimento delle diseguaglianze. Per citare il sempre attuale “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa “cambiare tutto perché nulla cambi”. Non può sfuggire che in questi giorni c’è un grande affanno nel raccontare quanto di terribile avverrà in autunno che quest’anno inizia il 23 settembre, due giorni prima delle elezioni. Viene dipinta una situazione a tinte foschissime rese già palpabili dalla già allucinate corsa al rialzo dei prezzi nel settore energetico e non solo, frutto di palesi e mirate speculazioni sulle quali la politica lancia proclami e minacce, senza proporre nulla di concreto, se non balbettare “ricette” che guarda caso non colpiscono mai effettivamente gli interessi dei soliti noti. Anzi, tutto sembra essere orchestrato per convincere gli italiani che le uniche ricette possibili passino attraverso la follia nucleare e “sostegni” che alla fine del giro finiranno per ingrassare gli extraprofitti di qualcuno. Del resto sono mesi che determinate forze politiche, alcune delle quali probabilmente nate e sostenute allo scopo di soddisfare determinati appetiti, hanno introdotto nel dibattito il tema nucleare che gli italiani avevano già archiviato con due referendum. In genere rifugiamo le teorie del complotto, ma in questo caso che le lobby dell’energia si stiano muovendo all’unisono per mantenere il loro potere ben più forte di quello degli stessi governi, più che sospetto è certezza. Per farlo si agitano gli spettri della povertà, della perdita dei posti di lavoro, e dell’inflazione, già ufficialmente prossima all’8% che, ci racconta ad esempio oggi Confcommercio, per quasi l’80% dovuta proprio all’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche che con la guerra in Ucraina, chiariamolo, centra molto poco. Una situazione che “mette a rischio da qui ai primi sei mesi del 2023 circa 120mila imprese del terziario di mercato e 370mila posti di lavoro” ci dice Confcommercio. In realtà basta fare un giretto nei supermercati per accorgersi che l’8% e solo nella matita dell’Istat e che gli aumenti per alcuni generi è anche del 30% e non è giustificato da costi di produzione, ma da pura e delinquenziale speculazione. Confcommercio-Imprese per l’Italia, ma lo stesso fanno tutti gli istituti di analisi macro-economica, indica come la spesa in energia per i comparti del terziario nel 2022 ammonterà a 33 miliardi, il triplo rispetto al 2021 (11 miliardi) e più del doppio rispetto al 2019 (14,9 miliardi). “Uno scenario che desta forte preoccupazione”, afferma, sostenendo la necessità di interventi ad hoc e nuove misure di “sostegno”. E se da non spetta ad una associazione di categoria indicarlo, anche dalla politica non arriva una parola precisa ed efficiente relativamente alle responsabilità e necessità di azioni per bloccare speculazioni e magari ingabbiare gli speculatori che restano sulla sfondo come entità impalpabile e che invece a facce ed artigli ben individuabili. C’è poi una parola che non viene mai pronunciata neppure come possibile minaccia ed è “nazionalizzazione” il bau bau per il liberismo sfrenato seguace del mercato che in realtà è ricetta possibile se attuata in maniera temporanea, emergenziale e con equilibrio. Teopompo da Chio